2010–2019
Onorare il Suo nome
Conferenza generale di ottobre 2019


9:53

Onorare il Suo nome

In virtù dell’identità e dell’appartenenza che ci derivano dall’alleanza, siamo chiamati con il nome di Gesù Cristo.

Mentre aspettano con entusiasmo la nascita di un figlio, i genitori hanno la responsabilità di scegliere un nome per il futuro bambino. Quando siete nate voi, forse vi hanno dato un nome che si tramandava da generazioni. O magari il nome che vi hanno dato andava di moda nel periodo o nella zona in cui siete nate.

Il profeta Helaman e sua moglie diedero nomi carichi di significato ai loro due figli Nefi e Lehi. Helaman, in seguito, disse loro:

“Vi ho dato il nome dei nostri primi genitori […] affinché quando ricorderete il vostro nome, possiate ricordarvi di loro; e che quando vi ricorderete di loro, possiate ricordare le loro opere [che], come è stato detto, e anche scritto, […] furono [buone].

Perciò, figli miei, io vorrei che faceste ciò che è bene”.

I nomi con i quali Nefi e Lehi furono chiamati li aiutarono a ricordare le buone opere dei loro progenitori e li incoraggiarono a fare anch’essi del bene.

Sorelle, a prescindere da dove viviamo, da che lingua parliamo o dall’età che abbiamo, tutte noi condividiamo un nome speciale che ha quegli stessi propositi.

“Poiché [noi] tutti che [siamo] stati battezzati in Cristo [ci siamo] rivestiti di Cristo, […] poiché [noi] tutti [siamo] uno in Cristo Gesù”.

Come membri della Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni “dichiariamo per la prima volta la nostra volontà di prendere su di noi il nome di Cristo [con] l’ordinanza del battesimo”. Mediante quest’ordinanza promettiamo di ricordarci sempre di Lui, osservare i Suoi comandamenti e servire il prossimo. La nostra volontà di tener fede a questa alleanza si rinnova ogni domenica quando prendiamo il sacramento e gioiamo nuovamente della benedizione di poter “[camminare] in novità di vita”.

Il nome che ci è stato dato alla nascita rappresenta la nostra identità individuale e ci assicura l’appartenenza alla nostra famiglia terrena. Tuttavia, quando siamo “nati di nuovo” con il battesimo, la nostra comprensione di chi siamo si è ampliata. “A motivo dell’alleanza che avete fatto, sarete chiamati figlioli di Cristo, […]; poiché ecco, […] egli vi ha spiritualmente generati, poiché dite che il vostro cuore è cambiato, tramite la fede nel suo nome; perciò siete nati da lui”.

Pertanto, in virtù dell’identità e dell’appartenenza che ci derivano dall’alleanza, siamo chiamati con il nome di Gesù Cristo. E “non sarà dato alcun altro nome, né alcun altro modo né mezzo per cui la salvezza possa giungere ai figlioli degli uomini, se non nel nome e tramite il nome di Cristo, il Signore Onnipotente”.

Il nome di Gesù era conosciuto da molto prima della Sua nascita. Al re Beniamino un angelo profetizzò: “Ed egli sarà chiamato Gesù Cristo, il Figlio di Dio […] e sua madre sarà chiamata Maria”. Anche la Sua opera di “amore che redime” è stata fatta conoscere ai figli di Dio ogni volta che, dai tempi di Adamo ed Eva a oggi, il Vangelo è stato sulla terra, affinché “possano sapere a quale fonte possono rivolgersi per la remissione dei loro peccati”.

L’anno scorso il presidente Russell M. Nelson ha rivolto alle sorelle un appello profetico a “plasmare il futuro contribuendo a radunare la dispersa Israele”. Ci ha invitate a leggere il Libro di Mormon e a “evidenziare ogni versetto che parla [del Salvatore] o che fa riferimento a Lui”. Ci ha chiesto di avere “la volontà di parlare di Cristo, gioire in Cristo e predicare il Cristo con le [nostre] famiglie e i [nostri] amici”. Forse avete già cominciato a vedere i frutti della sua promessa che “sia voi che loro” vi sareste avvicinati al Salvatore e che avrebbero iniziato “a verificarsi dei cambiamenti, persino dei miracoli”.

