Essere discepoli
Una delle più grandi benedizioni della vita e dell’eternità è di venir annoverati come devoti discepoli del Signore Gesù Cristo.
Una gran folla seguiva il Salvatore quando Egli svolgeva il suo ministero sulle sponde del Mar di Galilea. Affinché un maggior numero di persone potesse ascoltarLo, Egli montò sulla barca da pesca di Pietro e chiese di essere trasportato un po’ lontano dalla riva. Dopo che ebbe finito di parlare, Egli disse a Pietro, che aveva pescato tutta la notte senza successo, di prendere il largo e di gettare le reti nell’acqua profonda. Pietro obbedì e pescò così tanti pesci che le reti si ruppero. Pietro chiamò i suoi compagni, Giacomo e Giovanni, perché andassero ad aiutarlo. Tutti erano stupiti della quantità di pesce pescata. Gesù disse a Pietro: «Non temere, da ora innanzi sarai pescator d’uomini». Luca poi ci dice: «Ed essi, tratte le barche a terra, lasciarono ogni cosa e lo seguirono».1 Essi diventarono discepoli del Signore.
La parola discepolo e la parola disciplina derivano entrambi dalla radice latina discipulus, che significa allievo. Essa mette in evidenza la pratica o l’esercizio. L’autodisciplina e l’autocontrollo sono caratteristiche costanti e permanenti dei seguaci di Gesù, come esemplificato da Pietro, Giacomo e Giovanni, che invero «lasciarono ogni cosa e lo seguirono».
Che cosa implica l’essere discepoli? Implica in primo luogo l’obbedienza al Salvatore. L’essere discepoli include molte cose. La castità. La decima. La serata familiare. L’osservanza di tutti i comandamenti. È abbandonare qualsiasi cosa che non sia buona per noi. Ogni cosa nella vita ha un prezzo. Considerando la grande promessa del Salvatore di pace in questa vita e di vita eterna nella vita a venire, l’essere discepoli è un prezzo che vale la pena di pagare. È un prezzo che non possiamo permetterci di non pagare. A confronto, i requisiti dell’essere discepoli sono molto, molto inferiori alle benedizioni promesse.
I discepoli di Cristo ricevono una chiamata, non solo di lasciare la ricerca delle cose del mondo, ma di portare la croce ogni giorno. Portare la croce significa seguire i Suoi comandamenti e edificare la Sua chiesa sulla terra. Significa anche autocontrollo.2 Come Gesù di Nazaret ci insegnò: «Se uno vuol venire dietro a me, rinunzi a se stesso, prenda ogni giorno la sua croce e mi seguiti».3 «E chi non porta la sua croce e non vien dietro a me, non può essere mio discepolo».4
Le parole di una amata canzone della Primaria risuonano per tutti coloro che seguono il Maestro:
Esaminiamo alcune delle cose che fece Gesù che possiamo tutti emulare.
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Gesù «è andato attorno facendo il bene».6 Noi tutti possiamo fare qualcosa di buono ogni giorno—per un membro della famiglia, un amico o anche per un estraneo—se cerchiamo l’occasione di farlo.
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Gesù era il Buon Pastore, che vegliava sul Suo gregge e si preoccupava per coloro che si erano persi.7 Noi possiamo trovare chi è solo o coloro che sono meno attivi e diventare loro amici.
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Gesù aveva compassione di molti, incluso un povero lebbroso.8 Anche noi possiamo avere compassione. Nel Libro di Mormon ci viene ricordato che dobbiamo «piangere con quelli che piangono».9
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Gesù portava testimonianza della Sua missione divina e del grande lavoro di Suo Padre. Quanto a noi, possiamo tutti «stare come testimoni di Dio in ogni momento».10
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Gesù invitò «i piccoli fanciulli a venire a [Lui]».11 I nostri bambini hanno bisogno della nostra attenzione e del nostro amore tanto quanto delle nostre cure.
I veri seguaci del Salvatore dovrebbero essere pronti a sacrificare la propria vita e qualcuno ha avuto il privilegio di farlo. Dottrina e Alleanze raccomanda:
«Che nessuno abbia paura di deporre la sua vita per amor mio; poiché chiunque depone la sua vita per amor mio la ritroverà.
