Rafforzare il matrimonio e diventare soci alla pari
La chiave è nella toppa. È rincasato dal lavoro e sta per entrare. In cucina ci sono segni di una giornata familiare intensa. Il neonato piange. Il figlio di tre anni ha appena versato il latte, non nel bicchiere, ma sul tavolo. Il figlio di sette anni richiede alcune attenzioni paterne. La cena non è pronta.
Con una scadenza lavorativa fissata per domani, stordito dal traffico e con una riunione in Chiesa in serata, egli spera di essere accolto dalla moglie, che lo consoli un po’.
Sentendo che sta entrando, lei è contenta che sia arrivato in suo soccorso! Quando però vede il volto di lui abbattersi, dopo aver dato uno sguardo attorno, si difende: «Guarda che anch’io ho lavorato tutto il giorno. Sono stata con questi bambini senza sosta e ho bisogno di una pausa. Per favore puoi cucinare questa scatola di pasta al formaggio e darmi una mano con i bambini?»
La richiesta di lei sembra rovente, le speranze di lui evaporano in esasperazione e sta per reagire.
In questo incrociarsi della loro giornata intensa, questi coniugi hanno diverse possibilità. Useranno questo momento per esercitarsi a essere il tipo di compagni che ognuno dei due ha stretto alleanza di diventare? Oppure entrambi agiranno in base ai condizionamenti passati, familiari e culturali? Certi atteggiamenti e idee si sono mescolati all’aria stessa che respirano, dando loro dei problemi mentre cercano di vivere l’uno con l’altro, piuttosto che l’uno contro l’altro.
Immaginate che lui sia cresciuto con un padre che era un marito dominante e con una madre che era una moglie sottomessa. Il marito allegro, mentre entra attraverso la porta bella lucida, esclama: «Cara, sono tornato!» La moglie, calma e senza un capello fuori posto, con il rossetto e un grembiule inamidato, lo saluta con «La cena è pronta, caro. Togliti la cravatta e siediti». Tutto è a posto.
Supponete che i suoi genitori credano che il primo dovere di una moglie sia, come una chiesa americana ha scritto nel suo credo, «sottomettersi garbatamente al marito». Immaginate inoltre che credano che il dovere di un marito è fornire indicazioni: guidare, assegnare incarichi, aspettarsi risultati.
Ora supponete che lei sia cresciuta con dei genitori al passo con l’emancipazione delle donne. La madre è grata di vivere in tempi in cui le donne non hanno più la pressione di conformarsi ad un ruolo rigido, di continuo sacrificio che sembra non appagarle.
Forse la madre, o anche il padre, direbbe che una donna intelligente mantiene i confini su quanto tempo e quanto si dedica a sostenere il marito e i figli, perché per prima cosa ha bisogno di pensare a se stessa e agli obiettivi personali in questa nuova epoca di libertà femminile.
Diventare interdipendenti
Correggendo questi due atteggiamenti estremi, «La famiglia: un proclama al mondo» insegna un concetto marito-moglie che differisce chiaramente da entrambe le famiglie in cui questa coppia ipotetica è cresciuta. Questo documento dichiara che i padri «devono presiedere» e «provvedere alle necessità di vita e alla protezione delle loro famiglie», mentre «la principale responsabilità delle madri è quella di educare i figli». Padre e madre sono tenuti ad «aiutarsi l’un l’altro», adempiendo questi doveri come «soci con eguali doveri».1
I genitori del nostro giovane marito credono nella vecchia idea che le donne siano totalmente dipendenti dal marito. I genitori della nostra giovane moglie sono per la nuova idea che le donne siano indipendenti dal marito. Il vangelo restaurato, invece, insegna l’idea eterna che marito e moglie sono interdipendenti l’uno dall’altro. Sono sullo stesso piano. Sono soci.
Nella storia cristiana l’idea erronea che le mogli debbano dipendere ebbe origine dal falso presupposto che la caduta di Adamo ed Eva fu un errore tragico e che quest’ultima fu la principale colpevole. La sottomissione tradizionale delle donne agli uomini, pertanto, era considerata una punizione adeguata al peccato di Eva.2
Per fortuna la Restaurazione chiarisce che la scelta compiuta da Eva, e da Adamo, fu fondamentale per il progresso eterno dei figli di Dio. Noi onoriamo piuttosto che condannare ciò che essi fecero, inoltre consideriamo Adamo ed Eva soci alla pari.
