2010–2019
Proprio come faceva Lui
Conferenza generale di aprile 2019


11:52

Proprio come faceva Lui

Se cerchiamo di ministrare come faceva Lui, ci verranno date delle opportunità di dimenticare noi stessi e di risollevare gli altri.

Circa diciotto mesi fa, nell’autunno del 2017, mio fratello Mike, che aveva 64 anni, mi disse che gli era stato diagnosticato un cancro al pancreas. Mi disse anche di aver ricevuto una benedizione del sacerdozio dal suo insegnante familiare e di essersi incontrato con il suo vescovo. In seguito mi inviò una fotografia del Tempio di Oakland, in California, scattata dall’ospedale dove stava ricevendo le cure, e sotto scrisse: “Guarda cosa si vede dalla mia stanza in ospedale”.

Le sue osservazioni riguardo a insegnanti familiari, benedizioni del sacerdozio, vescovi e templi mi stupirono quanto la notizia del cancro. Vedete, Mike, un sacerdote nel Sacerdozio di Aaronne, non frequentava la Chiesa regolarmente da quasi cinquant’anni.

Come famiglia eravamo presi dal suo progresso spirituale quasi tanto quanto lo eravamo dal suo progresso nella lotta contro il cancro, specialmente per via delle sue frequenti domande sul Libro di Mormon, sul potere di suggellamento e sulla vita dopo la morte. Col passare dei mesi e il diffondersi del cancro, la necessità di ulteriori cure più specializzate fecero sì che alla fine Mike venisse nello Utah, all’Huntsman Cancer Institute.

Poco dopo il suo arrivo, ricevette la visita di John Holbrook, il dirigente dell’opera missionaria del rione nei cui confini si trovava la clinica dove Mike era ricoverato. John ha osservato: “Per me era ovvio che Mike fosse un figlio di Dio”. I due svilupparono ben presto un legame e un’amicizia che portarono John a essere il fratello ministrante “ufficioso” di Mike. Mio fratello fu subito invitato a ricevere la visita dei missionari, cosa che rifiutò garbatamente. Tuttavia, col consolidarsi dell’amicizia, dopo un mese John lo invitò di nuovo, dicendogli: “Penso che ti piacerebbe ascoltare il messaggio del Vangelo”. Questa volta l’invito fu accolto e portò a incontri con i missionari, oltre che con il vescovo Jon Sharp. Le loro conversazioni portarono Mike a ricevere la sua benedizione patriarcale, 57 anni dopo il suo battesimo.

A inizio dicembre dello scorso anno, dopo mesi di trattamenti, Mike decise di sospendere le cure anticancro, che stavano causando gravi effetti collaterali, e di lasciare semplicemente che la natura facesse il suo corso. Il suo dottore ci informò che gli rimanevano circa tre mesi di vita. Nel frattempo, le domande sul Vangelo continuavano, così come le visite e il sostegno dei suoi dirigenti locali del sacerdozio. Spesso, quando andavamo a trovare Mike, vedevamo una copia del Libro di Mormon aperta sul comodino e discutevamo la restaurazione del Vangelo, le chiavi del sacerdozio, le ordinanze del tempio e la natura eterna dell’uomo.

Verso metà dicembre, dopo aver ottenuto la sua benedizione patriarcale, sembrava effettivamente che Mike stesse riacquistando le forze e pareva probabile che la sua prognosi di almeno altri tre mesi di vita sarebbe stata rispettata. Facemmo persino preparativi affinché potesse unirsi a noi per Natale, Capodanno e i giorni successivi. Inaspettatamente, il 16 dicembre il vescovo Sharp mi chiamò informandomi che lui e il presidente di palo avevano intervistato Mike e lo avevano ritenuto degno di ricevere il Sacerdozio di Melchisedec; mi chiese quando sarei potuto essere presente. L’ordinazione fu fissata per quel venerdì, il 21 dicembre.

Quel giorno, appena giunti alla clinica, io e mia moglie, Carol, fummo fermati nel corridoio vicino alla sua stanza, dove fummo informati che Mike non aveva battito cardiaco. Entrammo nella stanza e vi trovammo il patriarca, il vescovo e il presidente di palo che ci stavano già aspettando. A quel punto Mike aprì gli occhi. Mi riconobbe e mi fece cenno che riusciva a sentirmi e che era pronto a ricevere il sacerdozio. Cinquant’anni dopo l’ordinazione di Mike a sacerdote nel Sacerdozio di Aaronne, ebbi il privilegio — assistito dai suoi dirigenti locali — di conferire a mio fratello il Sacerdozio di Melchisedec e di ordinarlo all’ufficio di anziano. Cinque ore dopo Mike ci lasciò e passò oltre il velo per incontrare i nostri genitori da detentore del Sacerdozio di Melchisedec.