E chiunque non è disposto a deporre la sua vita per amor mio, non è mio discepolo».12
Nel Libro degli Atti leggiamo la descrizione del discepolo Stefano che era «pieno di grazia e di potenza, [e] faceva gran prodigi e segni fra il popolo».13 Stefano affrontò un uditorio ostile a Gerusalemme che lo accusò falsamente di bestemmia anche se fu trasfigurato davanti a loro. Stefano portò testimonianza della divinità del Salvatore e quando li chiamò al pentimento molti nella folla se la presero con lui. «Ma egli, essendo pieno dello Spirito Santo, fissati gli occhi al cielo, vide la gloria di Dio e Gesù che stava alla destra di Dio».14 Anche mentre lo lapidavano, le ultime parole sulle labbra di Stefano furono: «Signore, non imputar loro questo peccato».15
Nei primi tempi della Chiesa in Messico, due fedeli dirigenti che erano discepoli di Cristo divennero martiri per il loro credo. I due che persero la vita erano Rafael Monroy e Vicente Morales.
Durante la rivoluzione messicana, Rafael Monroy era presidente del piccolo ramo di San Marcos, in Messico, e Vicente Morales era il suo primo consigliere. Il 17 luglio 1915 furono arrestati dagli Zapatisti. Fu detto loro che sarebbero stati risparmiati se avessero consegnato le loro armi e rinunciato alla loro strana religione. Fratello Monroy disse a chi lo aveva catturato che non aveva nessuna arma e con semplicità estrasse dalla tasca la sua Bibbia e il Libro di Mormon. Egli disse: «Signori, queste sono le uniche armi che io abbia mai portato, sono le armi della verità contro l’errore».
Quando non furono trovate armi, i fratelli vennero crudelmente torturati per far loro confessare dove tenessero nascoste le armi. Ma non c’era nessuna arma. Essi vennero poi portati sotto scorta alla periferia della piccola città, dove i loro catturatori li misero in piedi vicino ad un grosso frassino di fronte a un plotone di esecuzione. L’ufficiale in carica offrì loro la libertà, se avessero abbandonato la loro religione e si fossero uniti agli Zapatisti, ma fratello Monroy rispose: «La mia religione mi è più cara della vita e non posso abbandonarla».
Fu quindi detto loro che stavano per essere fucilati e gli fu chiesto se avevano una qualche richiesta da fare. Fratello Rafael chiese che gli fosse permesso di pregare prima di essere giustiziato. Là, alla presenza dei suoi carnefici, egli si inginocchiò e con una voce che tutti poterono sentire, pregò che Dio benedicesse e proteggesse i suoi cari e si prendesse cura del piccolo ramo che sarebbe rimasto senza un dirigente. Quando finì la sua preghiera, egli usò le parole del Salvatore quando pendeva dalla croce e pregò per i suoi carnefici: «Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno».16 Con ciò il plotone d’esecuzione fucilò sia fratello Monroy che fratello Morales.17
Diversi anni fa andai in Messico per riorganizzare una presidenza di palo. Mentre tenevo le interviste, ebbi il privilegio di conoscere uno dei discendenti di Rafael Monroy. Fui molto impressionato dalla profonda testimonianza di quest’uomo e dal suo impegno verso il Vangelo. Quando gli chiesi che cosa fosse accaduto al resto dei discendenti di fratello Monroy egli disse che molti di loro avevano svolto una missione ed erano rimasti fedeli nella Chiesa.
Nei primi tempi della Chiesa, anche altri discepoli oltre a Joseph Smith e Hyrum Smith deposero la loro vita per il vangelo di Gesù Cristo. La fedeltà di Edward Partridge, il primo vescovo della Chiesa, è ricordata in Dottrina e Alleanze.18 Il 20 luglio 1833, Edward era seduto in casa con la sua debole moglie che aveva appena partorito. Tre malviventi irruppero e lo trascinarono nel caos della strada e poi nella piazza dove avevano già portato Charles Allen. Una plebaglia di trecento persone richiese, tramite il suo portavoce, che Edward e Charles rinunciassero alla loro fede nel Libro di Mormon o lasciassero il paese. Edward Partridge rispose: «Se devo soffrire per la mia religione, non è niente di più di ciò che altri hanno fatto prima di me. Sono consapevole di non aver offeso nessuno nel paese e pertanto non accetto di lasciarlo. Non ho fatto nulla per offendere nessuno. Se voi mi maltrattate, state infierendo contro un uomo innocente». La folla quindi ricoprì Edward e Charles dalla testa aipiedi con catrame caldo contenente perlassa, un acido che corrode la carne, e poi gettò delle piume che si attaccarono al catrame ardente.19
Il profeta Joseph Smith descrisse la morte di Edward, alcuni anni più tardi, all’età di 46 anni, con queste parole: «Egli ha perso la vita a causa delle persecuzioni del Missouri ed è uno di coloro il cui sangue verrà richiesto dalle loro mani».20 Edward Partridge ha lasciato un’eredità che perdura in una grande e retta posterità.