Anche l’idea moderna emancipata che i coniugi siano indipendenti l’uno dall’altro è sbagliata. Afferma caratteristicamente che non ci sono differenze innate tra l’uomo e la donna o che, anche se esistessero, nessuno ha il diritto di definire i ruoli in base al sesso.
In alcuni casi l’eccessivo altruismo della moglie dipendente consente e forse incoraggia persino il dominio maschile. Come reazione a questo fatto, l’ala radicale del movimento di emancipazione passò all’altro estremo dell’indipendenza, saltando le possibilità offerte dall’interdipendenza. Questo movimento e questa cultura hanno spinto alcune donne dall’essere oltremodo altruiste al diventare egoiste, facendo venir meno la crescita personale che si ha solo quando il sacrificio è volontario, che permette loro di sviluppare la capacità di prendersi cura di tutti coloro che rientrano nel circolo d’influenza (vedere Giovanni 17:19).
Il concetto d’interdipendenza, ossia di soci alla pari, è ben radicato nella dottrina del vangelo restaurato. Eva era l’«aiuto convenevole» di Adamo (vedere Genesi 2:18). Il termine ebraico originale per convenevole significa che Eva era adeguata, o pari, a Adamo. Ella non era la sua serva o subalterna. L’ebraico per aiuto nell’espressione «aiuto convenevole» è ezer, che significa che Eva attingeva ai poteri celesti nel fornire al matrimonio gli istinti spirituali disponibili unicamente alle donne come dono caratteristico.3
Il presidente Boyd K. Packer, presidente facente funzione del Quorum dei Dodici Apostoli, affermò che gli uomini e le donne sono diversi per natura, benché abbiano molti tratti umani in comune: «Le virtù e gli attributi dai quali dipendono la perfezione e l’esaltazione appartengono per natura [più] a una donna».4
Genesi 3:16 dichiara che Adamo «domina», ossia governa su Eva, ma ciò non lo rende un dittatore. Un governante è colui che stabilisce gli standard, quindi Adamo era tenuto a vivere in maniera tale che gli altri potessero misurare la rettitudine della propria condotta prendendolo ad esempio. Essere un governante non conferisce tanto un privilegio di potere, quanto contempla l’obbligo di applicare ciò che si predica. Inoltre, nell’espressione inglese «over» del verbo «rule over» usa l’ebraico bet, che significa governare con e non dominare su. Se un uomo esercita «dominio… con un qualsiasi grado di ingiustizia» (DeA 121:37; corsivo dell’autore), Dio pone fine all’autorità di quell’uomo.
Forse a causa del fatto che i falsi insegnamenti hanno travisato il significato originale delle Scritture, il presidente Spencer W. Kimball (1895–1985) preferiva il termine «presiedere» a «dominare». Egli insegnò: «A nessuna donna è stato mai chiesto dalle autorità della Chiesa di seguire il marito nel fare il male. Ella è tenuta a seguirlo [solo] se egli segue e obbedisce al Salvatore del mondo, ma nel decidere [se egli stia obbedendo a Cristo] dovrebbe essere sempre sicura di essere equa».5 In questo modo, il presidente Kimball considerava il matrimonio «una società a pieni diritti», e dichiarò: «Non vogliamo che le nostre donne siano soci silenziosi o soci accomodanti», ma piuttosto contribuenti, «a pieno diritto».6
I coniugi non hanno bisogno di svolgere gli stessi compiti per essere alla pari. Gli istinti spirituali innati nella donna sono come una bussola morale, che punta verso il nord spirituale, tranne quando le particelle magnetiche impazziscono. Il dono di presidenza proprio dell’uomo è il sacerdozio, salvo quando egli non vive secondo i principi della rettitudine. Se marito e moglie sono saggi, si consiglieranno a vicenda: lui ascolterà i suggerimenti della sua bussola spirituale innata, proprio come lei ascolterà il suo retto consiglio.