Appena un anno fa il presidente Russell M. Nelson ha esteso a tutti noi una chiamata a prenderci cura dei nostri fratelli e delle nostre sorelle in un modo più elevato e più santo. Parlando del Salvatore, il presidente Nelson ha insegnato: “Dato che questa è la Sua Chiesa, noi, come Suoi servitori, ministreremo al singolo individuo, come faceva Lui. Ministreremo nel Suo nome, con il Suo potere e la Sua autorità e con la Sua gentilezza amorevole”.

In risposta a quell’invito fatto da un profeta di Dio, in tutto il mondo si stanno compiendo sforzi straordinari per ministrare al singolo individuo sia tramite sforzi coordinati, nei quali i membri adempiono fedelmente i propri incarichi di ministero, sia tramite quello che io definisco ministero “spontaneo”, nel quale molti dimostrano amore cristiano cogliendo opportunità inaspettate. Nella nostra famiglia abbiamo visto da vicino questo tipo di ministero.

John, amico e fratello ministrante di Mike e un ex presidente di missione, diceva spesso ai suoi missionari: “Se qualcuno si trova nella lista di quelli ‘non interessati’, non arrendetevi. Le persone cambiano”. In seguito ci ha detto: “Mike ha avuto un possente mutamento”. John è stato in primo luogo un amico, fornendo incoraggiamento e sostegno frequenti — ma il suo ministero non si è limitato a delle visite in amicizia. John sapeva che un fratello ministrante è più che un amico e che l’amicizia viene amplificata quando ministriamo.

Non è necessario essere affetti da una malattia terminale, come mio fratello, per aver bisogno del servizio reso tramite il ministero. Queste necessità si manifestano in molti modi diversi. Un genitore che è rimasto solo, una coppia meno attiva, un adolescente in difficoltà, una madre esausta, un periodo in cui la fede viene messa alla prova, difficoltà economiche, di salute o coniugali — la lista è pressoché infinita. Tuttavia, proprio come Mike, nessuno è troppo lontano e non è mai troppo tardi per la mano amorevole del Salvatore.

Nel sito della Chiesa relativo al ministero ci viene insegnato che “sebbene i motivi per cui svolgere il ministero siano numerosi, i nostri sforzi dovrebbero essere guidati dal desiderio di aiutare il prossimo a raggiungere una conversione personale più profonda e a diventare più simile al Salvatore”. L’anziano Neil L. Andersen ha spiegato questo concetto nel modo seguente:

“Una persona di buon cuore può aiutare qualcuno ad aggiustare uno pneumatico, portare un coinquilino dal dottore, pranzare con qualcuno che è triste o sorridere e salutare per illuminare una giornata.

Una persona che segue il primo comandamento, tuttavia, andrà spontaneamente oltre questi importanti atti di servizio”.

Mentre modelliamo il nostro ministero su quello di Gesù Cristo, è importante ricordare che i Suoi sforzi di amare, elevare, servire e benedire avevano uno scopo superiore rispetto al semplice soddisfare esigenze immediate. Di certo conosceva le necessità quotidiane delle persone a cui ministrava e aveva compassione delle loro sofferenze mentre guariva, nutriva, perdonava e insegnava, ma Egli voleva fare molto di più che soddisfare le necessità del momento. Voleva che le persone intorno a Lui Lo seguissero, Lo conoscessero e raggiungessero il loro potenziale divino.

Se cerchiamo di ministrare come faceva Lui, ci verranno date delle opportunità di dimenticare noi stessi e di risollevare gli altri. Queste opportunità spesso potranno essere disagevoli e mettere alla prova il nostro desiderio di diventare più simili al Maestro, il cui atto di servizio più grande di tutti, la Sua Espiazione infinita, fu tutt’altro che agevole. Nel capitolo 25 di Matteo ci vengono ricordati i sentimenti che il Signore prova nei nostri confronti quando mostriamo sensibilità, come Lui, ai problemi, alle prove e alle difficoltà che molte persone affrontano ma che spesso possono passare inosservati:

“Venite, voi, i benedetti del Padre mio; eredate il regno che v’è stato preparato sin dalla fondazione del mondo.

