Il sacerdozio in azione
«Abbiamo la forza d‘animo e la fede … per servire con indomito coraggio e irremovibile decisione?»
Quale gloriosa vista si apre davanti a me questa sera! Qui nel Tabernacolo della Piazza del Tempio, nella Sala delle Assemblee, nel Marriott Center dell‘Università Brigham Young e nelle cappelle sparse in tutto il mondo si è raccolto un possente esercito di uomini, il regale esercito del Signore. Ci è stato affidato il sacerdozio. Siamo stati preparati per svolgere il nostro dovere. Siamo stati chiamati a servire.
L‘esperienza vissuta dal piccolo Samuele, quando rispose alla chiamata del Signore, mi è sempre stata d‘ispirazione, come senza dubbio lo è stata per ogni detentore del sacerdozio. Ricordiamo che il piccolo Samuele serviva il Signore accanto ad Eli. Una sera, mentre dormiva, il Signore lo chiamò per nome: «Samuele». Ed egli rispose: «Eccomi». Pensando che fosse stato Eli a chiamarlo, Samuele corse da lui e ripeté: «Eccomi». Eli gli disse di tornare a dormire.
Tre volte la voce del Signore si fece udire, e ogni volta Samuele dette la stessa risposta. Poi il Signore lo chiamò per la quarta volta, ripetendo per due volte il nome del bambino: «Samuele, Samuele!»
La risposta del fanciullo, come nei precedenti casi, è un classico esempio che io e voi dobbiamo emulare. Egli rispose: «Parla, poiché il tuo servo ascolta.
Allora l‘Eterno disse a Samuele: Ecco, io sto per fare in Israele una cosa tale che chi l‘udrà ne avrà intronati ambedue gli orecchi» (vedi 1 Samuele 3:1-11).
La maggior parte di voi giovani un giorno riceverà una chiamata a svolgere una missione. Prego tanto perché la vostra risposta sia come quella di Samuele: «Eccomi … parla, poiché il tuo servo ascolta». Allora avrete l‘aiuto del cielo. Ogni missionario si sforza di essere il missionario che sua madre pensa che sia, il missionario che suo padre spera che sia – sì, il missionario che il Signore sa che egli può diventare.
Ricordo la raccomandazione per il servizio missionario di un giovane, sulla quale il vescovo aveva scritto: «Questo candidato è il migliore che abbia mai raccomandato. È stato dirigente dei quorum dei diaconi, degli insegnanti e dei sacerdoti dei quali faceva parte. Ha brillato negli studi e nello sport durante le scuole medie. Non conosco un giovane migliore di lui. P.S. Sono orgoglioso di essere suo padre». Il presidente Spencer W. Kimball, che allora era presidente del Comitato Missionario, disse una battuta: «Spero che i suoi genitori si accontenteranno della missione in cui lo mandiamo. Questa mattina non ci sono posti vacanti che egli possa occupare nel regno celeste».
Sì, qualche volta le aspettative di coloro che ci amano sono alquanto superiori alle nostre capacità. Qualche anno fa, prima che in Sud Africa fosse costruito un tempio, i santi che volevano recarsi alla casa del Signore dovevano intraprendere il lungo e costoso viaggio per andare a Londra o, più tardi, a San Paolo del Brasile. Quando mi recai in visita in Sud Africa essi, con tutta la forza del loro cuore e della loro anima, mi implorarono di importunare il presidente Kimball perché cercasse l‘ispirazione del cielo per edificare un tempio nel loro paese. Risposi che quella era una questione tra il Signore e il Suo profeta. Essi mi dissero: «Confidiamo in lei, fratello Monson. Per favore, ci aiuti».
