Essere discepoli in ogni momento in ogni cosa in ogni luogo
Melissa Merrill, Idaho, USA.
Quando Alma spiegò l’alleanza del battesimo presso le acque di Mormon, insegnò che essa comprende lo stare come testimoni di Dio “in ogni momento e in ogni cosa e in ogni luogo” (Mosia 18:9). È un principio che i discepoli del Salvatore si sforzano di mettere in pratica ancora oggi e un’alleanza che viene rinnovata ogni settimana durante il sacramento, quando i membri della Chiesa promettono di “ricordarsi sempre” del Salvatore (DeA 20:77).
Ma che cosa significa esattamente essere discepoli? Le riviste della Chiesa hanno invitato i Santi degli Ultimi Giorni di tutto il mondo a partecipare a ciò che abbiamo chiamato “l’esperimento sull’essere discepoli”. In pratica, abbiamo invitato i fedeli a concentrarsi su un particolare insegnamento di Gesù Cristo o su una storia che Lo riguarda, a studiare ripetutamente e a ponderare per una settimana i versetti scelti e a riferire in che modo lo studio scrupoloso della vita e degli insegnamenti del Salvatore abbia influito sulla maniera di seguirLo “in ogni momento” della propria vita.
Essere discepoli in ogni momento
Kara Laszczyk dello Utah, USA, ha considerato per molto tempo l’essere discepoli come il desiderio di emulare Gesù Cristo e di diventare più simili a Lui, e come la volontà di sacrificarsi e di servire nel condividere il Suo vangelo. Tuttavia si sentiva in qualche modo frenata dalla sua personalità introversa:
“Ho la tendenza a pensare solo nell’ambito della mia sfera personale, perché mettermi a disposizione degli altri mi mette a disagio”, ha spiegato. “Mi preoccupo troppo di quello che pensano di me le altre persone invece di preoccuparmi di quello che io penso di me stessa e di quello che il Salvatore pensa di me”.
Tuttavia la sorella Laszczyk dice che l’esperimento che ha studiato per una settimana Luca 7, e che parla del Signore che aiuta diverse persone, l’ha portata a riconsiderare le sue motivazioni. Si è chiesta: “Le mie azioni sono guidate dal desiderio sincero di diventare come il Salvatore e di prendermi cura degli altri o sto solo spuntando voci da un elenco così posso sentirmi bene sapendo che ho portato a termine un incarico? Mi preoccupo più del benessere degli altri o di quello che gli altri penseranno delle mie azioni?”
Dice di essersi resa conto che seguire il Salvatore, fare cioè quello che Egli farebbe in una data situazione, significava in parte amare e servire quando c’era bisogno di lei, non solo quando era più comodo.
“L’essere discepoli non è un ruolo passivo”, ha detto. “Non è sempre facile. Il tempo, l’energia e i mezzi che sacrifichiamo per servire sinceramente il prossimo ci aiuteranno ad avvicinarci al Salvatore”. E, aggiunge, prende coraggio dalla consapevolezza che il Signore non ci chiede di correre più veloce di quanto ne abbiamo la forza (vedere Mosia 4:27) né di fare cose che non potremmo fare senza il Suo aiuto.
La conoscenza di tali principi ha aiutato la sorella Laszczyk a partecipare ai digiuni in favore dei familiari, anche se il digiuno è stata una nota dolente per lei in passato. La stessa conoscenza l’ha anche motivata a cambiare a un livello più generale:
“Voglio cercare più opportunità di rendere servizio piuttosto che aspettare che mi venga passato un foglio per la richiesta di volontari”, dice. “Voglio essere un’insegnante visitatrice migliore. Voglio cercare modi in cui servire al di fuori della Chiesa, nella comunità. Voglio che il mio primo pensiero sia: ‘Che cosa posso fare per loro?’ o: ‘Di che cosa hanno bisogno?’ e non: ‘Ho il tempo di farlo?’ oppure: ‘Che effetto avrà su di me?’”.
Ha concluso dicendo: “Abbiamo bisogno del nostro Salvatore, ma anche Lui ha bisogno di noi. Ha bisogno che ci aiutiamo e ci sosteniamo a vicenda”.
Francisco Samuel Cabrera Perez di Chihuahua, in Messico, dice di non considerarsi una cattiva persona; ha cercato di obbedire ai comandamenti e di compiere il proprio dovere nei confronti della famiglia e del prossimo da quando è stato battezzato, all’età di 16 anni. Ma l’esperimento relativo allo studio della vita del Salvatore lo ha aiutato a trasformare la propria comprensione dell’essere discepolo dalla teoria alla pratica.
Studiando Giovanni 6:27–63, il sermone durante il quale il Salvatore definisce Se stesso il pane della vita, il fratello Cabrera ha riconosciuto in sé la tendenza che molti hanno; pensare prima al proprio benessere.
“Trovo sempre una o più ‘ragioni’ — scuse — per rinviare i miei doveri”, spiega. Gli vengono in mente pensieri quali “Fra un po’” o “Domani” o “Non c’è fretta”, che, dice: “Svolazzano come avvoltoi e bloccano il progresso della mia famiglia, quello economico, quello sociale e, soprattutto, quello eterno”.
