Giustizia e amore in armonia con la mercè del ciel
Gesù Cristo soffrì, morì e risorse dalla morte per poterci innalzare a vita eterna.
Senza corde di sicurezza, imbracature o attrezzature per le arrampicate, due fratelli – che chiameremo Jimmy, di quattordici anni, e John, di diciannove – hanno tentato di scalare la parete a strapiombo di un canyon del parco statale Snow Canyon, nel sud dello Utah, dove sono nato. Quasi alla fine della faticosa scalata, hanno scoperto che una sporgenza impediva loro di percorrere i pochi metri che li separavano dalla cima. Non riuscivano a oltrepassarla, ma ora non potevano nemmeno tornare indietro. Erano in trappola. Dopo attente manovre, John ha trovato un appoggio per il piede grande abbastanza per mettere al sicuro suo fratello sulla cornice rocciosa. Non c’era modo, però, di sollevarsi a sua volta. Più si sforzava di trovare un appiglio per le mani o un appoggio per i piedi su cui fare leva, più aveva crampi ai muscoli. Ha cominciato a farsi prendere dal panico e a temere per la propria vita.
Incapace di resistere ancora per molto, John ha deciso che l’unica opzione che aveva era provare un salto verticale nella speranza di aggrapparsi alla sporgenza. Se ci fosse riuscito, data la forza che aveva nelle braccia, avrebbe potuto mettersi in salvo.
Egli stesso ha raccontato:
“Prima di saltare ho detto a Jimmy di cercare un tronco abbastanza forte da allungare verso di me, anche se sapevo che sulla roccia non c’era nulla del genere. Era solo una trovata disperata. Se non fossi riuscito a saltare, avrei almeno potuto evitare al mio fratellino di vedermi precipitare nel vuoto.
Una volta fuori dalla sua visuale, ho detto la mia ultima preghiera – volevo che la mia famiglia sapesse che l’amavo e che Jimmy riuscisse a tornare a casa da solo in sicurezza – poi ho saltato. Avevo abbastanza adrenalina in corpo da saltare riuscendo ad aggrapparmi alla sporgenza quasi fino al gomito. Quando le mani hanno toccato la superficie, però, non ho sentito altro che sabbia su una roccia liscia. Ricordo ancora la sensazione ruvida mentre me ne stavo appeso lì, con nulla a cui tenermi: niente bordi, niente creste, niente da afferrare o a cui aggrapparmi. Sentivo che le dita cominciavano a scivolare lentamente sulla superficie sabbiosa. Sapevo che la mia vita era finita.
Poi, però, all’improvviso, come un fulmine a ciel sereno, due mani sono spuntate da qualche parte sopra il ciglio del dirupo, afferrandomi i polsi con una forza e una determinazione impressionanti, data la loro misura. Il mio fedele fratellino non era andato a cercare qualche tronco inesistente. Sapendo esattamente quali erano le mie intenzioni, non si era mosso di un millimetro. Aveva semplicemente aspettato, in silenzio, quasi senza respirare, sapendo benissimo che sarei stato abbastanza incosciente da provare a saltare. Quando l’ho fatto, mi ha afferrato, mi ha tenuto e si è rifiutato di lasciarmi cadere. Quelle forti braccia fraterne mi hanno salvato la vita quel giorno, mentre io penzolavo senza speranza su quella che sarebbe stata una morte certa”.
Miei cari fratelli e sorelle, oggi è la domenica di Pasqua. Anche se dovremmo ricordare sempre (è quello che promettiamo ogni settimana nelle preghiere sacramentali), questo è comunque il giorno più sacro dell’anno per ricordare in modo speciale le mani fraterne e le braccia determinate che si sono sporte nell’abisso della morte per salvarci dalle cadute e dai fallimenti, dai dolori e dai peccati. Uso la storia raccontata dalla famiglia di John e di Jimmy come spunto per esprimere gratitudine per l’Espiazione e la Resurrezione del Signore Gesù Cristo e per mostrare riconoscenza per gli eventi del piano divino di Dio che hanno portato e dato significato “all’immenso amor che il grande Sovrano […] offre a [noi]”.
Nella nostra società sempre più secolare è tanto inusuale, quanto fuori moda, parlare di Adamo ed Eva, del Giardino di Eden o della loro “fortunata caduta” nella vita terrena. Ciononostante, la semplice verità è che non possiamo comprendere appieno l’Espiazione e la resurrezione di Gesù Cristo e non apprezzeremo a sufficienza l’obiettivo unico della Sua nascita o della Sua morte – in altre parole, non c’è modo di celebrare veramente il Natale o la Pasqua – senza comprendere che ci sono stati veramente un Adamo e una Eva che sono decaduti dall’Eden, con tutte le relative conseguenze.
Non conosco i dettagli di ciò che accadde su questo pianeta prima di allora, ma so che queste due persone furono create dalla mano divina di Dio, che vissero per un periodo da soli in un contesto paradisiaco in cui non esisteva la morte né la possibilità di creare una famiglia e che, attraverso una sequenza di scelte, essi trasgredirono a un comandamento di Dio che richiese il loro allontanamento dal giardino, ma che permise loro di avere figli prima di sperimentare la morte fisica. In aggiunta alla sofferenza e alla complessità della loro situazione, la trasgressione commessa aveva anche conseguenze spirituali, il che li allontanò dalla presenza di Dio per sempre. Poiché siamo quindi nati in uno stato decaduto e poiché anche noi avremmo trasgredito alle leggi di Dio, siamo stati condannati a ricevere le stesse punizioni subite da Adamo ed Eva.