La nostra promessa di ricordarci sempre del Salvatore ci dà la forza di difendere la verità e la rettitudine, sia in pubblico che in privato, dove nessuno conosce le nostre azioni eccetto Dio. Quando ci ricordiamo di Lui e del fatto che portiamo il Suo nome, non c’è posto per confronti auto-svilenti o per giudizi impietosi. Se teniamo lo sguardo rivolto al Salvatore, vediamo noi stessi per quello che siamo veramente: degli amati figli di Dio.

Ricordare, come abbiamo promesso di fare con le nostre alleanze, allevia le preoccupazioni terrene, trasforma l’insicurezza in coraggio e dà speranza nelle tribolazioni.

Quando inciampiamo e cadiamo nell’avanzare lungo il sentiero dell’alleanza, dobbiamo soltanto ricordare il Suo nome e la Sua amorevole bontà verso di noi. “Poiché egli ha ogni potere, ogni saggezza e ogni intelligenza; egli comprende ogni cosa ed è un Essere misericordioso […] per tutti coloro che si pentiranno e crederanno nel suo nome”. Certamente, nulla suona più dolce del nome di Gesù a tutti coloro che con un cuore spezzato e uno spirito contrito cercano di “fare meglio ed essere migliori”.

Il presidente Nelson ha insegnato: “Non è più il tempo di essere cristiani standosene comodi e tranquilli. La vostra religione non è semplicemente fare presenza la domenica. Significa dimostrarsi veri discepoli dalla domenica mattina al sabato sera. […] Non si può essere discepoli del Signore Gesù Cristo ‘a tempo parziale’”.

La nostra volontà di prendere su di noi il nome di Cristo è più di uno scambio formale di parole. Non è una promessa passiva o una trovata culturale. Non è un rito di passaggio o una targhetta che indossiamo. Non è una bella frase da incorniciare e mettere su una mensola o appendere a una parete. Il Suo è un nome di cui ci siamo “rivestiti”, un nome che è scritto nei nostri cuori e “[impresso] sul nostro volto”.

Il sacrificio espiatorio del Salvatore dovrebbe essere ricordato sempre, tramite i nostri pensieri, le nostre azioni e i nostri rapporti con gli altri. Cristo non solo ricorda il nostro nome, ma si ricorda sempre di noi. Il Salvatore ha dichiarato:

“Poiché, può una donna dimenticare il suo figlioletto che poppa, così da non avere compassione del figlio del suo grembo? Sì, possono dimenticare; io però non ti dimenticherò, o casato d’Israele.

Ecco, ti ho inciso sul palmo delle mie mani”.

Il presidente George Albert Smith ha insegnato: “Onorate i nomi che portate, perché un giorno avrete il privilegio e l’obbligo di riferire […] al vostro Padre nei cieli […] ciò che avete fatto di [quei nomi]”.

Come per i nomi accuratamente scelti di Nefi e di Lehi, può essere detto e scritto di noi che siamo veri discepoli del Signore Gesù Cristo? Onoriamo il nome di Gesù Cristo che abbiamo volontariamente preso su di noi? Siamo noi sia ministri che testimoni della Sua amorevole bontà e del Suo potere redentore?

Non molto tempo fa, stavo ascoltando il Libro di Mormon. Nell’ultimo capitolo di 2 Nefi, ho sentito Nefi dire qualcosa che non avevo mai letto prima in quel modo. In tutti i suoi scritti, egli insegna e rende testimonianza del “Redentore”, del “Santo d’Israele”, dell’“Agnello di Dio” e del “Messia”. Ma, al termine del suo racconto, gli ho sentito pronunciare queste parole: “Io esulto nella semplicità; esulto nella verità; esulto nel mio Gesù, poiché egli ha redento la mia anima”. Quando ho sentito queste parole, ho gioito profondamente e ho voluto riascoltarle più e più volte. Sentendole mi ci sono riconosciuta e ho reagito proprio come quando sento il mio nome.

Il Signore ha detto: “Sì, benedetto è questo popolo che è disposto a portare il mio nome; poiché saranno chiamati col mio nome; ed essi sono miei”.

Prego che, come membri della Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni, noi possiamo “[prendere su di noi] volentieri il nome di Cristo”, onorandolo con amore, devozione e buone opere. Attesto che Egli è “l’Agnello di Dio, sì, proprio il Figlio del Padre Eterno!”. Nel nome del Santo Figlio del Padre, Gesù Cristo. Amen.