Israele, Dio ti chiama
Benvenuti a questa trasmissione, ovunque voi siate in questa grande e meravigliosa Chiesa. Grazie a tutti per essere presenti, inclusi quelli tra voi che sono qui al campus del Dixie State College nel mio paese natale.
Ci sono stati molti inviti ad abbandonare Babilonia
Per invitare lo Spirito a essere con noi, ho richiesto l’inno con cui abbiamo iniziato questa riunione: “Israele, Dio ti chiama”. È uno dei grandi classici della Restaurazione e offre una cornice per gran parte delle cose che voglio dirvi stasera. Avremmo potuto aggiungere “Anziani d’Israele” per lo stesso motivo. Adoro quando i missionari di tutto il mondo cantano forte “Addio, Babilon, vogliam lasciarti e andar, sui monti di Efraim vogliamo abitar”.1 Il messaggio di questi due inni è essenzialmente lo stesso — che Dio chiama sempre i figlioli di Israele ad andare in un luogo in cui, alla fine, tutto andrà bene.
Israele, Dio ti chiama
dalle terre del dolor,
Babilonia sta cadendo,
la abbatte il Signor…
Vieni a Sion, vieni a Sion,
e non soffrirai mai più…
Vieni a Sion, vieni a Sion,
ove regnan pace e amor.2
In effetti, questa è stata la storia di Israele nel corso delle epoche. Quando la società diventava troppo peccaminosa o introduceva troppa secolarizzazione o la vita con i Gentili distruggeva il codice morale e i comandamenti che Dio aveva dato, i figlioli dell’alleanza venivano mandati in fuga nel deserto a ristabilire Sion e a ricominciare tutto da capo.
Ai tempi dell’Antico Testamento, Abrahamo, il padre di questo tipo di alleanza, dovette scappare dalla Caldea — che era letteralmente Babilonia — per aver salva la vita e andare alla ricerca di una vita consacrata a Canaan (che oggi è chiamata Terra Santa).3 Non trascorsero molte generazioni prima che i discendenti di Abrahamo (e Isacco e Giacobbe) — a quel tempo già conosciuti come Israeliti — perdessero la loro Sion e si trovassero in schiavitù nel lontano Egitto pagano.4 Così fu fatto sorgere Mosè per guidare i figlioli della promessa di nuovo nel deserto — questa volta nel cuore della notte e senza avere neanche il tempo di far lievitare il pane! “Israele, Dio ti parla”, cantarono senza dubbio per strada, “se ascoltarLo vorrai tu”.5
Non molti secoli dopo si ripresentò una situazione interessante in cui a una di queste famiglie israelite, guidate da un profeta di nome Lehi, fu comandato di fuggire perfino dall’amata Gerusalemme perché, ahimè, Babilonia era di nuovo alla porta.6 Un’altra volta! Non sapevano che sarebbero andati in un nuovo continente per stabilire un nuovo concetto di Sion,7 ma così sarebbe stato, e non sapevano che era già accaduto prima con un gruppo di loro antenati chiamati Giarediti.8
Come già detto, questa è una trasmissione a livello mondiale rivolta a una Chiesa sempre più internazionale, ma è interessante per tutti coloro che celebrano la restaurazione del Vangelo che la colonizzazione dell’America sia nata da un gruppo che è scappato dalla sua patria per poter continuare ad adorare come voleva. Un illustre studioso degli insediamenti puritani in America ha descritto quest’esperienza come una “missione nel deserto” da parte della cristianità, lo sforzo degli Israeliti moderni di liberarsi dell’empietà del Vecchio Mondo per cercare ancora una volta la via del cielo in una nuova terra.9
Per il nostro scopo di stasera vi rammento un’ultima fuga, la fuga per cui è stato scritto l’inno di stasera. Riguarda la nostra Chiesa, guidata dai nostri profeti che dirigevano i nostri antenati religiosi. Con Joseph Smith perseguitato negli stati di New York, Pennsylvania, Ohio e Missouri e infine ucciso in Illinois, ecco di nuovo i figli di Israele negli ultimi giorni alla ricerca di un luogo solitario. Brigham Young, il Mosè americano, come è stato chiamato con ammirazione, guidò i Santi nelle valli tra le montagne mentre questi, affaticati, cantavano:
Quel suol nell’Ovest in eredità
Dio darà al fedel;
dove nessuno il male porterà,
nel Signor pace avrem.10
Sion. La terra promessa. La Nuova Gerusalemme. Dov’è? Non ne siamo certi, ma lo scopriremo. Per più di quattromila anni di storia di alleanze, lo schema è stato questo: abbandonare e cercare. Fuggire e insediarsi. Scappare da Babilonia. Costruire i muri protettivi di Sion.
