Ben disposti e degni di servire
Quando si comprende il sacerdozio, se ne onora il potere e lo si usa appropriatamente e si esercita la fede, si vedono accadere miracoli ovunque.
Miei amati fratelli, è bello essere nuovamente con voi. Ogni volta che partecipo alla riunione del sacerdozio, rifletto sugli insegnamenti di alcuni nobili dirigenti del Signore che hanno parlato alle riunioni generali del sacerdozio della Chiesa. Molti sono andati incontro alla loro ricompensa eterna, tuttavia, tramite le loro menti brillanti, la profondità della loro anima e il calore del loro cuore, ci hanno dato consigli ispirati. Questa sera condividerò con voi alcuni dei loro insegnamenti sul sacerdozio.
Il profeta Joseph Smith disse: “Il sacerdozio è un principio eterno che esisteva insieme a Dio dall’eternità e che esisterà per l’eternità, senza principio di giorni o fine d’anni”.1
Dalle parole del presidente Wilford Woodruff impariamo: “Il santo sacerdozio è il veicolo mediante il quale Dio comunica e tratta con l’uomo sulla terra; i messaggeri celesti che hanno visitato la terra per comunicare con l’uomo sono essi stessi uomini che detennero e fecero onore al sacerdozio mentre si trovavano nella carne. Tutto ciò che Dio ha voluto fosse fatto per la salvezza dell’uomo, dalla Sua venuta sulla terra alla redenzione del mondo, è sempre stato e sempre sarà fatto in virtù del sacerdozio eterno”.2
Il presidente Joseph F. Smith chiarì dicendo: “Il sacerdozio… è il potere di Dio delegato all’uomo tramite il quale egli può agire sulla terra per la salvezza della famiglia umana, nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, e agire legittimamente; non supponendo di avere tale autorità, non prendendola a prestito dalle generazioni di coloro che sono già defunti, ma un’autorità che è stata data in questo giorno in cui viviamo tramite il ministero degli angeli e degli spiriti dall’alto, direttamente dalla presenza dell’Iddio Onnipotente”.3
Infine, il presidente John Taylor disse: “Cos’è il sacerdozio?… è il governo di Dio, sia in terra che in cielo, poiché è tramite questo potere, autorità o principio che tutte le cose sono governate sulla terra o nei cieli ed è tramite questo potere che tutte le cose sono rette e sostenute. Esso governa tutto, dirige tutto, sostiene tutto e ha a che fare con tutte le cose associate a Dio e alla verità”.4
Siamo molto benedetti a essere qui negli ultimi giorni, quando il sacerdozio di Dio è sulla terra. Abbiamo il grande privilegio di detenere questo sacerdozio. Il sacerdozio in realtà non è tanto un dono quanto l’incarico di servire, il privilegio di sostenere e la possibilità di aiutare gli altri.
Queste opportunità sono accompagnate da responsabilità e doveri. Amo e rispetto la nobile parola dovere e tutto ciò che racchiude.
Per un incarico o un altro e in varie circostanze, partecipo alle riunioni del sacerdozio da ormai 72 anni, ovvero da quando fui ordinato diacono all’età di 12 anni. Il tempo viene scandito. Il dovere segue il ritmo di questa corsa. Il dovere non svanisce né diminuisce. I conflitti catastrofici vanno e vengono, ma la guerra mossa contro l’anima degli uomini continua senza tregua. Come il suono di una tromba, la parola del Signore arriva a voi e a me, e ai detentori del sacerdozio dappertutto: “Pertanto, che ora ognuno con ogni diligenza apprenda il suo dovere e impari ad agire nell’ufficio a cui è nominato”.5
La voce del dovere raggiunse Adamo, Noè, Abrahamo, Mosè, Samuele, Davide. Si fece udire dal profeta Joseph Smith e da ognuno dei suoi successori. La voce del dovere fu udita dal giovane Nefi quando fu istruito dal Signore, per mezzo di suo padre Lehi, di ritornare a Gerusalemme con i suoi fratelli per farsi dare le tavole di bronzo da Labano. I fratelli di Nefi mormorarono, dicendo che ciò che era stato loro richiesto era troppo difficile. Quale fu la risposta di Nefi? Egli disse: “Andrò e farò le cose che il Signore ha comandato, poiché so che il Signore non dà alcun comandamento ai figlioli degli uomini senza preparare loro una via affinché possano compiere quello che egli comanda loro”.6
Quando lo stesso invito sarà rivolto a me e a voi, quale sarà la nostra risposta? Mormoreremo come Laman e Lemuele, e diremo: “Ciò che ci viene richiesto è troppo difficile?”7 Oppure insieme a Nefi ognuno di noi dichiarerà, “Andrò e farò”? Saremo disposti a servire e a obbedire?
A volte la saggezza di Dio appare come stoltezza o come troppo difficile agli uomini, ma una delle lezioni più grandi e preziose che possiamo imparare in questa vita è che, quando Dio parla e l’uomo obbedisce, quell’uomo fa sempre la cosa giusta.
