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Un fermo sostegno


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Un fermo sostegno

Riunione del CES per i Giovani Adulti • 2 novembre 2014 • Tabernacolo di Ogden, Utah

È emozionante per me e per la sorella Hallstrom essere qui con voi, stasera. Osservando i volti di coloro che riusciamo a vedere qui, questa sera, immaginiamo i giovani adulti sparsi in tutto il mondo — sia single che sposati — che prendono parte a questa trasmissione. Abbiamo l’opportunità di viaggiare molto e di far visita ai membri della Chiesa in tutto il mondo. Abbiamo incontrato molti di voi e molti altri come voi. Abbiamo incontrato giovani adulti già convertiti e altri che si stanno adoperando per diventarlo ancora di più. Abbiamo incontrato giovani adulti che si sono smarriti e altri che sono stati trovati, o meglio, per essere più precisi, che si sono ritrovati. Abbiamo incontrato coloro che non sono della nostra fede, coloro che sono stati da poco battezzati e coloro che provengono da famiglie appartenenti alla Chiesa da generazioni. Rendiamo testimonianza che sono tutti figli di Dio e che hanno a disposizione ogni opportunità per ottenere tutte le benedizioni dell’eternità.

A nome dei dirigenti della Chiesa, posso dirvi con entusiasmo: “Vi vogliamo bene!” Osservando da vicino i profeti e gli apostoli e conoscendoli bene come li conosco io, posso affermare con certezza che s’interessano profondamente ai giovani adulti della Chiesa. Voi siete il presente e il futuro. Abbiamo bisogno di voi!

Questa riunione viene trasmessa dal Tabernacolo di Ogden, un edificio restaurato in modo meraviglioso e adiacente al maestoso Tempio di Ogden, nello Utah. Il tempio e il tabernacolo sono stati ridedicati dal presidente Thomas S. Monson soltanto sei settimane fa. Il tempio è uno dei 143 templi attualmente in funzione nella Chiesa e sparsi in tutto il mondo. Come indicazione di quanto sono vecchio — oppure, per dirla in maniera più positiva — di quanto il Signore stia affrettando la Sua opera, quando sono nato c’erano soltanto otto templi.

Usando il tempio come metafora, questa sera parlerò di fondamenta. Ogniqualvolta un tempio viene progettato e costruito, vengono dedicati grandi sforzi a ciò che non può essere visto facilmente una volta terminato il progetto: le fondamenta. Ad esempio, una rappresentazione grafica mostra il Tempio di Filadelfia, in Pennsylvania, attualmente in costruzione. Una volta completato, questo straordinario edificio sarà alto 25 metri alla linea del tetto e si eleverà per 59 metri nel punto più alto della statua dell’angelo Moroni. Come potete vedere, sarà magnifico! Tuttavia, per quanto imponente e maestosa potrà essere questa struttura, sarà comunque soggetta a venti distruttivi e alle infiltrazioni di falde sotterranee. Questi problemi, se ignorati, potrebbero danneggiare in modo rilevante e persino distruggere questo nobile edificio.

Sapendo che queste forze potrebbero attaccare senza posa il tempio, gli ingegneri hanno progettato e l’impresa edile ha scavato un buco profondo quasi dieci metri sotto l’intera impronta dell’edificio. Il buco è stato scavato nel granito locale della Pennsylvania per fornire delle fondamenta inamovibili sulle quali costruire. Le fondamenta di calcestruzzo sono quindi state fissate alla base di granito usando tiranti in roccia, al fine di resistere anche a venti tempestosi e alla forza delle acque sotterranee. I tiranti sono stati fissati da un minimo di 15 a un massimo di oltre 50 metri dentro il granito, con una tensione superiore ai 110.000 chilogrammi per centimetro quadrato. I tiranti sono stati posti a circa 4,5 metri di distanza l’uno dall’altro, in entrambe le direzioni.

Vi ho dato queste informazioni dettagliate per insegnare questo concetto: a differenza della costruzione di una struttura edile (che per definizione è comunque temporanea), nell’edificare la nostra vita immortale (e speriamo anche eterna), a volte prestiamo davvero pochissima attenzione al progetto e alla costruzione delle nostre fondamenta. Di conseguenza, rimaniamo molto esposti e veniamo facilmente colpiti da forze pericolose.

