Presidente, sono pronto a fare l’intervista per la missione!
Una domenica, quando ero presidente di missione a Vladivostok, in Russia, successe una cosa piuttosto sorprendente. Ero andato nel mio ufficio per raccogliere dei materiali quando Vladimir, un ragazzo di 13 anni che gli amici chiamano Vova, bussò alla porta. Vova è un diacono del Primo Ramo di Vladivostok. Chiese se potevo riceverlo nel mio ufficio. Era accompagnato dalla sorella Olga Vyachyeslavna Dryagunova. Questa sorella parla benissimo l’inglese, e il ragazzo le chiese se poteva fargli da interprete. Vova non parla inglese, e io parlo poco russo.
Vova era orfano, abbandonato dalla nascita perché nato con il palato leporino. Il difetto dalla nascita è stato parzialmente sistemato, lasciando una cicatrice. Egli fu adottato da una donna meravigliosa che lo ha trattato come suo figlio. Il ragazzo è sempre felice. Ha un sorriso sul volto e un’espressione meravigliosa quando distribuisce il sacramento. Porta il mantello del diacono bene come qualsiasi altro ragazzo io abbia conosciuto. Porta regolarmente una dolce e breve testimonianza della veridicità del Vangelo. È tutto quello che un diacono dovrebbe essere.
Alla nostra riunione Vova parlò russo e la sorella Olga fece da interprete. Ella mi disse che Vova era venuto per riempire la domanda per svolgere una missione a tempo pieno. Chiesi, trattenendo un sorriso: «Quanti anni ha?»
Ella glielo chiese ed egli rispose: «Quasi 14».
Cercando di contenermi, dissi: «Capisce che deve avere 19 anni per poter svolgere una missione?»
Ella rispose: «Certo, ma non vuole inoltrare la sua domanda in ritardo».
Li rassicurai che doveva passare ancora del tempo prima di dover inviare la sua domanda per la missione a Mosca e poi a Salt Lake City. Né io né il presidente del ramo avremmo dimenticato quando sarebbe stato tempo di compilare i suoi moduli. Mi avvicinai alla parete dove erano esposte le fotografie dei 44 missionari che stavano all’epoca svolgendo la missione nella Missione Russa di Vladivostok. Dissi a Vova che temevo che i documenti per la missione sarebbero tornati indietro se indicavano che stavo raccomandando per la missione un ragazzo di tredici anni.
Poi gli spiegai che, dato che era nel mio ufficio, dove io tenevo le interviste ai missionari, pensavo che fosse il caso di porgli le domande che gli verranno fatte quando avrà 19 anni, soltanto per rassicurarlo che al momento era degno di svolgere una missione. Feci dunque tutte le domande sulla dignità, come se Vova fosse uno dei miei missionari a tempo pieno, saltando le domande pertinenti ai rapporti tra ragazzi e ragazze, pensando che fossero premature. Inoltre, non volevo mettere in imbarazzo la sorella Olga.
Vova rispose a tutte le domande con le risposte giuste e con la saggezza di un ragazzo due volte più grande di lui. Riflettendo ulteriormente sul caso, penso che avesse persino chiesto a uno degli anziani quali domande aspettarsi dal presidente di missione. Poi dissi a Vova che poteva tornare ogni sei mesi e che avremmo ripetuto il processo dell’intervista.
Allora mi chiese con qualche preoccupazione cosa avrebbe dovuto dirmi tra sei mesi per farmi sapere che era pronto per un’altra intervista. Gli dissi tramite la sorella Olga che era ora che iniziasse ad imparare l’inglese. Poi dissi lentamente: «Questo è quello che dovrai dirmi ‹Presidente, sono pronto a fare l’intervista per la missione›».
Egli ripeté tre volte le parole importanti che doveva conoscere.
Mentre mi avviavo a chiudere l’intervista, Vova chiese alla sorella Olga di pormi un’ultima domanda: «Presidente», disse, «che consiglio mi può dare ai fini della mia preparazione per la missione?»
Rimasi veramente colpito. Pochi dei miei anziani più maturi avrebbero la saggezza necessaria per farmi una domanda tanto esplicita. Meditai per un momento e poi gli dissi di fare tre cose: Primo, gli dissi di leggere le Scritture ogni giorno. Secondo, gli suggerii di pregare il Padre celeste ogni mattina e ogni sera. Terzo, gli dissi di esercitarsi nell’inglese.
Confesso che l’ultimo suggerimento fu un po’ egoistico da parte mia, pensando a quanto mi sarebbe piaciuto parlare con lui in inglese e chiedergli dei sentimenti che aveva in cuore. Gli suggerii di frequentare le lezioni d’inglese che i missionari tenevano gratuitamente, ma disse che sua madre non gli avrebbe permesso di rimanere fuori dopo il tramonto. Concordammo che si sarebbe impegnato maggiormente in inglese, a scuola.
Più tardi, quando vidi i diaconi nel corridoio dopo le riunioni, chiesi a Vova se voleva ripetere la frase che doveva dire in occasione della sua prossima intervista. Lo fece in maniera egregia. Poi, con mia grande sorpresa, appresi che ognuno degli altri diaconi del ramo aveva imparato le parole magiche. Ognuno ripeté guardandomi negli occhi: «Presidente, sono pronto a fare l’intervista per la missione!»
Oh, quale potere ha l’esempio! La gioia che sta nel fatto che uno parli e condivida con l’altro le cose imparate è un aspetto che ho cercato di fare sperimentare a tutti i miei missionari! Questi diaconi russi erano sulla via che conduce alla perfezione.
Seduto alla mia scrivania, mi chiedevo cosa si poteva fare per promuovere il lavoro missionario in questa grande terra di Russia se, da lì a cinque anni, quando Vova avrebbe avuto 19 anni e sarebbe stato pronto a svolgere la sua missione, ci fossero stati altri 2.000 giovani diaconi russi desiderosi di prepararsi proprio come fece Vova. La risposta, certo, si trova in Alma 57. Vi si legge che un profeta di nome Helaman aveva un esercito di 2.000 giovani uomini e fu in grado di operare miracoli con ragazzi di grande fede e devozione che erano stati istruiti dalle loro madri (vedere v. 21).
Pensate alle benedizioni che riceverà il presidente di missione che avrà Vova tra i suoi giovani missionari!