Dice che seguire il Salvatore solo dopo aver fatto ciò che ci piace ci rende “quasi discepoli” non discepoli veri. Leggere riguardo all’impegno del Salvatore di sottomettersi alla volontà del Padre ha accresciuto la dedizione del fratello Cabrera, il quale ha compreso meglio come partecipare al sacramento ogni settimana lo aiuti a “spogli[arsi] dell’uomo naturale” (Mosia 3:19).
“Mi rimetto all’influenza dello Spirito Santo e permetto al potere dell’Espiazione di fare di me un santo”, spiega il fratello Cabrera. “Perché ciò accada, devo sviluppare gli attributi di Cristo: diventare come un fanciullo, sottomesso, mite, umile, paziente, pieno d’amore, disposto a sottomettersi alla volontà del Signore” (vedere Mosia 3:19).
Sforzandosi di spogliarsi dell’uomo naturale, il fratello Cabrera ha scoperto un amore più grande per il Padre Celeste e per Gesù Cristo, per la sua famiglia, i suoi dirigenti e i suoi amici. Ha scoperto che il suo rendimento sul lavoro è migliorato e ha scoperto soprattutto che fare le cose per edificare il regno di Dio è stato un piacere, non una sofferenza.
“Mentre prima consideravo l’essere discepoli del Salvatore come un fardello, ora vedo che il Suo giogo è dolce e il Suo carico è leggero” (vedere Matteo 11:30), dice il fratello Cabrera. “Ecco in cosa consiste il grande piano di felicità: seguire Gesù Cristo e gioire con Lui ora e nelle eternità”.
Essere discepoli in tutte le cose
Chioma N., una quindicenne della Nigeria, ha studiato Giovanni 7 e 3 Nefi 14 come parte del desiderio di essere più obbediente. Ammette che è difficile “fare alcune cose che odio, specialmente riordinare la cucina quando sono stanca”. Tuttavia, ha anche il desiderio di “amare le persone che la circondano” e ha scoperto che l’obbedienza era uno dei modi di dimostrare quell’amore (vedere Giovanni 14:15).
Mentre studiava gli insegnamenti del Salvatore riguardo all’obbedienza e leggeva della Sua sottomissione alla volontà del Padre Celeste, Chioma ha riconosciuto che poiché Egli e Gesù Cristo sapevano che avremmo peccato e ci saremmo sviati, ci hanno dato i comandamenti che ci aiutano a rimanere sul sentiero stretto e angusto. Ha imparato anche che senza l’obbedienza non possiamo entrare nel regno di Dio.
“Ho imparato che nessuno è perfetto ma, grazie all’obbedienza, tutti noi possiamo sforzarci di raggiungere la perfezione”, ha detto. “E ho imparato che dobbiamo essere obbedienti, così il Padre Celeste può benedirci”.
Ha trovato l’opportunità di dimostrare obbedienza a scuola, quando le è stato chiesto di spazzare la classe anche se non era il suo turno:
“Ho obbedito con umiltà quando ho ascoltato lo Spirito Santo che mi diceva di obbedire e di spazzare la classe. I miei compagni erano sorpresi, e lo era anche la nostra insegnante. Grazie a quello che è successo, ora le persone mi conoscono come una ragazza obbediente e umile. Mi sono sentita felice per tutta la settimana perché avevo obbedito”.
Michelle Kielmann Hansen è cresciuta in Groenlandia e ora vive in Danimarca, entrambi luoghi in cui esiste la cultura del “mostrare gentilezza e dell’essere d’aiuto”, dice. Sotto molti aspetti, dice, i posti dove ha vissuto l’hanno aiutata a rendere più semplice il condurre una vita cristiana.
Per altri versi, tuttavia, dice che è difficile aiutare le persone a comprendere che essere un discepolo di Gesù Cristo non è semplicemente un’attività periodica, ma piuttosto un modo di vivere. Dice che i suoi coetanei, comprese due coinquiline non appartenenti alla Chiesa, hanno spesso difficoltà a capire uno stile di vita che include “tutte quelle ore in chiesa”, le visite al tempio, lo studio delle Scritture e il digiuno ogni mese. Vivere una vita da discepolo diventa ancora più difficile quando ella si imbatte in mezzi di comunicazione che offrono contenuti volgari, in un linguaggio rude o in influenze esteriori negative. “A causa di tali influenze, ricordare che sono di fatto un discepolo di Gesù Cristo può essere davvero arduo”, dice.
La sorella Hansen ammette che essere una giovane adulta in un mondo in cui i valori morali sembrano essere continuamente mutevoli, è difficile. In alcuni casi la decisione tra giusto e sbagliato è chiara, in altri casi non lo è. Però, dice, anche se le situazioni che incontra a volte sono complicate, le Scritture sono semplici.