Viviamo in un mondo che può confondere; se glielo permettiamo, ciò può portarci a dimenticare chi siamo realmente. Il presidente Thomas S. Monson ha dichiarato:

“La mortalità è un periodo di prova, un momento per dimostrarci degni di ritornare alla presenza del nostro Padre Celeste. Per poter essere messi alla prova, dobbiamo affrontare sfide e difficoltà. Queste possono distruggerci, e la superficie della nostra anima può sgretolarsi, se le nostre fondamenta di fede e le nostre testimonianze della verità non sono profondamente impresse in noi.

Possiamo fare affidamento sulla fede e sulla testimonianza degli altri solo per breve tempo. Alla fine dobbiamo noi stessi avere delle fondamenta forti e profonde, altrimenti saremo incapaci di resistere alle bufere della vita, che arriveranno1.

Parlando di una persona che Lo ascolta e Lo segue, Gesù Cristo descrisse questo concetto in questi termini:

“Somiglia ad un uomo il quale, edificando una casa, ha scavato e scavato profondo, ed ha posto il fondamento sulla roccia; e venuta una piena, la fiumana ha investito quella casa e non ha potuto scrollarla perché era stata edificata bene.

Ma chi ha udito e non ha messo in pratica, somiglia ad un uomo che ha edificato una casa sulla terra, senza fondamento; la fiumana l’ha investita, e subito è crollata; e la ruina di quella casa è stata grande” (Luca 6:48–49).

Gesù Cristo è la roccia sulla quale dobbiamo edificare le nostre fondamenta. Il Signore Si auto-definì la “pietra d’Israele” e dichiarò con enfasi: “Colui che edifica su questa roccia non cadrà mai” (DeA 50:44).

“Magnificate il nostro Iddio!”, disse Mosè. [Egli è la] Ròcca, l’opera sua è perfetta” (Deuteronomio 32:3–4). Davide affermò: “L’Eterno è la mia ròcca, la mia fortezza, […] il mio scudo, […] il mio alto ricetto” (2 Samuele 22:2–3). Il Signore disse a Enoc: “Io sono il Messia, il Re di Sion, la Roccia del Cielo” (Mosè 7:53). Nefi lodò il Signore quale “rocca della mia salvezza” e “rocca della mia rettitudine” (2 Nefi 4:30, 35). Isaia chiamò il Signore “una pietra provata, una pietra angolare preziosa, un fondamento solido” (Isaia 28:16). Paolo parlò degli apostoli e dei profeti come del fondamento della Chiesa, della quale “Cristo Gesù stesso [è] la pietra angolare” (Efesini 2:20).2

Questa non è una dottrina nuova. In una forma o nell’altra, tutti noi la comprendiamo. Ci è stata insegnata dai genitori, in Primaria, nelle classi delle Giovani Donne e del Sacerdozio di Aaronne, nei quorum, al Seminario, all’Istituto, dai missionari a tempo pieno, dai nostri amici, dai dirigenti locali della Chiesa, dalle Scritture, dai profeti e dagli apostoli viventi. Allora perché per molti di noi è così difficile viverla?

Ebbene, per dirla in parole povere, questa dottrina deve passare dalla nostra mente al nostro cuore e infine alla nostra anima. Deve essere più di ciò che a volte pensiamo, o persino di ciò che a volte proviamo: deve diventare chi siamo. Il nostro legame con Dio, nostro Padre, con il Suo piano eterno e con Gesù Cristo, Suo Figlio e nostra Roccia, deve essere stretto così saldamente da divenire realmente la pietra angolare delle nostre fondamenta. La nostra identità diviene dunque in primo luogo quella di un essere eterno — un figlio o una figlia di Dio — e di un grato destinatario delle benedizioni dell’Espiazione di Gesù Cristo. Allora, altre identità rette potranno essere edificate in sicurezza sopra queste fondamenta, perché sapremo quali sono eterne e quali temporanee, e sapremo anche dar loro la giusta priorità. Vi saranno poi altre identità, con le rispettive pratiche (alcune delle quali godono di grande considerazione nel mondo), delle quali sceglieremo persino di disfarci.