Al mio ritorno a Salt Lake City seppi che la costruzione di un tempio in Sud Africa era già stata approvata, e che l‘annuncio ufficiale sarebbe stato dato immediatamente. Quando questo avvenne, ricevetti un telegramma dai nostri fedeli del Sud Africa che diceva: «Grazie, anziano Monson. Sapevamo che ce l‘avrebbe fatta!» Sapete, penso di non averli mai convinti che, nonostante avessi approvato il progetto, non ero stato io a proporlo.
Ogni chiamata a servire è un dramma umano per chi la riceve. Sono sicuro che è stato così per ognuno dei Fratelli che oggi sono stati sostenuti come nuove Autorità generali. Vorrei ricordarvi alcune preziose lezioni che ci può insegnare la vita di uno di questi Fratelli, Jay E. Jensen, pubblicata recentemente dal giornale Church News (8 agosto 1992, pagg. 6, 14).
L‘anziano Jensen parla delle svolte nella sua vita. Il suo risveglio spirituale cominciò quand‘era ancora bambino a Mapleton, nell‘Utah. I suoi genitori tenevano la serata familiare molto prima che questa attività diventasse un programma della Chiesa. Egli ricorda che suo padre gli leggeva delle lezioni tratte dal Libro di Mormon. Anche il grande amore che sua madre aveva per i libri esercitava su di lui un favorevole influsso. Tuttavia fu solo quando lesse da sé il resoconto della Prima Visione fatto da Joseph Smith ricevette una reale testimonianza della sua verità.
Quando ottenne il diploma di maturità, il giovane Jay e la sua fidanzata Lona decisero di sposarsi senza aspettare la chiamata ad andare in missione. «La nostra decisione quasi spezzò il cuore di mio padre», racconta l‘anziano Jensen. «La mamma mi disse che egli era scoppiato in lacrime».
Due settimane dopo, prima che fossero terminati i progetti per il matrimonio, Jay e Lona parteciparono ad una riunione sacramentale nella quale un missionario tornato a casa riferiva sulla sua missione. Lo Spirito toccò il loro cuore. Decisero di rimandare il matrimonio. Jay si alzò, andò nell‘ufficio del vescovo e si presentò per il servizio missionario. Il resto è storia. Jay servì nella Missione Ispano-americana.
Lona trovò lavoro in California e fu missionaria di palo. Quando Jay portò a termine la missione, si sposarono nel Tempio di Manti. Il padre dell‘anziano Jensen visse abbastanza a lungo da vedere suo figlio svolgere onorevolmente la missione e sposarsi nel tempio. Sorella Jensen ha detto spesso che mandare il suo futuro marito in missione fu la cosa più difficile che abbia mai dovuto fare, ma fu anche quella più rimunerativa. «Non farei mai diversamente. Se non lo avessimo fatto, non saremmo mai stati felici».
Oggi Jay e Lona sono al lavoro in Guatemala, dove Jay è membro della presidenza dell‘Area dell‘America Centrale.
Riflettendo su queste svolte nella vita di Jay e Lona Jensen, ricordiamo il detto: «La porta della storia gira su piccoli cardini»; lo stesso avviene per la vita delle persone.
Padri, nonni, leggiamo ai nostri figli e nipoti le parole del Signore? Missionari tornati a casa: quello che dite e il modo in cui vivete ispirano negli altri il desiderio di farsi avanti e andare in missione? Fratelli, siamo sufficientemente sintonizzati con lo Spirito sì che, quando il Signore chiama, sapremo udirLo come fece Samuele, e rispondere: «Eccomi»? Abbiamo la forza d‘animo e la fede, quali che siano le nostre chiamate, per servire con indomito coraggio e irremovibile decisione? Quando facciamo questo, il Signore può compiere per nostro tramite i Suoi grandi miracoli.