In un matrimonio tra soci alla pari, entrambi porteranno la propria maturità spirituale nel loro rapporto, a prescindere dal loro sesso. Entrambi hanno una coscienza e lo Spirito Santo che li guida. Entrambi considerano la vita familiare la loro opera più importante. Ognuno di loro cerca di diventare un buon discepolo di Gesù Cristo, ossia un essere spirituale completo.
Il matrimonio tra soci alla pari
L’anziano Neal A. Maxwell (1926–2004), membro del Quorum dei Dodici Apostoli, affermò che per troppo tempo nella Chiesa gli uomini sono stati i teologi, mentre le donne sono state le cristiane.7 Per essere soci alla pari, ognuno di noi dovrebbe essere teologo e cristiano.
Quando nel 1996 l’anziano Maxwell scoprì di avere la leucemia, la diagnosi era scoraggiante. Egli aveva lavorato per anni per essere «disposto a sottomettersi» (Mosia 3:19) alla volontà del Signore. Se era giunto il momento di affrontare la morte, non voleva ritrarsi dal bere la coppa amara.
Sua moglie Colleen, tuttavia, benché fosse anch’ella disposta a piegarsi alla volontà divina, con affetto gli disse in maniera diretta che Cristo stesso per prima cosa pregò ferventemente: «Se è possibile, passi oltre da me questo calice!» Solo allora si sottomise, dicendo: «Ma pure, non come voglio io, ma come tu vuoi» (Matteo 26:39). L’anziano Maxwell comprese l’insegnamento dottrinale e fu d’accordo con lei. Di conseguenza pregarono insieme affinché la sua vita fosse risparmiata. Motivato dalla loro determinazione, il medico dell’anziano Maxwell trovò una nuova cura che gli prolungò la vita di diversi anni. L’anziano Maxwell fu grato di non essere il solo teologo nel loro matrimonio.8
In un matrimonio paritario, «l’amore non è possesso, ma partecipazione… parte di quella creazione associata che è la nostra chiamata umana».9 Con una partecipazione reale, marito e moglie si fondono in un’unità sinergica di un «dominio perpetuo» che «senza mezzi coercitivi» fluirà con la loro vita spirituale verso di loro e la loro posterità «per sempre e in eterno» (DeA 121:46).
Nel piccolo regno domestico, ogni coniuge dona liberamente ciò che l’altro non ha e senza il quale non potrebbe essere completo e ritornare alla presenza di Dio. Essi non sono un solista con l’accompagnamento, né sono due solisti, bensì sono parti interdipendenti di un duetto, che cantano insieme in armonia ad un livello non raggiungibile da un solista.
Ognuno supplisce alle carenze dell’altro. Paolo scrisse:
«Poiché questo non si fa per recar sollievo ad altri ed aggravio a voi,
ma per principio di uguaglianza… la vostra abbondanza serve a supplire al loro bisogno, onde la loro abbondanza supplisca altresì al bisogno vostro, affinché ci sia uguaglianza» (2 Corinzi 8:13–14).
Le alleanze del matrimonio nel tempio non portano come per magia equità in una relazione, ma ci fanno intraprendere un processo di sviluppo nell’apprendere e crescere insieme mediante la pratica.
Quella coppia che abbiamo visto in cucina ha in comune un impegno verso la promessa dell’unità familiare eterna. I soci alla pari, tuttavia, non sono fatti in cielo, ma sulla terra, una scelta alla volta, una conversazione alla volta, un ostacolo alla volta. Raggiungere questo risultato è difficile e occorre lavorare con pazienza attraverso le diverse supposizioni su chi, quella sera, come migliaia di altre sere simili, avrebbe dovuto confortare l’altro.
Quando il latte gocciolava dal tavolo, lei aveva in mano la scatola di pasta al formaggio, lui era preoccupato per una scadenza di lavoro e una riunione, ed entrambi mostravano la propria stanchezza sul viso. In che modo il popolo dell’alleanza e coloro che hanno un rapporto equilibrato affrontano questi momenti? In che modo i pochi minuti successivi contribuiscono a creare una società alla pari?