Mi piace molto l’amato inno “Un fermo sostegno”. La mia versione preferita (guarda caso) è quella del Coro del Tabernacolo Mormone. Trovarmi seduto davanti al coro durante la Conferenza generale, udire e sentire il potere dell’organo, delle voci, della musica e delle parole mi fanno venir voglia di alzarmi e unirmi a loro. Sapendo che verrei accompagnato fuori dal Centro delle conferenze, però mi astengo dal farlo. Ascoltate questo amato inno cantato solo quattro settimane fa, durante la sessione della domenica mattina della Conferenza generale. Assaporate le parole; ascoltate in modo particolare quelle dell’ultima strofa. In realtà sarebbe la settima, ma lì è stata cantata come quarta strofa.

Di recente, nel Tempio di Salt Lake, ho preso parte a una riunione con i membri della Prima Presidenza, del Quorum dei Dodici Apostoli e con tutte le altre Autorità generali assegnate alla sede centrale della Chiesa. Abbiamo cantato le prime tre strofe di questo bellissimo inno, fermandoci al terzo verso come spesso facciamo alla riunione sacramentale o in altre riunioni. In questa occasione, tuttavia, il presidente Monson ha detto: “Cantiamo la settima strofa”. Insieme a tutte queste grandi Autorità generali, inclusi i profeti e gli apostoli viventi, abbiamo cantato:

Quell’alma che ha posto in Gesù il suo sperar

nel mio amore, non potrò, abbandonar;

il mondo e l’inferno, allor scuoterò;

l’eterno, rifugio, l’eterno, rifugio,

l’eterno, rifugio ch’è in me le darò.3

Queste parole descrivono chi siete? Descrivono almeno chi vi state impegnando a diventare? Lo sforzo di costruire e mantenere delle fondamenta spirituali non è semplice. Il processo di costruzione è un’attività impegnativa e la manutenzione è uno sforzo che dura tutta la vita.

Lodiamo sinceramente chi di voi si sta davvero sforzando e desideriamo sapere che cosa state facendo. Vi chiedo per favore di usare i social media per condividere ciò che state facendo usando l’hashtag #cesdevo e completando la frase: “Sto edificando le mie fondamenta spirituali mediante: …”. Le risposte saranno tanto diverse quanto le circostanze individuali, ed è giusto che sia così. Ripeto ancora una volta che la frase da completare è: “Sto edificando le mie fondamenta spirituali mediante: …”. Saremo grati di sentire il vostro contributo e di essere istruiti da voi in merito a quello che sta accadendo nella vostra vita.

Se non avete mai avuto le fondamenta di cui parliamo, oppure se avete lasciato che s’incrinassero o crollassero per incuria, non è troppo tardi per indossare il caschetto di protezione e mettersi all’opera. Tutti gli strumenti di cui avete bisogno sono a vostra disposizione. Sono gli stessi strumenti utilizzati per mantenere in buono stato delle fondamenta già esistenti. Voi sapete quali sono questi strumenti. Essi includono: la preghiera costante e di qualità; lo studio quotidiano del Vangelo tramite le Scritture; la partecipazione attiva alle riunioni della Chiesa, in modo particolare prendendo il sacramento con intento reale; il servizio altruistico continuo e la diligenza nell’osservare le alleanze.

Un altro strumento indispensabile sono gli insegnamenti dei profeti viventi. Ci sono quindici uomini sulla terra che vengono sostenuti quali profeti, veggenti e rivelatori. Essi detengono le chiavi del sacerdozio di Dio. Veniamo spesso istruiti da loro. Alziamo la mano per sostenerli diverse volte all’anno. Preghiamo per loro ogni giorno. Tuttavia, la benedizione straordinaria costituita dalla facilità di accesso al loro messaggio può portarci a non apprezzarne l’importanza.

Il presidente Henry B. Eyring ci ha ammonito: “Cercare la via che porta alla sicurezza nei consigli dei profeti è cosa logica per coloro che possiedono una forte fede. Quando parla il profeta, coloro che hanno poca fede forse ritengono di ascoltare soltanto un uomo saggio che impartisce buoni consigli. Quindi se i suoi consigli sembrano ragionevoli e poco impegnativi, se concordano con quello che essi vogliono fare, li accettano. Altrimenti li considerano consigli sbagliati, oppure ritengono che la situazione in cui si trovano li giustifichi se fanno eccezione”.