Alla maggior parte di noi, comunque, ciò che viene richiesto non è di morire per la Chiesa, ma di vivere per essa. Per molti, vivere ogni giorno una vita simile a Cristo può essere anche più difficile che deporre la propria vita. Ho imparato in tempo di guerra che molti uomini furono capaci di grandi atti di altruismo, eroismo e nobiltà senza riguardo per la vita. Ma quando la guerra finì e tornarono a casa, non riuscirono a reggere i comuni fardelli quotidiani della vita e diventarono schiavi del fumo, dell’alcol, delle droghe e della dissolutezza che alla fine provocarono la perdita della loro vita.
Alcuni possono dire: «Sono una persona semplice. Non ho importanza o posizione. Sono nuovo nella Chiesa. I miei talenti e le mie abilità sono limitate. Il mio contributo è insignificante». O possono dire: «Sono troppo vecchio per cambiare. Ho già vissuto la mia vita. Perché dovrei provare?» Non è mai troppo tardi per cambiare. L’essere discepoli non risulta da posizioni di preminenza, dalle ricchezze o da un’istruzione superiore. I discepoli di Gesù provengono da tutti i sentieri della vita. Comunque, essere discepoli ci richiede di abbandonare la trasgressione e di godere di quello che il presidente Kimball ha chiamato «il miracolo del perdono».21 Questo può avvenire tramite il pentimento, che significa abbandonare il peccato e decidere di essere ogni giorno seguaci della verità e della rettitudine. Come ha insegnato Gesù: «Che sorta di uomini dovreste essere? In verità, io vi dico: Così come sono io».22
Molti pensano che il prezzo dell’essere discepoli sia troppo alto e troppo gravoso. Per qualcuno implica rinunciare a troppo. Ma la croce non è pesante come sembra. Grazie all’obbedienza acquistiamo una forza maggiore per portarla.
«Venite a me, voi tutti che siete travagliati ed aggravati, e io vi darò riposo.
Prendete su voi il mio giogo ed imparate da me, perch’io son mansueto ed umile di cuore; e voi troverete riposo alle anime vostre;
poiché il mio giogo è dolce e il mio carico è leggero».23
La nostra vera chiamata come discepoli arriva quando possiamo dire con certezza che la Sua via è diventata la nostra via.
Le benedizioni dell’essere discepoli sono facilmente a disposizione di tutti coloro che desiderano pagarne il prezzo. Essere discepoli dà uno scopo alla nostra vita così che piuttosto che vagare senza meta, noi percorriamo fermamente lo stretto ed angusto sentiero che ci riporta al nostro Padre in cielo. Essere discepoli ci porta il conforto nei momenti di sofferenza, la pace di coscienza e la gioia nel servizio, e tutto ciò ci aiuta ad essere più simili a Gesù.
Essendo discepoli del Salvatore giungiamo a conoscere e a credere nel nostro cuore e nella nostra mente nei principi e nelle ordinanze di salvezza della Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni. Essendo discepoli arriviamo ad apprezzare la profonda missione del profeta Joseph Smith nella restaurazione di quei principi di salvezza nel nostro tempo. Noi ci rallegriamo che le chiavi del sacerdozio e la sua autorità siano state trasmesse tramite i presidenti della Chiesa dal profeta Joseph Smith al nostro attuale profeta, il presidente Gordon B. Hinckley.
Siamo grati che il nostro essere discepoli del Salvatore ci conduca a godere della Sua promessa di «pace in questo mondo»24 con appagamento, gioia e soddisfazione. Essendo discepoli siamo in grado di ricevere la forza spirituale di cui abbiamo bisogno per affrontare le difficoltà della vita.
Una delle più grandi benedizioni della vita e dell’eternità è di venire annoverati come devoti discepoli del Signore Gesù Cristo. Ho una profonda testimonianza di questa verità della quale rendo testimonianza. Nel nome di Gesù Cristo. Amen.