Dio onora chi Lo onora
Il più dolce sentimento che possiamo provare su questa terra è renderci conto che Dio, il nostro Padre celeste, conosce ognuno di noi e ci consente generosamente di conoscere e di esercitare il Suo divino potere di salvare.
Non è impresa da poco presentarmi davanti a voi questa sera. Sono commosso dalla vostra fede, intimorito dal vostro potenziale e ispirato dalla vostra devozione al dovere nella causa del Maestro.
A un caro amico e collega nel lavoro del Signore, l’anziano Bruce R. McConkie, piaceva molto sentir cantare un inno. Egli diceva che le parole di quest’inno lo spingevano a fare del suo meglio. Ve ne leggerò solo due strofe:
Fratelli, siam chiamati ministri del Signor, il santo sacerdozio ci è dato per servir, predicare al mondo il solo e ver vangel e dalle più alte vette salvezza e verità … Il Suo Consolatore la via v’indicherà; per sempre ed in eterno con noi Gesù sarà.1
Quale grande promessa proclamano queste preziose parole! Esse riguardano voi, giovani che detenete il Sacerdozio di Aaronne, e voi, padri e altri fratelli che avete ricevuto il Sacerdozio di Melchisedec.
Mi sembra ieri che ero segretario del quorum dei diaconi del nostro rione. Eravamo istruiti da uomini saggi e pazienti, che insegnavano usando come libri di testo le Sacre Scritture; uomini che ci conoscevano bene, uomini che dedicavano tanto tempo ad ascoltare e a ridere, a edificare e ispirare, e sottolineavano che noi, come il Signore, potevamo crescere in saggezza e in statura e in grazia presso Dio e gli uomini2. Essi erano per noi dei buoni esempi. La loro vita rispecchiava la loro testimonianza.
La giovinezza è un periodo di crescita. Durante questi anni formativi la nostra mente si apre alla verità, ma si apre anche all’errore. La responsabilità di scegliere è lasciata a ogni diacono, insegnante e sacerdote. Man mano che passano gli anni le scelte diventano sempre più complesse, e a volte possiamo essere tentati di vacillare. La necessità di avere un personale codice d’onore si presenta non soltanto quotidianamente, ma spesso molte volte in un determinato giorno.
I consigli che si trovano in uno degli inni spesso cantati nelle nostre riunioni ci forniscono una guida ispirata:
Scegli il ben se a decidere ti trovi; sol nel ben lo Spirito è con te, a guidare i passi che tu muovi se come fine il ben tu hai3.
Un animo deciso a fare ciò che è giusto si forma in noi nella prima fanciullezza. In un cimitero, dopo la conclusione della cerimonia funebre alla quale avevo partecipato, vidi un bambino che stava accanto alla tomba ancora aperta. Il suo volto era pieno di innocenza e i suoi occhi splendenti mostravano la promessa di un felice futuro. Gli dissi: «Tu, bambino mio, diventerai un grande missionario. Quanti anni hai?»
Mi rispose: «Dieci».
«Tra nove anni verremo a cercarti per farti svolgere una missione», gli dissi.
La sua risposta fu immediata e mi rivelò qualcosa del suo carattere. Disse: «Fratello Monson, non dovrà venirmi a cercare, poiché sarò io a cercare lei». Cari giovani, alcune lezioni della vita si imparano dai genitori, mentre altre si imparano a scuola e in chiesa. Vi sono tuttavia alcuni momenti in cui voi sapete che il nostro Padre celeste impartisce l’insegnamento, e voi siete i Suoi studenti. Questa sera consentitemi di parlarvi di una lezione che fu insegnata con efficacia e ricordata per sempre. La lezione parla del nuoto, ma le sue implicazioni vanno molto al di là della capacità di nuotare.
Imparai a nuotare nella rapida corrente del Fiume Provo, nel bellissimo Provo Canyon. Il punto in cui nuotavamo era una specie di laghetto che era nato per la caduta nel fiume di un grosso masso, probabilmente quando gli operai che costruivano la ferrovia si aprivano la strada attraverso il canyon con le mine. Quella specie di laghetto era pericoloso, profondo almeno cinque metri. La corrente era forte e l’acqua ribolliva contro il grosso masso, creando una specie di mulinello alla sua base. Non era un posto adatto ai principianti o a chi non sapeva nuotare.