Il presidente Eyring ha continuato: “Un altro errore è credere che la scelta di accettare o no i consigli dei profeti non sia altro che decidere se accettare i buoni consigli e goderne i benefici o rimanere come siamo. Ma la scelta di non accettare i consigli dei profeti cambia anche il terreno sul quale stiamo. Esso diventa più pericoloso”.4

Per edificare e mantenere in buono stato delle fondamenta, ricordatevi tre principi: visione, impegno e auto-disciplina. La visione è la capacità di vedere. In ambito evangelico, a volte la definiamo “prospettiva eterna”. Come disse Giacobbe, significa vedere “[le] cose come sono realmente, e […] come realmente saranno” (Giacobbe 4:13).

L’impegno è la disponibilità a fare una promessa. Chiamiamo spesso “alleanze” tali promesse. Da un punto di vista formale, noi stipuliamo alleanze con Dio tramite le ordinanze del sacerdozio. Ricordate: “Nelle sue ordinanze il potere della divinità è manifesto” (Dottrina e Alleanze 84:20). Oltre che con Dio, dovremmo essere disposti a prendere impegni con noi stessi, con il nostro coniuge (o per diventare coniugi), con gli amici e con coloro insieme ai quali serviamo.

L’autodisciplina può essere definita come la capacità di vivere in modo coerente con la nostra visione e con gli impegni che abbiamo preso. Sviluppare l’autodisciplina è indispensabile per progredire, poiché unisce senza soluzione di continuità l’apprendere e il fare. In ultima analisi, la forza delle nostre fondamenta spirituali si nota da come viviamo la nostra vita, in modo particolare nei momenti di delusione e di difficoltà.

Molti anni or sono, il presidente Gordon B. Hinckley raccontò la storia di Caroline Hemenway, che era nata il 2 gennaio 1873 a Salt Lake City, seconda di undici figli:

“All’età di ventidue anni Caroline sposò George Harman; ebbero sette figli, uno dei quali morì nell’infanzia. Poi, all’età di trentanove anni, il marito morì ed ella rimase vedova.

Sua sorella Grace aveva sposato il fratello del marito di lei, David. Nel 1919, durante la terribile epidemia di febbre spagnola, David si ammalò gravemente e poi si ammalò anche sua moglie Grace. Caroline si prese cura di loro e dei loro figli come dei propri. Nel mezzo di queste afflizioni, Grace dette alla luce un figlio e morì nel giro di poche ore. Caroline portò a casa il piccino e lo allevò, salvandogli la vita. Tre settimane dopo [morì] sua figlia Annie.

A questo punto, Caroline aveva perduto il marito, due figli e la sorella. [Lo stress] fu troppo forte ed ella ebbe un collasso. Ne uscì afflitta gravemente dal diabete, ma non rallentò le sue attività. Continuò a prendersi cura del figlio della sorella e del cognato, il padre del bambino, che veniva ogni giorno a vedere il figlio. David Harman e Caroline in seguito si sposarono, per cui la famiglia contava ora tredici figli.

Poi, cinque anni dopo, David fu vittima di una catastrofe che mise duramente alla prova lui e i suoi cari. Una volta usò un forte disinfettante per preparare i semi da piantare. Il disinfettante gli finì addosso e le conseguenze furono disastrose. La pelle e la carne si staccarono dalle sue ossa. La sua lingua e i denti caddero. La soluzione caustica lo mangiò vivo nel vero senso della parola.

Caroline lo curò durante questa terribile malattia, e quando egli morì rimase con cinque figli suoi e otto della sorella, e con una fattoria di 113 ettari che, con l’aiuto dei figli, provvedeva ad arare, seminare, irrigare e mietere per raccogliere abbastanza prodotti per provvedere alle loro necessità. A quel tempo ella era anche presidentessa della Società di Soccorso, posizione che detenne per diciotto anni.

“Mentre si prendeva cura della sua famiglia numerosa e nell’estendere la mano della carità agli altri, infornava 8 filoni di pane al giorno e faceva 40 carichi di bucato alla settimana. Inscatolava centinaia di chili di frutta e di verdura, e si occupava di circa un migliaio di galline da uova per racimolare un po’ di contanti. L’autosufficienza era la sua regola. Considerava l’indolenza un peccato. Si prese cura dei suoi e si occupò degli altri con uno spirito di gentilezza che non le avrebbe permesso di lasciare che qualcuno che conosceva avesse fame, fosse senza vestiti o avesse freddo.