Quando penso alla parola dovere e a come svolgere il nostro dovere possa arricchire la nostra vita e quella degli altri, mi sovvengono le parole scritte da un famoso poeta e autore:
Ho dormito e sognato
che la vita era gioia.
Mi sono svegliato e ho visto
che la vita era dovere.
Ho agito, e ho visto
che il dovere era gioia.8
Robert Louis Stevenson si è espresso con altre parole. Disse: “So cos’è il piacere, poiché ho svolto un buon lavoro”.9
Quando svolgiamo i nostri doveri ed esercitiamo il nostro sacerdozio, troviamo la vera gioia. Proveremo la soddisfazione di aver portato a termine i nostri compiti.
Ci sono stati insegnati i doveri specifici del sacerdozio che deteniamo, che sia il sacerdozio di Aaronne o di Melchisedec. Vi sprono a pensare bene a quei doveri e poi a fare tutto ciò che è in vostro potere per svolgerli. Per farlo, ciascuno deve essere degno. Facciamo sì che le nostre mani siano pronte ad aiutare, pure e disposte a servire, affinché possiamo dare quello che il Padre Celeste vuole che gli altri ricevano da Lui. Se non siamo degni, è possibile perdere il potere del sacerdozio, e se lo perdiamo, abbiamo perso l’essenza dell’Esaltazione. Dobbiamo essere degni di servire.
Il presidente Harold B. Lee, uno dei grandi insegnanti nella Chiesa, disse: “Un uomo che giunga a detenere il sacerdozio diviene un rappresentante del Signore. Egli deve pensare alla propria chiamata come a quella di chi è al servizio del Signore”.10
Durante la Seconda Guerra Mondiale, all’inizio del 1944, mentre i marines degli Stati Uniti stavano prendendo possesso dell’atollo di Kwajalein, una parte delle Isole Marshall situata nell’Oceano Pacifico, più o meno a metà tra l’Australia e le Hawaii, accadde una cosa che coinvolse il sacerdozio. Ciò che accadde in questa storia fu raccontato da un corrispondente — che non era un membro della Chiesa — che lavorava per un giornale nelle Hawaii. Nell’articolo di giornale del 1944, egli scrisse in seguito all’esperienza e spiegò che lui e altri corrispondenti si trovavano nel secondo gruppo, dietro ai marines, sull’atollo di Kwajalein. Mentre avanzavano notarono un giovane marine che galleggiava a faccia in giù nell’acqua, ovviamente ferito gravemente. L’acqua bassa intorno a lui era rossa del suo sangue. Poi notarono un altro marine che si muoveva verso il suo commilitone ferito. Il secondo marine era anch’egli ferito, con il braccio sinistro penzolante inerte al suo fianco. Sollevò la testa del compagno che era a galla nell’acqua, per evitare che annegasse. Con voce impaurita chiamò aiuto. I corrispondenti guardarono nuovamente il ragazzo che egli sosteneva e risposero: “Figliolo, non possiamo fare nulla per quel ragazzo”.
“Poi”, scrisse il corrispondente, “vidi qualcosa che non avevo mai visto prima”. Questo ragazzo, anch’egli gravemente ferito, si recò sulla riva con il corpo, apparentemente senza vita, del suo compagno marine. “Poggiò la testa del suo compagno sulle ginocchia… Fu una scena incredibile — questi due ragazzi feriti a morte — entrambi… giovani puri dall’aspetto meraviglioso, anche nella loro situazione disperata. Il ragazzo chinò il suo capo sull’altro e disse: ‘Ti comando, nel nome di Gesù Cristo e per il potere del sacerdozio, di rimanere in vita fino a che riesca a trovare l’aiuto di un medico’”. Il corrispondente concluse il suo articolo: “Tutti noi, [i due marine e io], siamo qui in ospedale. I dottori non sanno… [come abbiano fatto a sopravvivere], ma io lo so”.11
Quando si comprende il sacerdozio, se ne onora il potere e lo si usa appropriatamente e si esercita la fede, si vedono accadere miracoli ovunque. Quando la fede sostituisce il dubbio, quando il servizio altruistico elimina l’egoismo, il potere di Dio fa avverare i Suoi propositi.