Un caldo pomeriggio d’estate, quando avevo circa dodici o tredici anni, presi una grossa camera d’aria da trattore, me la infilai sulle spalle e camminai a piedi nudi lungo la ferrovia che seguiva il corso del fiume. Scesi nell’acqua circa un miglio sopra il laghetto, seduto a mio agio sulla camera d’aria, e mi lasciai trasportare lentamente dalla corrente. Il fiume per me non presentava nessun pericolo, poiché conoscevo i suoi segreti.
Quel giorno la popolazione di lingua greca dell’Utah teneva una riunione nel Parco Vivian nel Provo Canyon, come facevano ogni anno. Piatti tipici, giochi e balli ellenici erano all’ordine del giorno. Ma alcuni lasciarono la festa per andare a nuotare nel fiume. Quando arrivarono al laghetto lo trovarono deserto, poiché le ombre del pomeriggio cominciavano ad avvolgerlo.
Mentre sulla mia camera d’aria che danzava sulle onde stavo per entrare nella parte più rapida della corrente, proprio all’inizio del laghetto, sentii delle invocazioni spaventate: «Salvatela! Salvatela!» Una ragazza, abituata alle acque calme e sicure della piscina della palestra, era caduta dal masso nel pericoloso mulinello. Nessuno del suo gruppo sapeva nuotare per tentare di salvarla. Improvvisamente arrivai sulla scena che poteva trasformarsi in tragedia. Vidi la testa della ragazza che scompariva sott’acqua per la terza volta per scendere nella sua fredda tomba. Allungai la mano, l’afferrai per i capelli e la sollevai su un fianco della camera d’aria, tenendola stretta tra le braccia. Arrivato alla parte inferiore del laghetto dove l’acqua era più lenta, spinsi la camera d’aria con il suo prezioso carico tra le braccia dei parenti e amici in attesa. Essi stringevano e baciavano la ragazza, gridando tra le lacrime: «Sia ringraziato Dio! Sia ringraziato Dio che sei salva!» Poi abbracciarono e baciarono anche me. Ero imbarazzato e tornai rapidamente alla mia camera d’aria, per continuare la mia discesa sino al ponte del Parco Vivian. L’acqua era gelata, ma io non avevo freddo, poiché ero pieno di un sentimento di calore. Ero consapevole di aver partecipato a salvare una vita. Il Padre celeste aveva udito le grida: «Salvatela! Salvatela!» e aveva permesso a me, un diacono, di arrivare sul posto nel momento esatto in cui era necessaria la mia presenza. Quel giorno imparai che il più dolce sentimento che possiamo provare su questa terra è renderci conto che Dio, nostro Padre celeste, conosce ognuno di noi e ci consente generosamente di conoscere ed esercitare il Suo potere divino di salvare.
Pregate sempre mentre svolgete i compiti del vostro sacerdozio, e non vi troverete mai nella situazione in cui si trovò Alice nel Paese delle Meraviglie. Come racconta Lewis Carroll, Alice percorreva una strada attraverso il bosco nel Paese delle Meraviglie quando arrivò a un bivio. Incerta sul da farsi, ella chiese al gatto del Cheshire, improvvisamente apparso su un albero vicino, quale via doveva prendere. «Dove vuoi andare?» chiese il gatto.
«Non lo so», rispose Alice.
«Allora», disse il gatto, «non ha assolutamente importanza quale via prendi».
Noi che deteniamo il sacerdozio sappiamo dove vogliamo andare. Il nostro obiettivo è il regno celeste del nostro Padre. Noi abbiamo il sacro dovere di seguire la via ben definita che porta ad esso.
Presto sarete pronti per svolgere una missione. È cosa meravigliosa che voi siate disposti e preparati a servire ovunque lo Spirito del Signore vi chiede. Questo è già un miracolo moderno, considerati i tempi in cui viviamo.