In seguitò sposò Eugene Robison, il quale non molto tempo dopo ebbe un attacco cardiaco. Per cinque anni, fino a che lui morì, lo curò amorevolmente provvedendo a tutte le sue necessità.

Alla fine, esausta, con il corpo afflitto dagli effetti del diabete, Caroline morì all’età di 67 anni. L’abitudine all’industriosità e al duro lavoro che ella aveva inculcato nei figli [ricompensò] i suoi sforzi lungo l’arco degli anni. Il figlio neonato della sorella che ella aveva preso in casa e nutrito sin dalla prima ora di vita, insieme ai suoi fratelli e sorelle, spinti da sentimenti di amore e di gratitudine, hanno fatto [alla Brigham Young University] un generoso lascito che renderà possibile la costruzione [di un] bellissimo edificio che [porta] il suo nome”.5

Avere solide fondamenta è la protezione suprema contro gli attacchi del mondo. Dovremmo cercare diligentemente ciò che ottennero i Lamaniti istruiti da Ammon e dai suoi fratelli, quando di loro fu detto che “si convertirono al Signore [e] non se ne allontanarono mai” (Alma 23:6).

Mary Ann Pratt sposò Parley P. Pratt nel 1837. Dopo essersi trasferiti nel Missouri, patirono terribili persecuzioni insieme agli altri Santi. Quando Parley, insieme al profeta Joseph, fu catturato da una plebaglia a Far West, in Missouri, e fu messo in prigione, Mary Ann era costretta a letto, gravemente malata, dovendo allo stesso tempo prendersi cura di due bambini piccoli.

In seguito, Mary Ann fece visita a suo marito in carcere e rimase con lui per qualche tempo, poi scrisse quanto segue: “Condividevo la sua cella, che era un luogo umido, buio, sudicio, privo di ventilazione, con un’unica grata su un lato. Eravamo costretti a dormire in questo posto”.

Dopo la liberazione di Parley dal carcere, Mary Ann e suo marito svolsero delle missioni a New York e in Inghilterra, e furono tra coloro che compirono “l’ultimo esausto raduno nello Utah”, come lo descrisse lei. Alla fine, Parley morì martire mentre stava svolgendo un’altra missione.

Nonostante la sua vita tumultuosa, Mary Ann Pratt rimase fedele. Con parole possenti, ella dichiarò: “Sono stata battezzata nella Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni […] essendo convinta della veridicità delle sue dottrine già dal primo sermone che udii, e dissi nel mio cuore: anche se dovessero esserci soltanto tre persone che si tengono strette alla fede, io sarò una di loro, e durante tutte le persecuzioni che ho dovuto sopportare ho sempre pensato la stessa cosa. Il mio cuore non ha mai deviato da quella decisione”6.

L’argomento di cui stiamo parlando oggi è molto personale. Possiamo essere istruiti da altre persone. Possiamo osservare gli altri. Possiamo imparare dagli errori e dai successi degli altri. Ma nessuno può farlo per noi. Nessun altro può edificare le nostra fondamenta spirituali. In questo, noi siamo la nostra impresa edile.

Come Helaman insegnò possentemente: “Ed ora, figli miei, ricordate, ricordate che è sulla roccia del nostro Redentore, che è Cristo, il Figlio di Dio, che dovete costruire le vostre fondamenta; affinché, quando il diavolo manderà i suoi venti potenti, sì, e i suoi strali nel turbine, sì, quando tutta la sua grandine e la sua potente tempesta si abbatteranno su di voi, non abbia su di voi alcun potere di trascinarvi nell’abisso di infelicità e di guai senza fine, a motivo della roccia sulla quale siete edificati, che è un fondamento sicuro, un fondamento sul quale se gli uomini edificano, non possono cadere” (Helaman 5:12).

Una delle esperienze più importanti della mia vita riguardo all’edificare delle fondamenta risale a più di trentasei anni fa. Dopo aver completato i nostri studi universitari, io e Diane ci trasferimmo a Honolulu (dove sono nato e cresciuto) per dare inizio alla stagione successiva della nostra vita. Divenne una lunga stagione: 27 anni. Soltanto la chiamata di un profeta ci fece lasciare le Hawaii.

