Riflessioni sulla Pasqua
«Poiché Iddio ci ha dato uno spirito non di timidità, ma di forza e d’amore e di correzione. Non aver dunque vergogna della testimonianza del Signor nostro» (2 Timoteo 1:7-8).
Tra due settimane celebreremo la Pasqua. I nostri pensieri e sentimenti si concentreranno quindi su Gesù Cristo. Per molte persone questa Pasqua sarà un giorno come tanti altri, che trascorre senza un particolare risalto. Per altre questa Pasqua sarà invece un periodo di meditazione, riflessione e gratitudine.
C’è una Pasqua che ricordo vividamente, quella di ventisette anni fa, quand’ero missionario nella Missione dell’Argentina del Nord. La missione aveva mandato degli anziani nella Bolivia meridionale. Trascorsi la domenica di Pasqua del 1968 a Quiriza, in Bolivia, un piccolo villaggio ai piedi dell’Altopiano della Bolivia meridionale. Ricordo i preparativi fatti dagli abitanti del villaggio per quella Pasqua. Ricordo ancora l’atmosfera, la musica e lo spirito di quei momenti.
Nelle prime ore del mattino di Pasqua l’anziano Arce mi chiese se potevo accompagnarlo a fare visita a una famiglia di simpatizzanti. Poco dopo percorrevamo la strada sterrata di quel villaggio, tra una fila di casette di mattoni crudi. Visitammo quella famiglia, spiegando cose importanti come le domande: Da dove veniamo? Perché siamo qui? e Dove stiamo andando? Tracciammo delle immagini con il dito sul pavimento di terra battuta. Lo Spirito era presente. L’invito al battesimo fu fatto e accettato. Quel pomeriggio ci fu una bellissima cerimonia battesimale. Il battesimo avvenne nelle fangose acque del vicino Fiume San Juan de Oro. In Sud America le stagioni sono al contrario delle nostre. Quando qui è primavera, là è autunno.
I battezzandi scomparvero dietro alti covoni di granturco da poco tagliati e riapparvero qualche minuto dopo vestiti dei loro bianchi abiti battesimali. La loro pelle scura, i capelli neri e il sorriso luminoso sono ancora presenti negli occhi della mia mente. La suggestione di quella domenica di Pasqua mi fa ancora venire le lacrime agli occhi, quando rifletto sull’universalità dell’invito di Cristo, rivolto a tutti, a venire a Lui.
Per me aver svolto il mio ministero di missionario nel Suo nome tra quelle persone mi fa ricordare Gesù che parlava ai Suoi discepoli durante il Suo ministero terreno. Egli disse: «Ho anche delle altre pecore, che non son di quest’ovile; anche quelle io devo raccogliere, ed esse ascolteranno la mia voce, e vi sarà un solo gregge, un solo pastore» (vedi Giovanni 10:16).
Prima di lasciare Quiriza per tornare in Argentina, dicemmo una preghiera speciale. In compagnia di un caro collega di missione, inginocchiati sotto le stelle in un campo di calcio di terra battuta, noi due a turno aprimmo il cuore al nostro Padre celeste. Ci furono espressioni di amore e di gratitudine per quelle persone, per il nostro presidente di missione e per il privilegio che avevamo di essere missionari. Furono fatte promesse di aiutare le persone.
Gli anni che sono trascorsi dalla mia missione mi hanno dato molte possibilità di tenere fede a quelle promesse di missionario. Tornai a casa per sposare la ragazza che corteggiavo sin dalle scuole superiori, Christine Swensen. Ella è una compagna meravigliosa, che amo caramente. Come infermiera professionista ella lavorò per mantenerci mentre studiavo per diventare dentista. Quando stavo per laurearmi, ormai nell’imminenza del nostro sesto anniversario di matrimonio, non avevamo ancora figli. Poi fu aperta una porta, la possibilità si presentò, e Ashley venne nella nostra vita. Il nostro caro, prezioso Ashley.
Un anno dopo ci recammo in Bolivia per prendere Joshua in un orfanotrofio e portarlo a casa. Aveva due anni. Posso ancora vedere quel bellissimo bambino camminare verso di me, con le braccia distese, dicendo: «Papà, papà».