Fino ad ora. Fino a questa sera. Fino ai nostri giorni.
Siamo chiamati a edificare Sion dove ci troviamo
Una delle tante caratteristiche singolari della nostra dispensazione, la dispensazione della pienezza dei tempi — l’ultima e la più grande di tutte le dispensazioni — è la natura mutevole del modo in cui stabiliamo il regno di Dio sulla terra. Una delle cose davvero emozionanti di questa dispensazione è che è un momento di cambiamento possente e rapido. E una cosa che è cambiata è che la Chiesa di Dio non fuggirà mai più. Non lascerà mai più Ur, per poi lasciare Charan, per poi lasciare Canaan, per poi lasciare Gerusalemme, per poi lasciare l’Inghilterra, per poi lasciare Kirtland, per poi lasciare Nauvoo, per poi andare chissà dove. Come ha detto Brigham Young per tutti noi: “Siamo stati cacciati dalla padella nella brace e dalla brace sul pavimento, ma qui siamo e qui resteremo”.11
Certamente quella dichiarazione non era un commento riferito solo alla Valle del Lago Salato e nemmeno al confine dei monti Wasatch; è diventata una dichiarazione per tutti i membri della Chiesa in tutto il mondo. Negli ultimi giorni, nella nostra dispensazione, saremmo maturati abbastanza da smettere di fuggire. Saremmo diventati abbastanza maturi da piantare i nostri piedi e le nostre famiglie e le nostre fondamenta in ogni nazione, tribù, lingua e popolo in modo permanente. Sion sarebbe stata ovunque — ovunque c’è la Chiesa. E con tale cambiamento — uno degli straordinari cambiamenti degli ultimi giorni — non pensiamo più a Sion come a dove vivremo, ma a come vivremo.
Tre episodi che insegnano tre lezioni
Per spiegarlo meglio vorrei raccontare tre episodi che abbiamo vissuto io e mia moglie non molto tempo fa. Se avessi tempo potrei citarne a decine, e voi pure.
Numero uno: qualche anno fa un mio giovane amico — un missionario ritornato — giocava per la squadra di basket di un college dello Utah. Era un ragazzo bravissimo e un buon giocatore, ma non giocava quanto aveva sperato. In breve, i suoi talenti e le sue capacità non erano esattamente ciò di cui aveva bisogno la squadra in quel momento del proprio sviluppo. Questo accade nell’atletica. Quindi, con il sostegno e gli auguri dei suoi allenatori e compagni di squadra, il mio giovane amicò si trasferì in un’altra scuola in cui sperava di poter dare un maggiore contributo.
Per fortuna le cose andarono bene nella nuova scuola e il mio amico diventò presto titolare. E sapete cosa accadde? Il programma (stabilito anni prima che avvenissero questi eventi) stabilì che questo ragazzo giocasse contro la sua vecchia squadra di Salt Lake City in quello che allora si chiamava Delta Center.
Ciò che accadde in quell’incontro mi disturba ancora oggi, e coglierò questo momento insolito per liberarmene. Gli insulti maligni provenienti dagli spalti e rivolti a quel giovane quella sera — un santo degli ultimi giorni, un missionario ritornato sposato da poco, che pagava la sua decima, serviva nel quorum degli anziani, rendeva servizio altruistico ai giovani della sua comunità ed era in emozionante attesa di un bambino — le cose che furono fatte e dette quella sera nei suoi confronti, e in quelli di sua moglie e delle rispettive famiglie, non dovrebbero mai essere provate da nessun essere umano in nessuna circostanza, in nessuno sport o in nessuna università, a prescindere dalle sue decisioni personali.