La chiamata a svolgere il nostro dovere può arrivare in silenzio, quando noi che deteniamo il sacerdozio rispondiamo agli incarichi che riceviamo. Il presidente George Albert Smith, quel dirigente modesto eppure efficiente, insegnò: “È prima di tutto vostro compito imparare ciò che il Signore vuole e poi, attraverso il potere e la forza del Suo santo sacerdozio, onorare la vostra chiamata in presenza dei vostri amici in maniera tale che la gente sia contenta di seguirvi”.12
Tale chiamata a svolgere il proprio dovere — una chiamata molto meno sensazionale, che tuttavia aiutò a salvare un’anima — mi arrivò nel 1950 quando ero stato appena chiamato vescovo. Le mie responsabilità come vescovo erano molte e varie, e io provavo a fare del mio meglio per fare tutto ciò che mi era richiesto. A quel tempo gli Stati Uniti erano impegnati in un’altra guerra. Poiché molti dei nostri membri erano di servizio nelle forze armate, dalla sede della Chiesa arrivò un incarico insolito per tutti i vescovi, i quali dovevano fornire a tutti i membri in servizio militare un abbonamento alle pubblicazioni Church News e Improvement Era, le riviste della Chiesa a quel tempo. Oltre a ciò, ogni vescovo doveva scrivere mensilmente una lettera personale a ciascun militare del suo rione. Il nostro rione contava ventitré membri sotto le armi. Con qualche sforzo i quorum del sacerdozio reperirono i fondi per gli abbonamenti alle pubblicazioni indicate. Io intrapresi il compito, direi il dovere, di scrivere ogni mese ventitré lettere personali. Dopo tanti anni conservo ancora le copie di molte delle mie lettere e le risposte ricevute. Quando rileggo queste lettere mi commuovo facilmente. È una gioia ogni volta rileggere l’impegno di un soldato all’osservanza del Vangelo o la decisione di un marinaio di rimanere fedele alla famiglia.
Una sera consegnai a una sorella del rione le ventitré lettere di quel mese. Ella aveva l’incarico di occuparsi della spedizione e di tenere una lista aggiornata degli indirizzi dei militari. Gettò lo sguardo su una busta e con un sorriso chiese: “Vescovo, non si scoraggia mai? Qui c’è un’altra lettera per il fratello Bryson. È la diciassettesima lettera che gli manda senza che lui risponda”.
Le dissi: “Be’, forse questa sarà la volta buona”. E lo fu, quel mese rispose. Per la prima volta, rispose alla mia lettera. La sua risposta è per me un ricordo, un tesoro. Egli si trovava su una spiaggia distante, isolato, afflitto dalla nostalgia di casa e solo. Scrisse: “Caro vescovo, non sono bravo a scrivere lettere” (questo avrei potevo dirglielo anche io molti mesi prima). La lettera continuava: “Grazie per il Church News e per le riviste, ma soprattutto grazie delle lettere personali. Ho cambiato completamente vita. Sono stato ordinato sacerdote nel sacerdozio di Aaronne. Il mio cuore è pieno di gioia. Sono un uomo felice”.
Il fratello Bryson non poteva essere più felice di quanto lo fosse il suo vescovo. Avevo imparato l’applicazione pratica del vecchio adagio: “Fai il tuo dovere al meglio e lascia a Dio il resto”.13
Qualche anno dopo, mentre partecipavo alla conferenza del palo di Cottonwood, a Salt Lake, di cui l’anziano James E. Faust era presidente, riferii questo episodio nel tentativo di incoraggiare una maggiore attenzione nei confronti dei militari. Dopo la riunione, un giovane di bell’aspetto si fece avanti. Mi prese la mano e mi chiese: “Vescovo Monson, si ricorda di me?”
Mi resi subito conto di chi fosse. “Fratello Bryson!”, esclamai. “Come sta? Cosa sta facendo nella Chiesa?”
Con calore ed evidente fierezza rispose: “Sto molto bene. Faccio parte della presidenza del mio quorum di anziani. Grazie ancora per il suo interessamento e per le lettere che mi ha scritto, e di cui faccio tesoro”.
Fratelli, il mondo ha bisogno del nostro aiuto. Stiamo facendo tutto ciò che dovremmo fare? Ricordiamo quanto pronunciato dal presidente John Taylor: “Se non onoriamo la nostra chiamata, Dio ci riterrà responsabili di quante anime avremmo potuto salvare, se avessimo compiuto il nostro dovere”?14 Ci sono piedi da stabilizzare, mani da afferrare, menti da incoraggiare, cuori da ispirare e anime da salvare. Le benedizioni dell’eternità vi aspettano. Vostro è il privilegio di essere non spettatori, ma partecipanti attivi del servizio reso dal sacerdozio. Prestiamo ascolto alla sollecitazione ispiratrice che si trova nell’epistola di Giacomo: “Ma siate facitori della Parola e non soltanto uditori, illudendo voi stessi”.15
Spero che possiamo imparare e pensare al nostro dovere. Possiamo noi essere ben disposti e degni di servire. Spero che possiamo seguire i passi del Maestro nello svolgere il nostro dovere. Se voi e io seguiamo il sentiero che ha percorso Gesù, scopriremo che Egli è molto più che il bambino di Betlemme, molto più del figlio di un falegname, molto più del migliore insegnante che sia mai vissuto. Impareremo a conoscerLo come il Figlio di Dio, il nostro Salvatore e Redentore. Quando Gli giunse la voce del dovere, Egli rispose: “Padre, sia fatta la tua volontà, e sia tua la gloria per sempre”.16 Possiamo noi fare lo stesso, questa è la mia preghiera nel Suo santo nome, nel nome di Gesù Cristo, il Signore. Amen.