Che brutta situazione! L’intera razza umana in caduta libera – ogni uomo, donna e bambino si avvicinano ogni giorno di più alla morte, mentre precipitano in un eterno tormento spirituale. Doveva essere questo il significato della vita? È questo il gran finale dell’esperienza umana? Siamo tutti appesi da qualche parte a un freddo canyon in un universo indifferente, ciascuno in cerca di un appiglio, ciascuno in cerca di qualcosa a cui aggrapparsi – senza null’altro che la sensazione della sabbia che ci scivola sotto le dita, nulla che possa salvarci, nulla da afferrare e, peggio ancora, nulla che afferri noi? Il nostro unico scopo nella vita è un inutile esperimento esistenziale – limitarci a saltare quanto più in alto possibile, in attesa di arrivare a settant’anni, come da copione, e poi fallire e cadere e continuare a farlo per sempre?
La risposta a queste domande è un chiaro ed eterno: “No!” Insieme ai profeti antichi e moderni, attesto che “tutte le cose sono state fatte secondo la saggezza di Colui che conosce tutte le cose”. Quindi, dal momento in cui quei genitori primordiali misero piede fuori dal Giardino di Eden, il Dio e Padre di tutti noi, prevedendo la decisione di Adamo ed Eva, inviò gli angeli del cielo a dichiarare loro – e, nel tempo, anche a noi – che tutta la sequenza di eventi è stata stabilita per la nostra felicità eterna. Faceva parte del Suo piano divino, che prevedeva un Salvatore, il Figlio di Dio in persona – un altro “Adamo”, come Lo definì l’apostolo Paolo – il Quale sarebbe venuto nel meridiano dei tempi per espiare la trasgressione del primo Adamo. Tale Espiazione avrebbe ottenuto una vittoria completa sulla morte fisica, garantendo una resurrezione incondizionata a ogni persona che è nata o nascerà in questo mondo. Grazie alla misericordia, essa avrebbe anche offerto il perdono dei peccati personali a tutti, da Adamo fino alla fine del mondo, a condizione del pentimento e dell’obbedienza ai comandamenti divini.
In veste di uno dei Suoi testimoni ordinati, questa mattina di Pasqua dichiaro che Gesù di Nazaret era il Salvatore del mondo, “l’ultimo Adamo”, l’Autore e il perfetto Esempio di fede, l’Alfa e l’Omega della vita eterna. “Poiché, come tutti muoiono in Adamo, così anche in Cristo saran tutti vivificati”, dichiarò Paolo. Il profeta patriarca Lehi disse: “Adamo cadde affinché gli uomini potessero essere […]. E il Messia verrà nella pienezza del tempo, per poter redimere i figlioli degli uomini dalla caduta”. Il più dettagliato di tutti fu Giacobbe, profeta del Libro di Mormon, il quale tenne un sermone di due giorni in cui insegnò l’Espiazione di Gesù Cristo dicendo: “La risurrezione è necessario che venga […] a causa della Caduta”.
Quindi oggi celebriamo il dono della vittoria su ogni caduta che abbiamo mai subito, su ogni dolore che abbiamo mai provato, su ogni scoraggiamento che abbiamo mai avuto, su ogni paura che abbiamo mai affrontato – per non parlare della nostra resurrezione dalla morte e del perdono dei nostri peccati. Tale vittoria è a nostra disposizione grazie agli eventi che accaddero a Gerusalemme in un fine settimana come questo di oltre due millenni fa.
Cominciando dall’angoscia spirituale del Giardino di Getsemani, passando alla Crocifissione avvenuta sul Calvario e terminando in una bella domenica mattina dentro una tomba donata, un uomo senza peccato, puro e santo, il Figlio di Dio stesso, fece ciò che nessun’altra persona deceduta ha mai fatto o potrà mai fare. Con il Suo potere, risorse dalla morte, perché il Suo corpo e il Suo spirito non si separassero mai più. Per Suo volere, Si tolse di dosso i pannilini con cui era stato avvolto, riponendo con cura il sudario che Gli era stato posto sul viso “in un luogo a parte”, dicono le Scritture.
La sequenza dell’Espiazione e della Resurrezione della prima Pasqua costituisce il momento più importante, il dono più generoso, il dolore più profondo e la manifestazione più maestosa di amore puro mai visti nella storia di questo mondo. Gesù Cristo, l’Unigenito Figlio di Dio, soffrì, morì e risorse dalla morte per poter, come un fulmine a ciel sereno, coglierci quando cadiamo, sostenerci con la Sua potenza e, tramite la nostra obbedienza ai Suoi comandamenti, elevarci verso la vita eterna.
In questa Pasqua ringrazio Lui e il Padre, il Quale ce Lo donò, per il fatto che Gesù si erge ancora vittorioso sulla morte, benché lo faccia su piedi feriti. In questa Pasqua ringrazio Lui e il Padre, il Quale ce Lo donò, per il fatto che Egli estende ancora grazia infinita, benché lo faccia con palmi trafitti e polsi feriti. In questa Pasqua ringrazio Lui e il Padre, il Quale ce Lo donò, per il fatto che possiamo cantare di fronte a un giardino macchiato di sudore, a una croce bucata dai chiodi e a una gloriosa tomba vuota:
Nel sacro nome del Signore Gesù Cristo risorto. Amen.