Perché ebbi fame, e mi deste da mangiare; ebbi sete, e mi deste da bere; fui forestiere, e m’accoglieste […].

Allora i giusti gli risponderanno: Signore, quando mai t’abbiam veduto aver fame e t’abbiam dato da mangiare? o aver sete e t’abbiam dato da bere?

Quando mai t’abbiam veduto forestiere e t’abbiamo accolto? […]

E il Re, rispondendo, dirà loro: In verità vi dico che in quanto l’avete fatto ad uno di questi miei minimi fratelli, l’avete fatto a me”.

A prescindere dal fatto che stiamo servendo in qualità di fratelli o sorelle ministranti, oppure semplicemente se veniamo a sapere che qualcuno è nel bisogno, siamo incoraggiati a cercare la guida e la direzione dello Spirito e poi ad agire. Potremmo chiederci come servire al meglio, ma il Signore lo sa e, tramite il Suo Spirito, Egli guiderà i nostri sforzi. Come Nefi, che “[era] guidato dallo Spirito, non sapendo in anticipo ciò che [avrebbe] fatto”, così anche noi saremo guidati dallo Spirito quando ci impegneremo a diventare strumenti nelle mani del Signore per benedire i Suoi figli. Nella misura in cui cercheremo la guida dello Spirito e riporremo la nostra fiducia nel Signore, verremo messi in situazioni e circostanze in cui potremo agire e benedire ossia, in altre parole, ministrare.

Potrebbero esserci altre occasioni in cui riconosciamo una necessità ma ci sentiamo inadeguati a soddisfarla, supponendo che ciò che abbiamo da offrire non sia sufficiente. Tuttavia, agire proprio come faceva Lui significa ministrare dando ciò che siamo in grado di dare e confidare nel fatto che il Signore magnificherà i nostri sforzi di benedire i nostri “compagni di viaggio nella mortalità”. Per alcuni potrebbe significare donare il proprio tempo e i propri talenti; per altri potrebbe significare offrire una parola gentile o due braccia forti. Anche se potremmo pensare che i nostri sforzi siano inadeguati, il presidente Dallin H. Oaks ha condiviso un importante principio riguardo alle “cose piccole e semplici”. Egli ha insegnato che gli atti piccoli e semplici sono potenti perché invitano “la compagnia dello Spirito Santo”, un compagno che benedice sia colui che dona sia colui che riceve.

Sapendo che da lì a poco sarebbe morto, mio fratello fece questa considerazione: “È incredibile come il cancro al pancreas possa farti concentrare sulle cose più importanti”. Grazie a uomini e a donne meravigliosi che hanno scorto una necessità, non hanno giudicato e hanno ministrato alla maniera del Salvatore, per Mike non è stato troppo tardi. Per alcuni il cambiamento giunge prima, per altri forse giunge al di là del velo. Tuttavia, dobbiamo ricordare che non è mai troppo tardi e che nessuno si è mai allontanato così tanto dal sentiero da non poter essere raggiunto dall’Espiazione infinita di Gesù Cristo, la cui durata e portata sono senza limiti.

Lo scorso ottobre, durante la Conferenza generale, l’anziano Dale G. Renlund ha insegnato: “Non importa da quanto tempo ci siamo allontanati dal sentiero […]; nel momento in cui decidiamo di cambiare, Dio ci aiuta a ritornare”. Tale decisione di cambiare, tuttavia, è spesso il risultato di un invito come: “Penso che ti piacerebbe ascoltare il messaggio del Vangelo”. Proprio come non è mai troppo tardi per il Salvatore, non è mai troppo tardi perché noi estendiamo un invito.

Questo periodo di Pasqua ci dà ancora una volta una meravigliosa opportunità di riflettere sul grande sacrificio espiatorio del nostro Salvatore Gesù Cristo e su ciò che Egli fece per ognuno di noi pagando un prezzo altissimo, un prezzo che, come disse Lui stesso, “[fece] sì che [Lui], il più grande di tutti, [tremasse] per il dolore”. “Nondimeno”, disse, “bevvi e portai a termine i miei preparativi per i figlioli degli uomini”.

Attesto che, poiché Egli ha portato a termine la Sua missione, ci sarà sempre speranza. Nel nome di Gesù Cristo. Amen.