«Chiamati a servirLo»
Mantenere la nostra famiglia e servire fedelmente nella Chiesa senza correre più veloce di quanto si abbiano le forze richiede saggezza, giudizio, aiuto divino e, inevitabilmente, un po’ di sacrificio.
Buenas tardes, hermanos y hermanas. Vi porto i saluti dei meravigliosi membri e missionari dell’America Latina. Come molti di voi sanno, l’anziano Dallin Oaks e sua moglie e l’anziano Holland e sua moglie sono stati chiamati a servire rispettivamente nelle aree della Chiesa delle Filippine e del Cile. Secondo il gran parlare che si è fatto, queste chiamate hanno riscosso più interesse nella Chiesa di quanto ci si aspettasse. Malgrado le speculazioni, penso di essere autorizzato ad assicurarvi che non siamo stati assegnati in queste terre lontane come due dei quattro cavalieri dell’Apocalisse. Coloro che cercano dei «segni» in questo evento, devono prenderlo come segno della magnifica crescita della Chiesa, i cui membri e missionari sono sparsi in ogni lingua e continente. È una gioia incontrare e servire i Santi degli Ultimi Giorni di ogni dove, vicini e lontani, a casa o all’estero, e vi ringraziamo per le vostre preghiere e l’interesse che prestate all’opera.
Un compito simile svolto dai Dodici non è certamente nuovo e devo dire che la nostra generazione ha meno problemi in questo senso dei nostri predecessori. La cosa migliore è che sorella Holland è al mio fianco, invece di essere a casa a mantenere sé stessa e i nostri figli. Inoltre, non ho dovuto lavorare durante il viaggio per guadagnare i soldi per un biglietto per Santiago. Abbiamo volato verso la nostra meta per poche ore su un aereo moderno invece di navigare per settimane o mesi su un ponte di terza classe. Non ho iniziato il viaggio affetto da brividi di febbre, malaria, colera o tubercolosi, anche se ho avuto il raffreddore e il nostro aereo ha avuto un’ora di ritardo. Spero che questi miei sacrifici mi qualifichino un giorno a incontrare faccia a faccia, Pietro, Paolo, Brigham e Wilford.
Come molti di voi, sono cresciuto ascoltando le storie dei primi fratelli che andarono in Canada, Inghilterra, Scandinavia, Europa continentale, isole del Pacifico, Messico, Asia e così via. Più di recente ho letto della breve missione di Parley P. Pratt in Cile, dove con la moglie dovette seppellire il giovane figlio a Valparaiso. Ho letto dell’anziano Melvin J. Ballard che fu chiamato a dedicare il Sud America quando quel meraviglioso continente era un campo di missione ancora nuovo e molto impegnativo. Il servizio che rafforza una Chiesa giovane e in crescita viene richiesto senza troppe preoccupazioni e offerto con semplicità. A volte gli ostacoli sono stati grandi e il prezzo pagato molto caro.
Non parliamo solo di quei primi fratelli che andarono a servire, ma anche delle donne che li sostennero, oltre a sostenere loro stesse e i loro figli rimanendo a casa per crescere e proteggere la famiglia, l’altra parte della vigna del Signore cui Egli dà molta enfasi.
Il giorno della seconda partenza del marito per l’Inghilterra, Vilate Kimball era così debole e tremante per via della malaria, che riuscì soltanto a stringere debolmente la mano del marito quando si presentò in lacrime per salutarla. Il piccolo David allora aveva meno di quattro settimane, e solo un figlio, Heber Parley di quattro anni, stava abbastanza bene da portare dell’acqua alla famiglia malata. Nelle ore successive alla partenza del marito, Vilate perse ogni forza e dovette essere confinata a letto e assistita.