Il Tempio delle Hawaii, ora noto come Tempio di Laie perché nelle Hawaii ci sono altri due templi, fu dedicato per la prima volta dal presidente Heber J. Grant il giorno del Ringraziamento (una data appropriata), il 27 novembre 1919. Fu il primo tempio costruito al di fuori dello Utah, fatta eccezione per quelli di Kirtland e di Nauvoo. Per sessant’anni questo tempio ha servito i Santi delle Hawaii e, per buona parte di questo periodo, di tutto il Pacifico e dell’Asia. A metà degli anni 70 fu necessario chiuderlo, ampliarlo e ristrutturarlo. Di conseguenza, il tempio dovette essere ridedicato, cosa che avvenne il 13 giugno 1978.

La ridedicazione fu presieduta dal presidente della Chiesa, Spencer W. Kimball. Con lui c’erano il suo primo e il suo secondo consigliere, N. Eldon Tanner e Marion G. Romney. Erano altresì presenti Ezra Taft Benson, presidente del Quorum dei Dodici Apostoli, e altri membri dei Dodici e dei Settanta. Nella Chiesa odierna, molto più grande, non potreste vedere un numero così elevato di Fratelli più anziani riuniti insieme per un avvenimento lontano dalla sede centrale della Chiesa. Ad ogni modo, questa fu la nostra benedizione, nel 1978.

A quel tempo ero un giovane dirigente del sacerdozio, e il comitato di coordinamento per la ridedicazione del tempio mi chiese di occuparmi della sicurezza e degli spostamenti in loco del presidente Kimball e dei suoi accompagnatori. Non voglio enfatizzare le mie responsabilità; il mio era semplicemente un ruolo di sostegno, dietro le quinte. Tuttavia, il mio incarico mi permise di stare vicino al presidente Kimball. Nel corso di una settimana che comprese tre giorni di sessioni per la ridedicazione del tempio, un’assemblea solenne e una grande conferenza regionale, osservai il presidente della Chiesa da vicino. Lo vidi insegnare, rendere testimonianza e profetizzare con autorità e potere. Notai il suo sforzo instancabile di servire “il singolo”, chiedendo di incontrarsi in privato con delle persone che aveva notato durante le riunioni o mentre camminava. Lo vidi mentre veniva utilizzato costantemente come “uno strumento nelle mani di Dio” (Alma 17:9). Rimasi profondamente colpito!

Alla fine della settimana, ci trovavamo all’aeroporto per la partenza del presidente Kimball e dei suoi collaboratori. Ribadendo ancora una volta che il mio fu soltanto un ruolo limitato e di supporto, condivido con voi quanto segue. Il presidente Kimball venne da me per ringraziarmi dei miei esigui sforzi. Lui non era molto alto, ma io sono grande e grosso. Mi prese per il bavero della giacca e mi tirò giù perché fossi alla sua altezza. Poi mi diede un bacio sulla guancia e mi ringraziò. Dopo essersi allontanato di qualche passo, il presidente Kimball tornò. Mi afferrò allo stesso modo e mi tirò giù nuovamente. Questa volta mi baciò sull’altra guancia e mi disse che mi voleva bene, poi se ne andò.

L’anno prima era stata pubblicata una biografia del presidente Spencer W. Kimball, scritta da suo figlio e da suo nipote. All’epoca, avevo comprato il libro e lo avevo letto, trovandolo interessante. Tuttavia, dopo aver avuto questa esperienza così personale con Spencer Woolley Kimball, tornai a casa dall’aeroporto e presi quel grosso volume dal nostro scaffale, provando un intenso desiderio di rileggerlo. Nel corso dei giorni successivi, dedicai ogni ora del giorno a leggere e a riflettere. Vedete, ora stavo leggendo qualcosa su una persona a cui volevo molto bene. Ora stavo leggendo qualcosa su una persona che mi voleva molto bene. Ora stavo leggendo qualcosa su una persona per la quale avrei fatto qualunque cosa, perché sapevo che qualsiasi cosa mi avesse chiesto sarebbe stata per il mio massimo bene.