Giovane moglie, vedi in lui una persona che ha lavorato tutto il giorno per portare a casa il pane? Giovane marito, vedi in lei una persona che ha lavorato tutto il giorno per rendere nutriente quel pane? Riuscite entrambi a vedere oltre al fare del giorno e a ricordare il valore inestimabile dell’essere per la persona alla quale siete sposati?
Rafforzare l’amore
Dopo una vita di pratica e di pazienza vissuta insieme, come saranno i vostri ultimi giorni sulla terra? Saranno un po’ come quelli di John e Therissa Clarks? Nel 1921 John Haslem Clark di Manti, Utah, scrisse quella che risultò la sua ultima pagina di diario:
«Oggi i nostri familiari sono stati qui, ma ora sono ritornati a casa. Il calpestio dei piedi che corrono, le risate e il vocio sono cessati. Siamo soli, noi due. Noi due, che il destino ha unito. Tanto tempo fa, sono trascorsi sessant’anni da quando di giugno c’incontrammo sotto un albero, io ti baciai per primo. Quanto eri timida e intimorita nella tua giovinezza. Nessuna donna sulla terra o in cielo potrebbe essere per me ciò che tu sei. Preferisco che tu sia qui, donna, con i tuoi capelli grigi, piuttosto che un fresco bocciolo in fiore. Dove sei tu è casa. Dove tu non sei è nostalgia. Nel guardarti mi rendo conto che c’è qualcosa di più grande dell’amore, benché l’amore sia la cosa più grande della terra. È la fedeltà. Perché dove io con vergogna sono stato costretto a uscire, tu mi hai seguito. Quando ardevo per la febbre, la tua mano dolcemente mi ha rinfrescato. Con la mia mano nella tua possa io andarmene e prendere posto tra i salvati del cielo. Con il trascorrere degli anni, avendo otto anni più di te, penso che il tempo mio sia prossimo. Spesso ci è venuto da pensare e da chiederci: come potrebbe uno di noi restare solo? Solo, dopo essere vissuti insieme per cinquantasei anni. Non riesco quasi a pensarci, ma trovo un qualche conforto, anche se un po’ egoistico, nel fatto che, considerata la nostra età, non sarò io a rimanere solo».
In seguito compare sulla stessa pagina una diversa calligrafia. È la voce di Therissa, che con dolcezza chiude il diario di John:
«Sono trascorsi quasi due anni e mezzo dalle ultime parole scritte e gli eventi che le hanno seguite sono assai tristi, tanto strazianti per la sua compagna di vita, che tante volte ha impugnato questa penna senza riuscire a scrivere. Lutto e solitudine [sono] sempre presenti e mi accompagneranno sino alla fine… Il tempo lenirà la tristezza? Potrò lasciare la nostra vecchia casa e non sentire che egli mi sta attendendo, chiamandomi? Sono contenta solo a casa, dove sento che mi sta guardando e avverto sempre accanto a me la sua presenza.
L’11 marzo 1923 John Haslem Clark se n’è andato dopo una malattia di solo una settimana. Sembrava tanto se stesso. Parlava ed era attivo. Non pensavamo che la fine fosse prossima sino a quando divenne incosciente qualche ora prima di spirare. Oh, possiamo tutti noi essere tanto innocenti e puri, pronti per incontrare il nostro Creatore».10
Noi non conosciamo i particolari della vita di John e Therissa, come superarono le prove che incontrarono. Sappiamo, però, che cinquantasei anni di conversazioni quotidiane alla fine formarono il tipo di persone che divennero, il tipo d’amore che conobbero.
Se la nostra giovane coppia potesse solo sapere che questo amore è ciò che potrebbero sentire e comprendere alla fine dei loro giorni, che cosa non darebbero! Ascolterebbero di più e farebbero scelte migliori, volta dopo volta, giorno dopo giorno, prova dopo prova. Apprenderebbero, mediante la pazienza e l’esperienza, che «il lavoro è l’amore reso visibile».11 Col trascorrere degli anni si renderebbero conto che il matrimonio li sta aiutando a diventare discepoli migliori di Gesù Cristo, diventando un po’ più simili a Lui. Capirebbero quindi, tagliando il traguardo della vita terrena, che quanto sono diventati simili a Lui dipende da ciò che sono l’uno per l’altra.