Proteggi il mio cammino
«Signora, la prego di non allarmarsi, ma suo figlio è stato investito da una macchina mentre stava andando a scuola».
Le parole della giovane giunsero alle mie orecchie con l’intensità di una bomba. Senza smettere di pensare, posai il telefono, presi la mia figlioletta addormentata e corsi verso la scuola. Piangevo e pregavo.
In pochi minuti arrivai alla scuola. Il mio piccolo Abraham di cinque anni era seduto nella sua classe, apparentemente in perfetta salute, e mi disse che era stato colpito da una macchina. Lo esaminai dalla testa ai piedi, e anche se non vedevo segni apparenti dell’incidente lo portammo all’ospedale.
Quando arrivammo al pronto soccorso vedemmo un uomo col capo chino che singhiozzava. Qualcuno deve avergli indicato chi ero perché, mentre i dottori esaminavano mio figlio, l’uomo affranto si avvicinò a me nervosamente e disse: «Sono il responsabile dell’incidente di suo figlio. Mi assumo le spese di tutto quello che sarà necessario fare».
L’uomo iniziò a raccontarmi nei dettagli quanto era accaduto. Aveva attraversato un incrocio il cui semaforo era guasto e non aveva visto il ragazzino che attraversava la strada davanti all’autobus fermo. Notò il bambino soltanto dopo averlo colpito con l’auto. Disse che l’impatto era stato come se avesse colpito un muro. Nella collisione la sua macchina era andata distrutta e i suoi passeggeri avevano riportato delle ferite. Mi disse che aveva chiuso gli occhi e pensato al bambino disteso sulla strada.
In preda alla disperazione nel rivivere l’esperienza, l’uomo non notò neppure che mio figlio adesso stava correndo e saltando nei corridoi. All’improvviso, interruppe il suo racconto, e con lo sguardo cominciò a seguire i balzi e i salti di Abraham. Egli disse tra le lacrime: «È lui. È lui! È un miracolo!» Mi guardò e disse: «Io non credo in Dio, ma voglio dirle qualcosa. Ho colpito qualcosa molto forte. Se crede in qualcosa, sia grata perché oggi una schiera di angeli ha protetto il suo bambino».
A questo punto ricordai la preghiera che Abraham aveva offerto quella stessa mattina. Aveva l’abitudine di dire preghiere molto lunghe, che esprimevano gratitudine per ogni cosa, dai nostri familiari più lontani ai piatti che si trovavano in tavola. Ma quel giorno particolare era stato molto breve e aveva detto soltanto: «Padre celeste, proteggi il mio cammino quando vado a scuola».
Più tardi ci recammo sul luogo dell’incidente e vidi con i miei occhi gli enormi danni riportati dalla macchina dell’uomo. Una ruota era uscita dalla sua sede, una portiera era tutta ammaccata e il paraurti era distrutto. Ma il mio piccolo Abraham aveva soltanto un graffio sul gomito. Anche se so che tutte le preghiere non ricevono risposta in modo così veloce o incredibile, Abraham è una testimonianza vivente dell’amore e del potere di Dio.
Gloria Olave è membro del Primo Ramo di Paterson (di lingua spagnola), nel Distretto di Paterson, nel New Jersey.