Uno di questi miracoli sta avvenendo nella parte meridionale degli Stati Uniti, nella regione una volta nota come Confederazione. Riguarda la genealogia e il lavoro di tempio. Durante il periodo tra il 1860 e il 1865 quella regione fu letteralmente imbevuta del sangue della gioventù americana, quando perirono centinaia di migliaia di soldati. Anche oggi, qua e là, la terra rivela il bottone di un‘uniforme, la fibbia di una cintura, una pallottola. Ma cosa possiamo dire degli uomini che caddero nel fiore degli anni? Molti non si erano mai sposati. Chi avrebbe svolto il lavoro di tempio per loro? A loro sarebbero state per sempre negate le benedizioni delle ordinanze eterne?
William D. Taylor, un canadese che non aveva legami con nessuna delle due parti coinvolte in quel conflitto di tanti anni fa, si trovò a vivere con la moglie e i figli in quella parte del Sud, e improvvisamente si sentì spinto da una forza irresistibile a occuparsi di coloro che avevano immolato la loro giovinezza. Fratello Taylor sentì la necessità di fare personalmente qualcosa, una chiamata a svolgere un silenzioso servizio.
In una lettera che mi ha mandato il 20 luglio 1992, fratello Taylor scrive: «È passato circa un anno da quando le ho mandato una relazione sul lavoro di estrazione dei nomi che viene svolto per i soldati confederati (circa quattro anni dopo l‘inizio di questo progetto). Il programma di estrazione è progredito a ritmo costante. Alla data in cui le scrivo, abbiamo presentato per il lavoro di tempio poco più di 101.000 nomi. Sono lieto che mi sia concesso di svolgere questo lavoro. Mi dà una gioia più grande di qualsiasi altra che abbia mai conosciuto. È difficile mettere per iscritto i miei sentimenti. Esulto quando i nomi dei componenti di un altro reggimento vengono preparati e inviati al tempio, e la mia anima si addolora quando le informazioni disponibili circa la storia di un reggimento sono insufficienti per consentire di presentare il nome di un soldato».
Le parole di un poeta descrivono i sentimenti di fratello Taylor:
Là li vedo marciare lungo la strada,
uno in blu e uno in grigio,
ora di nuovo a braccetto,
e là li vedo levarsi verso il Figlio,
coraggiosi ribelli e coraggiosi yankee,
all‘inizio di un silenzioso viaggio.
Fratelli, consentitemi di leggervi la descrizione che un dirigente ha fatto del lavoro del sacerdozio relativo a quest‘opera: «Sabato pomeriggio i nostri giovani del Sacerdozio di Aaronne e i loro dirigenti si sono radunati nel tempio per celebrare i battesimi per i soldati caduti. Quale meraviglioso spettacolo è stato vedere questi giovani fratelli del Sacerdozio di Aaronne battezzati dai rispettivi dirigenti del sacerdozio! Quando un giovane fratello aveva finito i suoi quattordici-quindici nomi, quasi sempre si voltava ed abbracciava il suo dirigente spargendo qualche lacrima di gioia. Quale esempio di vero amore e servizio del sacerdozio! Ho avuto l‘onore di essere presente accanto al fonte e di vedere personalmente queste cose. Posso dire che in alcuni casi l‘innegabile testimonianza dello Spirito rese noto che quei giovani soldati morti avevano accettato il battesimo, celebrato in loro favore dai nostri fratelli del Sacerdozio di Aaronne.
Scrivemmo il nome di ogni soldato che fu battezzato quel giorno glorioso, in modo che i nostri ragazzi potessero avere una breve storia dei soldati per i quali erano stati battezzati. Non ho alcun dubbio che questa esperienza avrà un duraturo effetto benefico su tutti coloro che vi hanno preso parte».
La dichiarazione del presidente Joseph F. Smith, quando parla della redenzione dei morti, offre una commovente spiegazione della gioia che conoscono tutti coloro che partecipano a queste e ad altre attività simili: «Grazie ai nostri sforzi per il loro bene, le catene che ora li legano cadranno da loro, e le tenebre che li circondano si dissiperanno affinché la luce brilli sopra di loro, ed essi odano parlare nel mondo degli spiriti dell‘opera che si è svolta per loro dai loro figli qui, e si rallegrino con voi per questo dovere da voi compiuto per il loro stesso bene».(1)
Fratello William Taylor, la lodo per aver diretto questo lavoro che porta benedizioni eterne alle sue «truppe«, che devono invero chiamarla beato.