Il lavoro missionario è duro. Il servizio missionario è impegnativo e richiede lunghe ore di studio e di preparazione, affinché il missionario possa essere all’altezza del messaggio divino che proclama. È un’impresa d’amore, ma anche di sacrificio e di devozione al dovere.
La madre ansiosa di un candidato missionario una volta mi chiese cosa raccomandavo che suo figlio imparasse prima dell’arrivo della sua chiamata in missione. Sono certo che ella si aspettava una profonda risposta che avrebbe citato i requisiti più noti per questo servizio, di cui tutti siamo a conoscenza. Invece le dissi: «Insegni a suo figlio a cucinare, ma in particolare gli insegni ad andare d’accordo con gli altri. Egli sarà più felice e più utile se apprende queste due cose indispensabili».
Cari giovani, voi vi preparate per la missione quando imparate i vostri doveri come diaconi, insegnanti e sacerdoti, e poi li svolgete con determinazione e amore, consapevoli di essere al servizio del Signore.
Qualche volta le lezioni si imparano senza bisogno di parole. Alcune settimane fa ho partecipato a una riunione sacramentale in una casa di cura di Salt Lake City. I sacerdoti al tavolo sacramentale sedevano compostamente in attesa di svolgere i loro compiti quando fu annunciato l’inno di apertura. Uno dei pazienti in prima fila in quella grande sala aveva difficoltà ad aprire il suo innario. Senza fare domande, uno dei giovani si avvicinò con calma al fianco del paziente, aprì l’innario alla pagina dell’inno che si doveva cantare e mise il dito dell’invalido all’inizio della prima strofa dell’inno. Tra i due ci fu uno scambio di sorrisi, e il sacerdote ritornò al suo posto. Quel semplice gesto di amore e di servizio mi colpì profondamente. Mi congratulai con il giovane e gli dissi: «Tu sarai un missionario molto efficace».
Alcuni missionari hanno il dono di esprimersi con convinzione, mentre altri hanno una conoscenza superiore del Vangelo. Alcuni tuttavia fioriscono tardi, diventando sempre più efficaci e capaci giorno dopo giorno. Evitate la tentazione di salire la scala della gerarchia della missione. Conta poco se siete capo distretto o capo zona o assistente del presidente. La cosa più importante è che ognuno faccia del suo meglio nel lavoro al quale è stato chiamato. Ricordo che avevo alcuni missionari così bravi nell’addestrare i missionari nuovi arrivati, che non riuscivo a liberarli per svolgere altri incarichi direttivi.
Entrare nel campo di missione qualche volta può darci un senso di oppressione, può essere un’esperienza negativa. Il presidente Harold B. Lee un giorno mi parlò di coloro che si sentivano inadeguati e preoccupati quando ricevevano un incarico nella Chiesa. Egli dava loro questo consiglio: «Ricordate che chi è chiamato dal Signore è da Lui preparato a svolgere il compito».
Quando ero presidente della Missione Canadese con sede a Toronto, un missionario venne nella nostra missione; era privo di alcuni dei talenti posseduti da altri, e tuttavia si immerse devotamente nel lavoro missionario. Era un lavoro difficile per lui; tuttavia egli lottava coraggiosamente per fare del suo meglio.
In una conferenza di zona tenuta alla presenza di un’Autorità generale i missionari non avevano avuto molto successo in un quiz sulle Scritture diretto dal visitatore. Questi, con una punta di sarcasmo, osservò: «Se devo dir la verità, non credo che questo gruppo sappia neppure il nome degli opuscoli missionari di base e dei loro autori».
Quella fu la proverbiale «goccia» che fece traboccare il vaso. Dissi: «Penso che li conoscano davvero».