Ma ecco la parte peggiore. L’allenatore della squadra in visita, che era una specie di leggenda nel suo campo, si rivolse a lui dopo un incontro spettacolare e disse: “Che cosa sta succedendo? Tu sei il ragazzo di qui che ha fatto carriera. Questa è la tua gente. Sono tuoi amici”. Poi, peggio ancora, disse confuso: “La maggior parte di queste persone non sono membri della tua chiesa?”
Episodio numero due: fui invitato a parlare a un devozionale per gli adulti non sposati di un palo — aperto a tutti coloro che avessero più di 18 anni. Mentre entravo dalla porta posteriore del centro di palo entrò anche una ragazza di circa trent’anni. Anche tra la folla di persone che si stava recando in cappella era difficile non notarla. Ricordo che aveva un paio di tatuaggi, una varietà di orecchini e piercing al naso, capelli a punta tinti di tutti i colori, una gonna troppo corta e una camicetta troppo ridotta.
Mi balenarono nella mente tre domande: si trattava di un’anima combattuta, che non era della nostra fede e che era stata spinta, o ancor meglio portata da qualcuno, a questo devozionale sotto la guida del Signore per poterla aiutare a trovare la pace e la guida del Vangelo di cui aveva bisogno? Altra possibilità: forse era un membro che si era un po’ allontanato dalle aspettative e dagli standard incoraggiati dalla Chiesa per i suoi fedeli ma che, grazie al cielo, ancora partecipava e quella sera aveva scelto di venire a quell’attività della Chiesa? O, terza opzione: è la presidentessa della Società di Soccorso di palo? (In un certo qual modo ero sicuro che non lo fosse).
Ecco il mio terzo esempio: mentre partecipavo alla dedicazione del Tempio di Kansas City, nel Missouri, qualche mese fa, io e la sorella Holland siamo stati ospitati dal fratello Isaac Freestone, un poliziotto e magnifico sommo sacerdote del palo di Liberty, nel Missouri. Mentre conversavamo ci ha raccontato che una sera tardi è stato chiamato a controllare una lamentela ricevuta da una zona malfamata della città. Tra musica ad alto volume e l’odore di marijuana nell’aria, egli ha trovato una donna e diversi uomini che bevevano e imprecavano, tutti apparentemente ignari dei cinque bambini — tra i due e gli otto anni d’età — accalcati in una stanza che cercavano di dormire su un pavimento sporco senza letti, materassi, cuscini, senza niente. Il fratello Freestone ha cercato negli armadietti della cucina e nel frigorifero alla ricerca di anche una sola confezione di cibo di qualsiasi genere — ma senza trovare nulla. Ha detto che il cane che abbaiava in giardino aveva più cibo di quanto ne avessero quei bambini.
Nella camera da letto della madre ha trovato un materasso, l’unico della casa. È andato alla ricerca di lenzuola (se così si potevano chiamare), le ha distese sopra il materasso e ha messo i cinque bambini nel letto improvvisato. Con le lacrime agli occhi si è inginocchiato, ha detto una preghiera al Padre Celeste perché li proteggesse, e ha dato la buonanotte.