Colui che detiene il sacerdozio di Dio non sa mai quando verrà il momento di servire. Il suo impegno è quello di essere sempre pronto a farlo. Il 24 agosto l‘uragano Andrew colpì la costa della Florida a sud di Miami con venti che superavano i trecento chilometri l‘ora, e fu causa del più costoso disastro della storia degli Stati Uniti. Andarono distrutte ottantasettemila case, lasciando centocinquantamila persone senza tetto. I danni causati dall‘uragano sono valutati a 30 miliardi di dollari. Centosettantotto case appartenenti a membri della Chiesa sono state danneggiate, quarantasei in modo irreparabile.
Già prima che l‘uragano colpisse la regione, la Chiesa aveva organizzato un‘unità di soccorso dalla sede di Atlanta. La squadra arrivò sul posto proprio mentre i venti stavano calando. L‘automezzo che trasportava cibo, acqua, coperte, arnesi e medicine fu il primo mezzo di soccorso a raggiungere la zona del disastro.
I dirigenti del sacerdozio e della Società di Soccorso locali si organizzarono rapidamente per valutare i danni alle cose e alle persone e per collaborare al lavoro di sgombero e riparazione. Tre grandi ondate di volontari, membri della Chiesa, in tutto più di cinquemila persone, lavorarono fianco a fianco con i residenti per riparare tremila case, una sinagoga ebraica, una chiesa pentecostale e due scuole. Quarantasei missionari della Missione di Ft. Lauderdale (Florida) lavorarono a tempo pieno per più di due settimane a scaricare gli automezzi carichi di provviste, a fungere da interpreti, ad aiutare le forze dell‘ordine a dirigere il traffico e a collaborare alle riparazioni.
Il tempo a mia disposizione mi consente di fare soltanto un breve resoconto di questo meraviglioso esempio del sacerdozio in azione:
1. Una mattina arrivò una telefonata alla cappella di Kendall. Una signora spiegava di essere stata informata che la Chiesa aveva a disposizione un gruppo di persone che andavano a riparare i tetti e le finestre delle case per tenerle riparate dalla pioggia. Le fu risposto che era così, ed ella lasciò il suo indirizzo. Le fu detto che dei volontari sarebbero presto andati a fare tutto il possibile per aiutarla. Ella poi chiese se doveva venire a pagare prima dei lavori e a chi doveva rivolgersi. Le fu detto che l‘intervento sarebbe stato gratuito; a queste parole ella scoppiò in singhiozzi; alla fine riuscì a dire: «Posso soltanto ringraziare Dio che vi sono persone come voi, poiché non ho i mezzi per pagare nulla».
2. Zack, un giovane di diciannove anni che attualmente si trova al Centro di addestramento per i missionari, accompagnò un automezzo carico di cibo, indumenti e altre provviste inviato dai nostri fedeli della Georgia centrale per aiutare le vittime dell‘uragano. Quando Zack stava per partire sua madre gli dette numerose bambole provenienti dalla sua preziosa collezione, che Zack ebbe il piacere di distribuire a tante bambine addolorate per la perdita di tutti gli altri loro giocattoli.
3. Un fratello di St. Anthony, nell‘Idaho, e altri dirigenti di quella zona videro alla televisione le terribili devastazioni che avevano colpito gli abitanti della Florida meridionale e sentirono l‘impellente necessità di fare qualcosa per aiutare le vittime di quella calamità. Fu presa la decisione di mandare in Florida un grosso automezzo carico di patate dell‘Idaho. Il camion fu riempito di casse e sacchi di patate e iniziò subito il lungo viaggio.