Fu poi la volta di Megan, che portammo a casa quando non aveva neppure ventiquattro ore. Poi di nuovo in Bolivia a prendere Daniel, che aveva cinque mesi quando lo tenemmo in braccio per la prima volta.
Alcuni anni dopo, quand’ero presidente della Missione di Merida, in Messico, Jennifer si unì alla nostra famiglia: una bellissima bambina guatemalteca di due settimane, nata in Messico. Ella conquistò il cuore dei nostri missionari e fedeli nel Messico meridionale. Natalie Joy entrò a far parte della nostra famiglia tre settimane prima della fine della nostra missione. Il suo secondo nome, Gioia, è un eterno memento della testimonianza che ricevemmo che ella doveva venire a far parte della nostra famiglia.
Dopo sedici anni di matrimonio e sei adozioni, Anne e Andrew quasi automaticamente si unirono alla nostra famiglia, con grande gioia e felicità dei loro fratelli e sorelle. La nostra famiglia è eternamente grata per gli effetti leganti e suggellanti che il tempio fornisce ai membri della Chiesa di Gesù Cristo.
Tenendo fede alle promesse fatte al Signore sotto le stelle della Bolivia il giorno di Pasqua del 1968, non passa giorno senza che io e Chris abbracciamo i nostri figli e sentiamo il Suo amore per tutti i Suoi figli. Ed ora, come per la Pasqua del 1968, la Pasqua del 1995 sarà un giorno che non dimenticheremo mai.
Sei mesi fa, come membri della Chiesa, sostenemmo il presidente Howard W. Hunter come quattordicesimo presidente della Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni. Io fui sostenuto a quella conferenza come nuovo membro dei Settanta. Agli inizi di marzo il presidente Hunter passò a miglior vita. Nella mia mente sono ancora vivi i ricordi che ho di lui. Non dimenticheremo mai il presidente Hunter, il quale disse ai nostri figli quando fui messo a parte: «Vi vogliamo bene. Vogliamo che vi sentiate a vostro agio attorno a noi. Vogliamo che sentiate di essere tutti una famiglia». Dopo la nostra messa a parte il presidente Hunter e i suoi consiglieri, presidente Hinckley e presidente Monson, strinsero la mano ad ognuno dei nostri figli: un momento da ricordare per sempre. Sei mesi dopo quella messa a parte ora mi presento davanti a voi per la prima volta, per parlarvi come Autorità generale nel Tabernacolo.
E il presidente Gordon B. Hinckley è stato sostenuto come quindicesimo presidente della Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni.
Durante una visita fatta in Sud America ventisette anni fa, l’allora anziano Gordon B. Hinckley parlò ai missionari. Allora egli era più giovane. Era Apostolo da appena sette anni. Egli lesse un passo delle Scritture e ci rivolse un invito, tratto dalla seconda epistola di Timoteo: «Poiché Iddio ci ha dato uno spirito non di timidità, ma di forza e d’amore e di correzione. Non aver dunque vergogna della testimonianza del Signor nostro» (1:7-8).
L’anziano Hinckley quindi invitò i missionari a non temere e a non vergognarsi della loro testimonianza di Gesù Cristo. Il suo invito penetrò nel mio cuore come missionario allora, ed è egualmente importante per me e per voi oggi. Il Signore ha suscitato un nuovo profeta, uno che non ha timore, uno che è pieno di potere e di amore e di capacità, uno che mediante l’esempio ci ricorda che non dobbiamo mai vergognarci della nostra testimonianza del Signore.
Possa questa Pasqua essere un periodo di meditazione, riflessione e gratitudine. Possiamo noi promettere di essere obbedienti agli inviti profetici rivoltici da coloro che detengono le chiavi del Regno. Un nostro inno favorito dice:
Nell’anima mia c’è il sol,
splendente più che mai;
la luce che mi dà Gesù
fa belli i giorni miei.
E Gesù è la mia luce. Nel nome di Gesù Cristo. Amen. 9