Mentre si alzava per andare alla porta, un bambino, di circa sei anni, è saltato dal letto ed è corso da lui, gli ha preso la mano e lo ha implorato dicendo: “Mi adotti per favore?” Con ancor più lacrime agli occhi, lo ha rimesso a letto, poi ha trovato la madre drogata (gli uomini erano già scappati) e le ha detto: “Tornerò domani, e il cielo ti aiuti se non saranno avvenuti dei cambiamenti evidenti quando varcherò questa porta. E poi ci saranno altri cambiamenti ancora. Hai la mia parola”.12
Che cosa hanno in comune questi tre avvenimenti? Non molto, tranne il fatto che siano accaduti a me e a mia moglie nel passato recente. E che vi danno tre piccoli esempi reali, molto diversi tra loro, di Babilonia — uno personale, un comportamento sciocco e deplorevole a una partita di basket, uno più culturale e indicativo di sfide personali affrontate da persone che vivono in modo diverso da noi, e una questione molto ampia e seria, con implicazioni legali e una storia talmente complessa che sarebbe impossibile risolvere per ciascuno di noi.
Nel proporre queste tre sfide non ho usato intenzionalmente casi sensazionali di trasgressione sessuale, violenza fisica o dipendenza dalla pornografia, anche se queste possono sembrare situazioni più vicine a voi rispetto agli esempi che ho usato. Ma voi siete abbastanza intelligenti da trovare le applicazioni senza che le spieghi.
Prima lezione: mai lasciare che “la nostra religione resti all’ingresso”
Prima finiamo l’episodio del basket. Il giorno dopo la partita, quando si fecero delle considerazioni pubbliche e vi fu un richiamo al pentimento per l’accaduto, un giovane disse: “Ascolta. Stiamo parlando di basket, non di Scuola Domenicale. Se non riesci a sopportare la pressione, vattene. Noi paghiamo per assistere alle partite. Possiamo comportarci come vogliamo. La nostra religione resta all’ingresso”.
“La nostra religione resta all’ingresso”? Lezione numero uno per stabilire Sion nel ventunesimo secolo: non si lascia mai “la religione all’ingresso”. Mai.
Miei giovani amici, non possono esserci dei discepoli simili — non sono discepoli affatto. Come recitano le giovani donne della Chiesa ogni settimana nel loro tema, il profeta Alma ha insegnato che dobbiamo “stare come testimoni di Dio in ogni momento e in ogni cosa e in ogni luogo in cui possia[mo] trovar[ci]”,13non solo in qualche momento, in qualche luogo o quando la nostra squadra sta vincendo.
“La nostra religione resta all’ingresso”! Ero furioso.
Seconda lezione: mostrate compassione, ma siate leali ai comandamenti
Ma restiamo sull’argomento ancora un minuto perché è in arrivo una seconda lezione. La lezione numero due nella ricerca di Sion di questa sera è che nella mia giusta indignazione (o per lo meno, diciamo sempre che è giusta), devo assicurarmi di non finire ad agire esattamente nel modo in cui ho accusato questo giovane tifoso di agire — arrabbiarmi, agire stupidamente, perdere il controllo, lamentarmi, volergli mettere le mani addosso — preferibilmente alla gola — finché, prima che me ne renda conto, Ho lasciato la mia religione all’ingresso! No, qualcuno nel ventunesimo secolo, qualcuno in tutte queste situazioni deve vivere secondo la sua religione altrimenti ciò che otteniamo è una massa di idioti che agiscono come pigmei della moralità.
È facile essere retti quando le cose sono calme e la vita va bene e tutto va per il meglio. La prova arriva quando c’è una tentazione o una difficoltà reale, quando ci sono pressione e affaticamento, rabbia e paura, o la possibilità di una trasgressione reale. Riusciamo a essere fedeli allora? Questa è la questione perché “Israele, Dio ti chiama”. Tale integrità è certamente la suprema grandezza del dire: “Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno”14 — proprio quando perdonare e capire ed essere generosi verso i propri carnefici è l’ultima cosa che vorrebbe fare chiunque sia meno perfetto del Salvatore del mondo. Ma noi dobbiamo provare, dobbiamo desiderare di essere forti. Quale che sia la situazione o la provocazione o il problema, nessun vero discepolo di Cristo può far sì che “la sua religione resti all’ingresso”.