Nell’euforia di quella esperienza, ne ebbi un’altra, ma questa è troppo personale per poterla condividere. Tuttavia, tramite essa provai profonda vergogna. Capii che non provavo lo stesso amore e lo stesso rispetto per le Persone che contano di più, i componenti della Divinità, e in modo particolare per Gesù il Cristo, il Salvatore e Redentore. Questo mi spinse a studiare la Sua “biografia” e, tramite la preghiera, il digiuno e la meditazione, a sapere che ora stavo leggendo qualcosa su una Persona che amavo profondamente. Ora stavo leggendo qualcosa su una Persona che mi voleva molto bene. Ora stavo leggendo qualcosa su una Persona per la Quale avrei fatto qualunque cosa, perché sapevo che qualsiasi cosa mi avesse chiesto sarebbe stata per il mio massimo bene.

Miei cari giovani amici, rendo testimonianza che questa conoscenza ha fatto la differenza nella mia vita e nella nostra famiglia. Ci tengo a precisare che essa non ci ha reso magicamente immacolati e non ha necessariamente reso la vita facile. Ciò sarebbe contrario al piano di Dio. Ci ha dato tuttavia una speranza fondamentale, “un perfetto fulgore di speranza” (2 Nefi 31:20). Non abbiamo mai pensato di gettare la spugna, di lasciar perdere o di ritirarci. Mi auguro che sia così anche per voi.

Per quanto magnifici siate, in una congregazione di queste dimensioni ci sono sia molta gioia che molto dolore. Presi singolarmente, alcuni di voi potrebbero sentire molto il carico dei pesanti fardelli della vita. Forse le cose nella vostra famiglia non vanno come vorreste. Forse avete difficoltà che riguardano la vostra fede. Forse state affrontando qualcosa del vostro passato — qualcosa che avete fatto o che avete ingiustamente subito. Alcuni di voi potrebbero avere difficoltà fisiche, mentali o emotive che sembrano troppo dure da sopportare. Quali che siano le vostre circostanze, avere delle fondamenta solide allevierà il vostro carico. Custodendo il messaggio dell’inno “Sono un figlio di Dio”7, che cantiamo così spesso, nel vostro cuore e nella vostra anima — non soltanto sulle vostre labbra — e facendo continuamente affidamento sull’Espiazione del Salvatore Gesù Cristo, possono esserci pace e conforto anche nei momenti più difficili.

Oggi può essere un giorno di svolta, un giorno storico nella nostra vita. Può essere il giorno in cui decidere e impegnarci diligentemente a costruire o a rafforzare le nostre fondamenta. Per alcuni di noi, potrebbe voler dire abbandonare qualche abitudine che crea dipendenza o una pratica ripugnante che offende Dio. Per qualcun altro, potrebbe voler dire riorganizzare le priorità della propria vita e mettere al primo posto il nostro amore per Dio. Vale qualunque prezzo. Invero, questa è l’essenza di ciò che dobbiamo fare nella nostra vita.

Nel modo più personale e individuale possibile dinanzi a un pubblico così vasto, io proclamo la mia testimonianza di Gesù Cristo, pietra angolare della Chiesa e Roccia della nostra vita. Rendo testimonianza del Suo sacro nome. Rendo testimonianza della Sua autorità, della Sua missione e soprattutto della Sua Espiazione, la quale permette a ognuno di noi di venire a Lui (vedere Moroni 10:32), a prescindere dal nostro passato o dalle nostre attuali circostanze. Nel nome di Gesù Cristo. Amen.

Note

  1. Thomas S. Monson, “Un fermo sostegno”,Liahona, novembre 2006, 62.

  2. Elenco dei passi scritturali adattato da Robert J. Matthews, “I Have a Question”, Ensign, gennaio 1984, 52.

  3. “Un fermo sostegno”, Inni,  49.

  4. Henry B. Eyring, “Ascoltiamo i buoni consigli”, La Stella, luglio 1997, 28–29.

  5. Gordon B. Hinckley, “Cinque milioni di membri: non una vetta, ma una pietra miliare”, La Stella, ottobre 1982, 92–93.

  6. La storia di Mary Ann Pratt è stata tratta da Sheri Dew, Women and the Priesthood: What One Mormon Woman Believes (2013), 94–95; vedere anche Edward W. Tullidge, The Women of Mormondom (1877), 406–407.

  7. “Sono un figlio di Dio”, Inni, 190