Mary Ann Young e i suoi figli erano altrettanto malati quando Brigham partì per la stessa missione, e la situazione finanziaria era altrettanto precaria. Un racconto commovente descrive come ella attraversò il fiume Mississippi nel rigido inverno, vestita con abiti leggeri, raffreddata e tremante, tenendo stretta a sé la figlia neonata, per andare all’ufficio delle decime di Nauvoo a chiedere un po’ di patate. Poi, ancora in preda alla febbre, tornò indietro con la sua piccola riattraversando il fiume pericoloso, senza fare parola alcuna con il marito di tali difficoltà.1
Difficilmente oggi ci troviamo ad affrontare circostanze simili, anche se molti missionari e membri della Chiesa si sacrificano grandemente per svolgere l’opera del Signore. Man mano che giungono le benedizioni e la Chiesa matura, speriamo che servire non sia più così difficile come per quei primi fedeli, ma come cantano i missionari da Oslo a Osorno, da Seattle a Cebu, siamo «chiamati a servirLo».2 Mantenere la nostra famiglia e servire fedelmente nella Chiesa senza correre più veloce di quanto si abbiano le forze3 richiede saggezza, giudizio, aiuto divino e, inevitabilmente, un po’ di sacrificio. Dai tempi di Adamo al giorno d’oggi, la vera fede nel Signore Gesù Cristo è stata collegata all’offerta del sacrificio, un piccolo dono a simbolo del Suo maestoso sacrificio.4 Con occhio fisso sull’espiazione di Gesù Cristo, il profeta Joseph Smith insegnò che una religione che non contempla le alleanze di sacrificio non può avere il potere di far avverare la promessa dellavita eterna.5
Desidero farvi un esempio recente delle difficoltà e delle benedizioni che la nostra «chiamata a servire» può portare. Una splendida sorella di recente ha detto a una cara amica: «Voglio raccontarti il momento in cui ho smesso di prendermela per il tempo e i sacrifici donati da mio marito quale vescovo. Era incredibile come le ‹emergenze› di un membro del rione si presentassero proprio nel momento in cui stavamo andando da qualche parte insieme per un’occasione speciale.
Una sera gli espressi la mia frustrazione ed egli fu d’accordo con me che dovevamo riservare un’altra sera alla settimana, oltre al lunedì, da trascorrere insieme. Giunse la prima di quelle sere e mentre stavamo salendo in macchina squillò il telefono.
‹È un test›, gli dissi sorridendo. Il telefono continuava a suonare. ‹Ricorda il nostro accordo. Ricorda il nostro appuntamento. Ricordati di me. Lascia squillare il telefono›. Alla fine non sorridevo più.
Il mio povero marito era in trappola tra me e il suono del telefono. In realtà sapevo che la sua lealtà era rivolta a me e che egli voleva trascorressimo la serata insieme quanto me. Ma era come paralizzato dal suono del telefono.
‹Farei meglio almeno a rispondere›, disse con aria triste. ‹Probabilmente non è nulla di importante›.
‹Se lo farai, la nostra serata sarà rovinata›, mi lamentai. ‹Ne sono certa›.
Mi strinse la mano e disse: ‹Torno subito›, poi corse a sollevare il ricevitore.
‹Quando vidi che non tornava subito, capii cosa stava succedendo. Uscii dall’auto, tornai a casa e andai a dormire. Il mattino seguente egli si scusò e io accettai le sue scuse in modo tranquillo e la questione finì così.
O almeno credevo. Alcune settimane dopo scoprii che quell’episodio ancora mi turbava. Non incolpavo mio marito, tuttavia ero delusa. Il ricordo era sempre vivo in me quando incontrai una donna del rione che conoscevo appena. Con un po’ di esitazione mi chiese di parlarmi. Mi disse di essersi infatuata di un altro uomo che sembrava portare molta emozione nella sua vita faticosa, con un marito che lavorava a tempo pieno e seguiva molti corsi all’università. Il loro appartamento era come una prigione. Aveva dei bambini piccoli che richiedevano molte attenzioni ed erano molto rumorosi e stancanti. Mi disse: ‹Ero quasi tentata a lasciare quella che appariva una situazione orrenda solo per andare con quest’uomo. Pensavo di meritare qualcosa di meglio. La ragione umana mi persuase a pensare che potevo abbandonare mio marito, i miei figli, le mie alleanze del tempio e la mia chiesa per trovare felicità con questo sconosciuto.
