La Chiesa collabora per salvare i bambini nel mondo
Il dottor Bulane, medico del nosocomio militare Makoanyane di Maseru, Lesotho, affronta quotidianamente il problema della carenza di personale medico e di forniture ospedaliere. Gli abitanti del Lesotho, uno stato senza sbocchi sul mare situato nell’Africa meridionale, sono affetti nel 30 percento dei casi da infezioni dovute al virus HIV correlate con l’AIDS, hanno un’aspettativa di vita di 34,4 anni, e sono colpiti da siccità ricorrenti, povertà e un alto tasso di mortalità infantile.
Per via della sua preoccupazione per la mortalità infantile, il dottor Bulane si era iscritto ad un corso sulla rianimazione neonatale tenuto nella sua comunità dai servizi umanitari della Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni.
Il programma, che ha l’obiettivo di ridurre i casi di morte per asfissia (mancanza di ossigeno) alla nascita, è tenuto in molte parti del mondo come iniziativa a lungo termine della Chiesa e in seguito alla preoccupazione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità per i decessi infantili.
Subito dopo aver partecipato al corso tenuto nel giugno 2006, il dottor Bulane ha salvato un maschietto mettendo in pratica le tecniche appena apprese. «La madre aveva troppo liquido amniotico ed è stato eseguito un cesareo», spiega. «Il bambino era diventato cianotico. Grazie alle tecniche di rianimazione neonatale il piccolo è stato salvato. Ora è in gran forma. Mi sono servito dei tempi che mi erano stati insegnati. Senza questa conoscenza, ci sarebbero potute essere complicazioni. È stato fantastico: il corso mi ha insegnato come dovrebbero essere le cose. Per quanto mi riguarda, m’infonde fiducia. Ora so esattamente che cosa fare, senza panico».
La fiducia nell’intervento nei secondi critici dopo la nascita è la meta della rianimazione neonatale, secondo Deb Whipple, infermiera in una unità neonatale di cure intensive presso l’LDS Hospital di Salt Lake City, assidua partecipante ai corsi d’addestramento in tutto il mondo. «So che le procedure funzionano», riconosce la sorella Whipple. «Ho visto salvare molti bambini in quei preziosissimi primi 30–60 secondi».
Questa sorella si serve delle sue conoscenze in sala parto, e le condivide a livello internazionale con altro personale sanitario. «Il corso di rianimazione neonatale è tenuto a cinquanta studenti che… ritornano alla loro clinica, ospedale e comprensorio per istruire altri assistenti al parto», spiega.
Le nazioni partecipanti sono scelte in base alla mortalità infantile, secondo Dean Walker dei Servizi umanitari, direttore dell’iniziativa per la rianimazione neonatale. I corsi didattici sono programmati attraverso il ministro della sanità locale nelle nazioni partecipanti e i kit per l’addestramento—che comprendono i manichini, i manuali e l’apparecchiatura per la rianimazione—sono donati dalla Chiesa. Nel 2006 i corsi sono stati tenuti in 23 paesi.
Medici, infermieri, pneumoterapisti e altri professionisti nel campo medico si sono offerti volontari per entrare a fare parte del personale che tiene i corsi di rianimazione.
Secondo il dottor Ted Kimball, medico del pronto soccorso del University of Utah Hospital di Salt Lake City e presidente del consiglio consultivo dei Servizi umanitari, il ruolo di agevolatore del trattamento degli argomenti relativi alla salute nei paesi in via di sviluppo porta molteplici ricompense.
«Questa gente conduce un’esistenza semplice», fa notare. «Non hanno bisogno di televisori a schermo piatto o di computer. Hanno tre esigenze basilari: avere la possibilità di studiare, di curarsi e di avere pace e libertà dalle guerre per il potere. La rianimazione neonatale gioca un ruolo critico in due di queste esigenze: lo studio e la salute. I nostri corsi apportano un contributo effettivo».
In Uganda, il ministro della sanità, che ha partecipato recentemente al corso di rianimazione neonatale, ha spiegato al dottor Kimball che nel paese la morte di ogni neonato comporta circa centomila dollari di deficit all’economia statale. «In queste aree, dove c’è una povertà opprimente», spiega il dottor Kimball, «hanno bisogno di una forza lavoro sana e istruita che porti la popolazione fuori della povertà. La soluzione è stabilire una comunità sana e autosufficiente. Se si salva una vita alla nascita, c’è un altro paio di spalle su cui porre il carico economico del paese, ossia un’altra persona che lavora per uscire dalla povertà».
Le preoccupazioni riguardanti i corsi di rianimazione neonatale in Ghana rispecchiano quelle del Lesotho e dell’Uganda. Il dottor David Gourley, medico di Salt Lake City e membro del comitato consultorio dei Servizi umanitari, ha riferito che «un corso semplificato per le ostetriche di campagna e le infermiere della comunità fornirà le tecniche basilari di rianimazione e l’attrezzatura necessaria per abbassare il tasso di mortalità infantile in Ghana».
Il dottor Gourley riferisce una storia raccontata da un’ostetrica appena addestrata: «Dora era intervenuta in un parto podalico. Pensava che il neonato fosse morto, perché era floscio e non respirava. Ella procedette con i primi passi della rianimazione. Le bastò semplicemente posizionare correttamente il piccolo per assicurare la pervietà delle vie aeree e aspirarlo con una siringa prima che il neonato iniziasse a respirare e il tono migliorasse. Oggi il bambino è sano e robusto».
Basandosi su stime locali, il dottor Gourley ha osservato che nei sei mesi che hanno seguito il corso tenuto in Ghana nel maggio 2006, 646 neonati sono stati rianimati con successo grazie all’apparecchiatura donata dalla Chiesa.
L’apparecchiatura e l’addestramento contribuiscono al raggiungimento della meta a lungo termine del programma di rianimazione neonatale di avere a ogni parto l’assistenza di una persona competente.
Per la sorella Whipple, madre ella stessa, l’obiettivo è più ampio: «Desidero che tutti i neonati abbiano un corpo sano per affrontare la vita. Le madri provano le stesse emozioni in tutto il mondo: sperano tutte che i figli siano sani e abbiano la possibilità di essere felici, di far parte di una famiglia».