Questo ci porta alla donna con l’arcobaleno tra i capelli e i molti anelli luccicanti. Comunque ci si comporti con quella giovane, la regola per sempre è che si devono riflettere le nostre credenze e il nostro impegno nel Vangelo. Pertanto in ogni situazione dobbiamo reagire in modo da rendere le cose migliori, non peggiori. Non possiamo agire o reagire in modo da diventare colpevoli di un’offesa maggiore. Ciò non significa che non abbiamo opinioni, che non abbiamo norme, che non teniamo completamente presente il mandato divino di ciò che possiamo e non possiamo fare. Significa che dobbiamo osservare quelle norme e difendere i comandamenti in modo giusto, al meglio delle nostre capacità, nel modo in cui il Salvatore li ha osservati e li ha difesi. Egli ha sempre fatto ciò che doveva essere fatto per rendere migliore la situazione — dall’insegnare la verità al perdonare i peccatori, al purificare il tempio. È un grande dono sapere come fare queste cose nel modo giusto.
Quindi, con la nostra nuova conoscente dall’abbigliamento e dalla capigliatura insoliti, iniziamo, prima di tutto, ricordando che è una figlia di Dio e che ha un valore eterno. Iniziamo col ricordare che è la figlia di qualcuno qui sulla terra e che, in altre circostanze, potrebbe essere mia figlia. Iniziamo con l’essere grati che sia presente a un’attività della Chiesa, invece di evitarla. In breve, cerchiamo di essere al nostro meglio in questa situazione per aiutare lei ad essere al suo meglio. Continuiamo a pregare in silenzio: qual è la cosa giusta da fare? Qual è la cosa giusta da dire? Alla fine che cosa renderà lei e la situazione migliori? Porsi queste domande, cercando davvero di fare ciò che farebbe il Salvatore, penso sia ciò che Egli intendeva quando disse: “Non giudicate secondo l’apparenza, ma giudicate con giusto giudizio”.15
Detto questo, rammento a tutti noi che mentre cerchiamo e aiutiamo una pecorella che si è smarrita, abbiamo anche una profonda responsabilità verso le 99 che non lo sono — e verso i desideri e il volere del Pastore. C’è un gregge a cui tutti dovremmo appartenere, a prescindere dalla sicurezza e dalle benedizioni che riceviamo per questo. Miei giovani fratelli e sorelle, questa Chiesa non potrà mai modificare la sua dottrina per adattarsi meglio alla società o alle aspettative politiche o per qualsiasi altra ragione. È solo la sicurezza della verità rivelata che ci dà un punto d’appoggio per innalzare qualcun altro che si sente inquieto o abbandonato. La nostra compassione e il nostro amore — caratteristiche e requisiti fondamentali della nostra cristianità — non devono mai essere interpretati come un compromesso coi comandamenti. Come disse una volta il magnifico George MacDonald, in tali situazioni “non siamo costretti a dire tutto ciò in cui crediamo, ma siamo costretti a non apparire come se non ci credessimo”.16
Giudicate con giusti giudizi
A questo proposito — questa richiesta di compassione e lealtà ai comandamenti — a volte c’è la possibilità di un malinteso, specialmente tra i giovani i quali possono ritenere di non dover giudicare nulla, di non dover mai dare giudizi di valore di alcun tipo. Dobbiamo aiutarci vicendevolmente perché il Salvatore ha chiarito che in certe situazioni dobbiamo giudicare, abbiamo l’obbligo di giudicare — proprio come quando ha detto: “Non date ciò ch’è santo ai cani e non gettate le vostre perle dinanzi ai porci”.17 Questo a me sembra un giudizio. L’alternativa è di arrendersi al relativismo morale di un mondo postmoderno decostruzionista che, portato agli estremi, suggerisce che alla fine nulla è eternamente vero o particolarmente sacro e, pertanto, nessuna posizione o questione conta più di un’altra. Ma ciò semplicemente non è vero.