Il piano era pronto, il tempo per la fuga stabilito. Poi, in un barlume di lucidità, la mia coscienza mi disse di chiamare suo marito, il mio vescovo. Dico ‹coscienza›, ma so che fu un suggerimento che veniva direttamente dal cielo. Contro la mia volontà lo chiamai. Il telefono continuava a suonare. La mia mente era così confusa che pensai: ‹se il vescovo non risponde, sarà un segno che devo seguire il mio piano›. Il telefono continuava a suonare e stavo per riagganciare per dirigermi verso la distruzione quando improvvisamente sentii la voce di suo marito. Penetrò nella mia anima come un fulmine. All’improvviso mi ritrovai a singhiozzare: ‹Vescovo, è lei? Sono nei guai. Ho bisogno di aiuto›. Suo marito venne in mio aiuto e io sono salva perché lui rispose al telefono.
Ripensandoci, mi accorgo che ero stanca, sciocca e vulnerabile. Amo mio marito e i miei figli con tutto il cuore. Non riesco a immaginare la tragedia che avrei affrontato senza di loro. Sono ancora momenti difficili per la nostra famiglia, ma so che tutti li hanno. Ne abbiamo parlato e le cose sembrano migliorare, e alla fine si risolveranno›. Poi aggiunse: ‹Non la conosco bene, ma desidero ringraziarla per il sostegno che dà a suo marito nella sua chiamata. Non so quale prezzo dobbiate pagare per il suo servizio lei e i suoi figli, ma se qualche volta il prezzo le sembra troppo caro, la prego di sapere quanto sarò eternamente grata per il sacrificio che le persone come lei fanno per salvare persone come me›».
Fratelli e sorelle, sappiate che predico energicamente una prospettiva più gestibile e realistica di ciò che i nostri vescovi e gli altri dirigenti possono fare. Sento in particolar modo che molte esigenze civili, professionali e di altra natura allontanano i genitori, soprattutto le madri, dalle loro case in cui crescono i figli causando alcuni tra i più gravi problemi della società moderna. E poiché sono intransigente riguardo al fatto che i coniugi e i figli meritano sacro e dedicato tempo con il proprio marito e padre, nove volte su dieci mi sarei schierato dalla parte di quella moglie che diceva al marito di non rispondere al telefono. Ma sono grato, a modo mio come quella giovane fu a modo suo, che in quel caso un bravo uomo seguì i suggerimenti dello Spirito e rispose alla sua «chiamata», in questo caso letteralmente «chiamata a servire».
Porto testimonianza che la famiglia e il matrimonio sono i beni più preziosi della vita. Porto testimonianza della necessità di proteggerli mentre troviamo il tempo e il modo di servire fedelmente nella Chiesa. In quelle occasioni, che spero siano rare, in cui si entra in conflitto tra le responsabilità familiari e il momento in cui un dovere o un suggerimento spirituale richiede un nostro intervento, in quelle situazioni rendo omaggio a ogni moglie che è rimasta da sola mentre la cena si freddava, ogni marito che si è preparato da solo la cena che, con un cuoco come lui, era come se fosse fredda, e ogni figlio che è rimasto deluso per aver dovuto rimandare una gita o rinunciare alla presenza di un genitore a una partita di pallone (spero che non succeda troppo spesso!) Rendo omaggio a ogni presidente di missione e a sua moglie, i loro figli e ogni coppia anziana chiamata a servire con loro, e tutti coloro che per un certo periodo non sono presenti alle nascite, ai battesimi, ai matrimoni e ai funerali dellafamiglia per rispondere alla loro chiamata a servire. Ringrazio tutti coloro che, in difficili circostanze, «fanno semplicemente del loro meglio per edificare il regno di Dio sulla terra».
Porto testimonianza del sacrificio e del servizio prestato dal Signore Gesù Cristo, il Quale diede ogni cosa per noi, e con quello spirito disse «tu seguimi».6 «Se uno mi serve, mi segua; e là dove son io, quivi sarà anche il mio servitore; se uno mi serve, il Padre l’onorerà».7 Questo tipo di servizio porta inevitabilmente a decisioni difficili su come dare il giusto peso alle priorità e come essere il miglior discepolo che Egli desidera che siamo. Lo ringrazio per la Sua divina guida nell’aiutarci a prendere queste decisioni e nel trovare la strada giusta per tutti coloro che ne sono coinvolti. Lo ringrazio perché «eran le nostre malattie ch’egli portava, erano i nostri dolori quelli di cui s’era caricato»8 e perché ci ha chiamati a fare lo stesso gli uni per gli altri. Nel sacro nome di Gesù Cristo. Amen.