«Ebbene, vediamo», egli disse, e poi fece alzare i missionari. La scelta di un missionario per dimostrare che avevo ragione non cadde su nessuno dei missionari che avevano l’aspetto più intelligente, che erano più esperti, che erano più istruiti, ma piuttosto sul mio nuovo missionario, che aveva incontrato tanta difficoltà a imparare proprio quelle cose. Mi sentii letteralmente venir meno. Vidi l’espressione impaurita del volto del missionario. Sapevo che era paralizzato dal timore. Quanto pregai! Con quanta sincerità pregai: «Padre celeste, vieni in suo aiuto»! Ed Egli lo fece. Dopo una lunga pausa il visitatore chiese: «Chi ha scritto l’opuscolo Il piano di salvezza?»
Dopo quella che sembrò un’eternità, il missionario ancora tremante rispose: «John Morgan»,
«Chi ha scritto Qual è la vera chiesa?»
Di nuovo una pausa, e poi la risposta: «Mark E. Petersen».
«E La decima del Signore?»
«Questo l’ha scritto James E. Talmage», fu la risposta.
E così andò avanti con l’elenco degli opuscoli missionari che usavamo a quel tempo. Infine ci fu la domanda: «C’è un altro opuscolo?»
«Sì. È intitolato E dopo il battesimo?».
«Chi l’ha scritto?»
Senza esitazione il missionario rispose: «Il nome dell’autore non è indicato nell’opuscolo, ma il mio presidente di missione mi ha detto che è stato scritto dall’anziano Mark E. Petersen su incarico del presidente David O. McKay».
L’Autorità generale allora dimostrò la sua grandezza d’animo. Voltandosi verso di me disse: «Presidente Monson, devo a lei e ai suoi missionari le mie scuse. Essi conoscono gli opuscoli di base e i loro autori». Quel giorno egli divenne più grande ai miei occhi, e in seguito diventammo buoni amici.
Ma che debbo dire di quel missionario? Egli portò a termine onorevolmente la missione e tornò a casa nell’Ovest. In seguito fu chiamato come vescovo del suo rione. Ogni anno ricevo una cartolina di Natale da lui, sua moglie e i suoi figli. Egli firma sempre con il suo nome, poi aggiunge questa osservazione: «Dal suo miglior missionario».
Ogni anno, quando arriva la sua cartolina di Natale, penso a quell’episodio, e la lezione che impariamo nel primo libro di Samuele nella Sacra Bibbia penetra nella mia anima. Ricorderete che il Signore comandò al profeta Samuele di andare a Bethlehem da Isai, a portargli la rivelazione che uno dei suoi figli sarebbe diventato re. Samuele fece come il Signore gli aveva comandato. Ognuno dei figli di Isai fu presentato a Samuele – ben sette di loro. Anche se erano biondi e di bell’aspetto, il Signore disse a Samuele che nessuno di essi doveva essere scelto. «Poi Samuele disse ad Isai: ‹Sono questi tutti i tuoi figli?› Isai rispose: ‹Resta ancora il più giovane, ma è a pascere le pecore›. E Samuele disse ad Isai: ‹Mandalo a cercare … Isai dunque lo mandò a cercare e lo fece venire … E l’Eterno disse a Samuele: ‹Lèvati, ungilo, perch’egli è desso›».4
La lezione che dobbiamo imparare si trova nel sedicesimo capitolo del primo libro di Samuele, versetto 7: «L’uomo riguarda all’apparenza, ma l’Eterno riguarda al cuore».5
Come detentori del sacerdozio, se siamo tutti uniti, ognuno di noi può rendersi degno di ricevere la guida e il sostegno del nostro Padre celeste nello svolgimento delle nostre rispettive chiamate. Siamo impegnati a svolgere il lavoro del Signore Gesù Cristo. Noi, come gli uomini dei tempi antichi, abbiamo risposto alla Sua chiamata. Stiamo svolgendo la missione che Egli ci ha affidato. Avremo successo nell’assolvere il solenne incarico, affidatoci da Mormon, di proclamare la parola del Signore tra il Suo popolo. Egli scrisse infatti: «Io sono un discepolo di Gesù Cristo, il Figlio di Dio. Sono stato chiamato da Lui ad annunciare la Sua parola fra il Suo popolo, perché esso possa avere la vita eterna».6
Ricordiamo sempre che «Dio onora chi Lo onora». Nel nome di Gesù Cristo. Amen. 9