In questo processo di valutazione non siamo chiamati a condannare gli altri, ma siamo chiamati a prendere decisioni ogni giorno che riflettano un giudizio — speriamo un buon giudizio. L’anziano Dallin H. Oaks una volta ha fatto riferimento a questo tipo di decisioni come a “giudizi intermedi” che spesso dobbiamo prendere per la nostra sicurezza o per quella degli altri, in contrapposizione ai cosiddetti “giudizi finali”, che possono essere pronunciati solo da Dio, che conosce tutti i fatti18 (ricordate, nel versetto citato prima, che il Signore ha detto che deve trattarsi di “giusti giudizi”, non giudizi dettati dall’orgoglio, che sono molto diversi).
Per esempio, i genitori devono esercitare un giusto giudizio riguardo alla sicurezza e al benessere dei figli ogni giorno. Nessuno biasimerebbe un genitore che dice che i bambini devono mangiare la verdura o che impedisce al figlio di correre in una strada trafficata. Perché quindi si dovrebbe biasimare un genitore che si preoccupa, quando sono un po’ più grandi, dell’orario in cui rincasano i figli la sera, o degli standard morali o comportamentali dei loro amici, o dell’età in cui fanno coppia fissa o se sperimentano droga o pornografia o commettono trasgressioni di carattere sessuale? No, noi prendiamo decisioni, diciamo la nostra opinione e riaffermiamo i nostri valori, in breve diamo dei “giudizi intermedi” in continuazione, o almeno dovremmo.
Alcune questioni e alcune leggi hanno conseguenze eterne
Quando affrontiamo tali situazioni nelle questioni sociali complesse di una società democratica, può essere difficile e, per alcuni, confusionario. I giovani possono fare domande su questa posizione della Chiesa, dicendo: “Noi non crediamo di doverci comportare così e così, ma perché dobbiamo spingere gli altri a fare lo stesso? Non hanno il loro libero arbitrio? Non siamo orgogliosi o critici se forziamo le nostre credenze sugli altri, chiedendo loro di agire in un certo modo?” In queste situazioni dovrete avere la sensibilità per spiegare perché si difendono alcuni principi e ci si oppone ad alcuni peccati ovunque essi siano perché le questioni e le leggi coinvolte non sono solo sociali o politiche, ma eterne nelle loro conseguenze. E anche se non vogliamo offendere coloro che la pensano diversamente da noi, siamo ancora più ansiosi di non offendere Dio, o come dicono le Scritture, “affinché non offendiate Colui che è il vostro legislatore”,19 e qui sto parlando di serie leggi morali.
Per spiegarlo farò l’esempio di una legge inferiore. Si tratta di un adolescente che dice: “Ora che posso guidare, so che devo fermarmi al semaforo rosso, ma vogliamo davvero essere critici e cercare di obbligare tutti gli altri a fermarsi quando è rosso? Devono fare tutti ciò che facciamo noi? Non hanno il loro libero arbitrio? Devono per forza comportarsi come noi?” Quindi dovrete spiegare perché speriamo che tutti si fermino quando è rosso. E dovrete farlo senza sminuire coloro che trasgrediscono o che credono diversamente da noi, perché, sì, hanno il loro libero arbitrio morale.
Miei giovani amici, c’è una grande varietà di convinzioni in questo mondo, e c’è il libero arbitrio morale per tutti, ma nessuno è autorizzato ad agire come se Dio fosse muto su questi argomenti o se i comandamenti avessero valore solo se hanno l’approvazione pubblica. Nel ventunesimo secolo non possiamo più fuggire. Dobbiamo lottare per le leggi e le circostanze e l’ambiente che ci consentano di esercitare liberamente la religione in quanto legalmente approvata. Questo è un modo in cui possiamo tollerare di essere a Babilonia senza farne parte.
Non conosco capacità più importante e integrità maggiore da dimostrare a un mondo da cui non possiamo scappare che quella di seguire questo cammino con sollecitudine, prendendo una posizione morale secondo ciò che Dio ha dichiarato e secondo le leggi che ha dato, ma con compassione e comprensione e grande carità. Parlo di una cosa difficile da fare: una perfetta distinzione tra il peccato e il peccatore. Sono poche le distinzioni più difficili da fare, o almeno difficili da articolare, ma dobbiamo cercare di fare amorevolmente proprio questo. Credetemi, fratelli e sorelle, nel mondo in cui ci muoviamo, avremo molte opportunità per sviluppare tale forza, mostrare tale coraggio, dimostrare tale compassione, tutto allo stesso tempo. E ora non sto parlando di capelli punk o anelli al naso.