Le patate arrivarono in condizioni eccellenti. I missionari le scaricarono e le distribuirono alla popolazione. Fu stupefacente vedere quanto esse fossero gradite alla popolazione della Florida meridionale. Erano così stanchi di mangiare panini, che le patate furono descritte quasi come un dessert. In meno di tre giorni tutte le patate furono distribuite ai membri della Chiesa e ad altre persone. Questo gesto intenerì il cuore e riempì lo stomaco di tante persone, stupite dalla gentilezza dei fedeli dell‘Idaho, che erano andati in loro soccorso.
4. I sentimenti espressi da una coppia di coniugi di Huntsville, nell‘Alabama, sono quelli di tutti coloro che hanno lasciato i loro impegni e i loro interessi per precipitarsi in aiuto dei loro fratelli e sorelle in difficoltà:
«Il secondo giorno dopo il nostro arrivo nella zona disastrata era domenica, ma ci sembrò indispensabile affrettarci con il lavoro, come lo fecero coloro che partirono dalla Valle del Lago Salato di domenica per andare in soccorso dei pionieri dei carretti a mano che si trovavano in difficoltà. Sul campo da gioco di una scuola media dove eravamo accampati, ogni gruppo di palo tenne la sua riunione sacramentale e di testimonianza, prima di avviarsi a un‘altra giornata di lavoro. Cantammo gli inni che conoscevamo. Il sacramento fu benedetto e distribuito dai detentori del sacerdozio, che indossavano i vestiti da lavoro. Prendemmo il pane dalle padelle e l‘acqua dalle tazze da picnic. Lo Spirito era presente. Dato che era stato fissato il limite di un‘ora per la riunione, non tutti coloro che lo desideravano poterono portare la loro testimonianza. L‘inno di chiusura, ‹Sono un figlio di Dio›, ci ricordò che dovevamo affrettarci ad aiutare tutti i Suoi figli».
5. Un fratello della comunità di lingua spagnola accompagnato da sua moglie si avvicinò all‘anziano Alexander Morrison, presidente dell‘Area Nord America Sudorientale, e disse: «Ho perduto i miei risparmi di tutta la vita. Ho perduto la casa, la fattoria, tutti i miei avocado sono andati distrutti. Non ho più nulla». Poi sorrise e aggiunse: «Ma ho tutto. Ho il vangelo di Gesù Cristo».
Dio benedica l‘anziano Morrison, i suoi consiglieri e gli altri dirigenti del sacerdozio, i missionari, sia fratelli che sorelle, e le migliaia di fedeli che hanno lavorato con tanta energia e generosità. Essi hanno invero risposto come fece Samuele: «Eccomi».
L‘opera di riparazione e sgombero seguita all‘uragano Andrew continua, come continua quella che ha fatto seguito alle devastazioni causate dall‘uragano Iniki che ha colpito l‘isola di Kauai, nelle Hawaii.
In queste calamità, come nelle difficoltà che i singoli affrontano in silenzio ogni giorno, il sacerdozio è veramente in azione. Non disperiamo mai, poiché il lavoro che stiamo svolgendo è quello del Signore, e il Signore non ci affida mai un compito che non siamo in grado di portare a termine. L‘esortazione che il Maestro rivolge a tutti noi che ci siamo radunati questa sera, ai quali è stata conferita l‘autorità del sacerdozio e dai quali ci si aspetta il servizio del sacerdozio, porta pace al cuore e conforto all‘anima:
«Venite a me, voi tutti che siete travagliati ed aggravati, e io vi darò riposo.
Prendete su voi il mio giogo ed imparate da me, perch‘io son mansueto ed umile di cuore; e voi troverete riposo alle anime vostre; poiché il mio giogo è dolce e il mio carico è leggero» (Matteo 11:28-30).
Porto testimonianza di questa divina verità. Nel nome di Gesù Cristo. Amen.