“Essere un discepolo di Gesù Cristo è più difficile se non Lo conosci”, dice la sorella Hansen. “Le Scritture sono strumenti che ci permettono di conoscerLo. Ogni volta che non sapevo come comportarmi, facevo immediatamente riferimento a quello che avevo studiato la mattina e la sera”, dice. “Studiare la vita e gli insegnamenti [del Salvatore] mi ha aiutato a capire meglio che Egli ha fatto ciò che ha fatto perché ama ciascuno di noi.
Mentre imparavo più cose su di Lui, ho capito che essere un discepolo di Gesù Cristo significa sapere Chi è, e questo mi ha aiutata ad agire nei modi che Egli ha insegnato. Essere discepoli significa sapere [e scegliere di fare] ciò che Gesù Cristo farebbe in qualsiasi situazione, quindi è importante studiare spesso i Suoi insegnamenti”.
Essere discepoli in ogni luogo
Stacey White, mamma di quattro figli dell’Indiana, USA, desiderava avere l’opportunità di aiutare un vicino, un amico o addirittura un estraneo durante la settimana in cui ha studiato Matteo 25:35–40, dove il Salvatore insegna che servire “uno di questi minimi” significa, a tutti gli effetti, servire Lui (versetto 40).
“Dato che sono una mamma casalinga occupata a badare a quattro bambini, a volte mi sento frustrata perché non riesco a fare servizio tanto quanto vorrei”, ha spiegato la sorella White. “Sono così occupata a prendermi cura delle necessità della mia famiglia da avere pochissimo tempo da dedicare a qualsiasi altra cosa”.
La sorella White ha notato che mentre continuava a studiare, a trovare riferimenti incrociati e a ponderare quei versetti, pregando per avere la possibilità di servire: “la settimana sembrava raggiungere un livello di stress maggiore di quello associato di solito ai doveri di una madre”, e sicuramente non era ciò che aveva sperato accadesse:
“C’erano progetti scolastici per cui serviva il mio aiuto, molte più cose in disordine da sistemare, litigi tra fratelli da sedare e una montagna di bucato che sembrava riprodursi da sola. Sembrava che la lista delle cose da fare non si riuscisse mai a portare a termine. La mia preghiera sembrava non essere ascoltata mentre desideravo un po’ di tempo libero e di energia per servire qualcun altro oltre a mio marito e ai miei figli”.
Ma poi, a metà settimana, la sorella White è giunta a una conclusione: il fatto di non avere l’opportunità di servire al di fuori di casa sua non significava che il Signore non avesse risposto alle sue preghiere, e non significava che lei non avesse servito in modo significativo.
“Il Signore stava rispondendo alla mia preghiera dandomi tali opportunità all’interno della mia stessa famiglia”, dice. “A volte mi sembra che il servizio che svolgo nell’ambito della mia famiglia, in un certo senso, non conti, che per essere classificato come tale deve essere reso all’esterno, a qualcuno che non sia un familiare. Grazie al mio nuovo livello di comprensione, mentre rifacevo i letti, facevo il bucato, badavo ai bambini e svolgevo tutti i miei doveri quotidiani di madre, ero molto più gioiosa. I miei doveri non mi sembravano più tanto banali, mi sono resa conto che stavo facendo la differenza per la mia famiglia”.
Per Dima Ivanov di Vladivostok, in Russia, l’invito a partecipare all’“esperimento sull’essere discepoli” è giunto in un periodo frenetico. Il fratello Ivanov aveva da poco lasciato il lavoro per avviare un’attività privata e, poiché doveva valutare tantissime responsabilità legate al lavoro, si chiedeva se avrebbe avuto difficoltà a mantenere al primo posto nei suoi pensieri l’essere un discepolo.
Tuttavia, ha accettato di partecipare e, dato che per lui essere un discepolo significava “rispettare e seguire la direzione o il consiglio dell’insegnante”, ha approfondito il Sermone sul Monte, che si trova in Matteo 5 e in 3 Nefi 12.
Ciò che il fratello Ivanov ha scoperto durante lo studio delle caratteristiche di quel sermone, ha detto, è stata la propria debolezza. Ma, sapendo che il Salvatore ha promesso che per coloro che si umiliano le cose deboli diverranno forti (vedere Ether 12:27), il fratello Ivanov si è rivolto a Lui in cerca di opportunità di crescita.
“Ho sentito che il Salvatore mi era più vicino”, ha riferito il fratello Ivanov. “Ho imparato che Egli è l’Insegnante migliore, e ho imparato modi in cui potevo diventare più simile a Lui. Mentre studiavo le caratteristiche del discepolato, ho imparato che possiamo trovare nuovi modi per essere come il Salvatore ogni volta che studiamo la Sua vita. E poi continuiamo a impararare come si fa seguendo il Suo esempio. Dobbiamo mettere in pratica ciò che impariamo”.
Ha detto che la sua comprensione dell’essere discepoli è cambiata durante la settimana: “Seguire il Salvatore non significa solo studiare i principi del vangelo o rispettare i Suoi comandamenti”, ha spiegato. Ovunque siamo o qualsiasi cosa stiamo facendo, possiamo avere il “desiderio sincero di seguire il Suo esempio e avere l’intenzione di diventare come Lui”.