Terza lezione: utilizzate i valori del Vangelo a beneficio delle comunità e delle nazioni
E infine, la difficile storia di Kansas City. Non molti tra noi saranno poliziotti o assistenti sociali o giudici preposti a giudicare legalmente, ma tutti noi dovremmo preoccuparci del benessere degli altri e della sicurezza morale della nostra comunità. L’anziano Quentin L. Cook, del Quorum dei Dodici Apostoli, due anni fa ha dedicato un intero discorso della Conferenza generale a questo argomento. Parlando del bisogno di influenzare la società che c’è al di là delle nostre mura domestiche ha detto:
“Oltre a proteggere le nostre famiglie, dovremmo essere una fonte di luce nel proteggere le nostre comunità. Il Salvatore disse: ‘Così risplenda la vostra luce nel cospetto degli uomini, affinché veggano le vostre buone opere e glorifichino il Padre vostro che è ne’ cieli’…
Nel nostro mondo sempre meno retto è essenziale che i valori basati sulle credenze religiose facciano parte dei discorsi pubblici…
La fede religiosa è una fonte di luce, conoscenza e saggezza che porta benefici di grande effetto alla società”.20
Se non portiamo le benedizioni del Vangelo nelle nostre comunità e nei nostri paesi, non avremo mai abbastanza poliziotti, non avremo mai abbastanza Isaac Freeston, per far osservare il comportamento morale anche dove può essere fatto valere. E ciò non avviene. Quei bambini in quella casa senza cibo o vestiti sono figli e figlie di Dio. Quella madre, più colpevole perché più adulta e più responsabile, è anch’ella una figlia di Dio. Queste situazioni possono richiedere un amore inflessibile con azioni ufficiali o perfino legali, ma dobbiamo cercare di aiutare quando e dove possiamo perché non lasciamo la nostra religione all’ingresso, per quanto siano patetiche e irresponsabili alcune di queste circostanze.
Non risolveremo tutti i problemi personali o sociali del mondo qui stasera. Quando lasceremo questa riunione ci sarà ancora povertà, ignoranza, trasgressione, disoccupazione, abusi, violenza e dolore nel nostro vicinato, nelle città e nelle nazioni. Non possiamo fare tutto, ma come si dice, possiamo fare qualcosa. E in risposta al richiamo del Signore, sono i figli di Israele a dover rispondere — non per fuggire da Babilonia questa volta, ma per attaccarla. Senza essere ingenui o poco realistici, possiamo vivere la nostra religione in modo così ampio e risoluto da avere tutti i tipi di opportunità per aiutare le famiglie, benedire i vicini e proteggere gli altri, inclusa la generazione nascente.
Vivete in modo da riflettere l’amore che Gesù Cristo ha per voi
Non ho pronunciato la parola missionario in questo contesto per paura che pensaste immediatamente a camicie bianche e targhette. Non limitatemi a questo. Pensate in modo più ampio, all’enorme necessità di predicare il Vangelo sia che siate missionari a tempo pieno o no. I Santi degli Ultimi Giorni sono chiamati ad essere il lievito nel pane, il sale che non perde mai il suo sapore, la luce posta sopra un monte che non è nascosta sotto al moggio. E alla vostra età, avete quasi tutti dai 18 ai 30 anni, è il momento della vita in cui una persona è maggiormente disposta ad accettare il Vangelo se le viene presentato. Lo sappiamo. Lo dimostrano i numerosi studi condotti dalla Chiesa.
Quindi iniziate a presentarlo! Se agiamo bene e parliamo bene e rivolgiamo agli altri parole e azioni generose, allora il Salvatore, quando accorcerà la Sua opera in giustizia, dicendo che è arrivata la fine di quest’ultima grande dispensazione e giungendo poi nella Sua gloria, troverà voi e me e tutti noi impegnati a fare del nostro meglio, a cercare di vivere il Vangelo, a cercare di migliorare la nostra vita, la Chiesa e la società al meglio delle nostre possibilità. Quand’Egli arriverà io vorrò essere trovato a vivere il Vangelo in questo modo. Vorrò essere sorpreso proprio nell’atto di diffondere la fede e di fare qualcosa di buono. Voglio che il Salvatore mi dica: “Jeffrey” — perché Egli conosce tutti i nostri nomi — “Io ti riconosco non per il tuo titolo ma per la tua vita, per il modo in cui stai cercando di vivere e per le norme che stai cercando di difendere. Vedo l’integrità del tuo cuore. So che hai cercato di rendere le cose migliori per prima cosa essendo tu stesso migliore, e poi dichiarando la Mia parola e difendendo il Mio vangelo davanti agli altri nel modo più compassionevole possibile”.
Certo dirà: “So che non hai sempre avuto successo con i tuoi peccati o le circostanze altrui, ma so che ci hai provato onestamente. Credo che nel tuo cuore tu Mi abbia veramente amato”.
Vorrei tanto avere un incontro di questo genere un giorno, più di qualsiasi altra cosa in questa vita. E lo vorrei per voi. Lo vorrei per tutti noi. Israele, Dio ti chiama — chiama tutti noi a vivere personalmente il vangelo di Gesù Cristo in modi piccoli e grandi, e poi a volgerci agli altri che potrebbero non apparire o vestire o comportarsi come noi, e poi (dove possibile) andare oltre per servire la comunità in maniera più capillare possibile.
Per aiutarvi a fare questo, lascio insieme alla mia testimonianza, una benedizione apostolica su ciascuno di voi stasera. Vi benedico, per il potere del sacerdozio e l’incarico che ho ricevuto, affinché sappiate che Dio vi ama, che ha bisogno di voi in quest’ultima e grandiosa dispensazione in cui tutto è accelerato e ci si aspetta sempre di più. Vi benedico, con l’autorità apostolica, affinché le vostre preghiere offerte in rettitudine ricevano risposta, le vostre paure personali vi siano sollevate e la vostra schiena, le vostre spalle e i vostri cuori siano resi forti per portare i fardelli che vi saranno posti. Vi benedico per quelli che saranno i vostri sforzi di essere puri di cuore e di offrirvi come strumenti nelle mani di Dio per stabilire Sion in questi ultimi giorni, ovunque voi siate. Vi benedico affinché siate veri amici gli uni verso gli altri e verso chi non fa parte della vostra cerchia e verso cui dovreste aprirvi. Soprattutto, vi benedico affinché siate amici del Salvatore del mondo, Lo conosciate personalmente e abbiate fiducia nella Sua compagnia.
Amo il Signore Gesù Cristo, di cui cerco di essere servitore. E amo il nostro Padre Celeste, che è stato tanto premuroso da donarceLo. So che, riguardo a quel dono, Dio sta chiamando Israele in questi ultimi giorni e si aspetta che rispondiamo alla Sua chiamata e diventiamo più cristiani, più santi di quanto non siamo ora nella nostra determinazione a vivere il Vangelo e a stabilire Sion. So anche che ci darà la forza e la santità per essere veri discepoli, se questa sarà la nostra supplica. Rendo testimonianza della divinità di quest’opera, dell’amore e della maestà dell’Iddio Onnipotente, e dell’infinita Espiazione del Signore Gesù Cristo, che si estende al minore di tutti noi. Vi benedico con questa speranza di felicità e santità, stasera e domani e sempre, nel sacro nome di Gesù Cristo. Amen.
© 2012 by Intellectual Reserve, Inc. Tutti i diritti riservati. Testo inglese approvato: 5/12. Approvato per la traduzione: 5/12. Traduzione di Israel, Israel, God Is Calling. Italian. PD50039052 160