Capitolo 24
La nostra ricerca della verità
L’8 marzo 1987, il Centro della BYU di Gerusalemme per gli studi sul Vicino Oriente aprì le porte a ottanta studenti. Quella mattina molto presto, tre furgoni per traslochi e due pullman giunsero al Kibbutz Ramat Rachel, la comunità alla periferia sud-est di Gerusalemme dove gli studenti universitari di stanza all’estero avevano vissuto e studiato negli ultimi sette anni. Impazienti di trasferirsi nel nuovo centro, gli studenti caricarono di buon animo tutte le loro cose e i materiali scolastici sui mezzi a disposizione. Una volta arrivati nella loro nuova casa, formarono una catena umana e cominciarono a passarsi libri, scatole e valigie su per le scale che salivano al Monte Scopus.
David Galbraith, direttore del programma di studio all’estero, sorrideva mentre li guardava. Il personale della scuola aveva lavorato instancabilmente per preparare l’edificio, anche se alcune parti erano ancora da completare. Il personale aveva installato lavatrici e asciugatrici, assegnato le stanze e procurato tutto il materiale necessario. Avevano però dimenticato di comprare asciugamani e carta igienica per il centro, ma la fornitura era in arrivo da Tel Aviv.
Due anni prima, quando il presidente della BYU Jeffrey R. Holland arrivò a Gerusalemme con un accordo non di proselitismo, aveva fatto una buona impressione. Eppure i rabbini ortodossi erano scettici sull’accordo. Continuavano a organizzare proteste presso il cantiere, fuori dall’ufficio del sindaco e davanti alla casa di David.
Nella speranza di dimostrare buona volontà, la Chiesa aveva ingaggiato una delle più grandi aziende israeliane di pubbliche relazioni, che aveva pubblicato annunci informativi sui giornali e in televisione. Diverse persone ebraiche amiche della Chiesa scrissero anche delle lettere ai politici israeliani, facendosi portavoce dell’onestà dei Santi.
Fino a qualche tempo prima, l’ispettore municipale della città aveva insistito sul fatto che nessuno avrebbe potuto occupare l’edificio prima del termine dei lavori. David e il suo staff amministrativo avevano tuttavia ricevuto il permesso di trasferirsi nella parte già completata del centro, ovvero i quattro livelli inferiori, che comprendevano gli alloggi e alcune aule. Quando l’ispettore comunale seppe che diversi dipartimenti della città avevano concesso l’autorizzazione, rimase stupito.
Una volta trasferiti gli studenti, David li riunì in una grande aula per un incontro di orientamento di tre ore dedicato alla cura e alla gestione dell’edificio. La giornata passò serenamente, senza proteste da parte di coloro che si opponevano alla costruzione del centro. Dalla scuola, gli studenti potevano godere di una vista straordinaria della Città Vecchia di Gerusalemme al tramonto. Una magnifica cornice per conoscere meglio l’antica città e le persone di fede che l’hanno abitata.
“Finalmente siamo nel nostro nuovo edificio”, scrisse David al presidente Holland quel giorno.
“Per tutti questi mesi abbiamo lavorato su un edificio di cemento e pietra”, scrisse. “Gli studenti vi infondono un soffio di vita, e quei corridoi di pietra fredda e quelle stanze senza vita vengono ora percorsi da un’aria di felicità”.
Non molto tempo dopo che Ezra Taft Benson divenne presidente della Chiesa, affidò all’anziano Russell M. Nelson un nuovo incarico. “Sarai responsabile di tutti gli affari della Chiesa in Europa e in Africa”, gli disse, “con l’incarico speciale di aprire alle nazioni dell’Europa orientale”.
L’anziano Nelson rimase sorpreso. “Sono un cardiochirurgo”, pensò. “Che cosa potrei saperne di apertura alle nazioni?”. Salvo poche eccezioni, la Chiesa non aveva mandato missionari nell’Europa centrale e orientale da quando la regione era caduta sotto l’influenza dell’Unione Sovietica dopo la Seconda guerra mondiale. “Un incarico del genere non dovrebbe essere affidato a qualcuno più qualificato in termini diplomatici?” si chiedeva. Perché non mandare un avvocato come l’anziano Dallin H. Oaks?
Tenendo per sé i suoi pensieri, l’anziano Nelson accettò l’incarico.
Poco tempo dopo, i rapporti diplomatici tra Stati Uniti e Unione Sovietica iniziarono a migliorare. Nell’ottobre 1986, Konstantin Kharchev, presidente del Consiglio per gli Affari Religiosi dell’Unione Sovietica, incontrò i rappresentanti della Chiesa a Washington. Era desideroso di far capire loro che nell’Unione Sovietica esisteva la libertà religiosa. Dopo aver saputo della riunione, l’anziano Nelson raccomandò alla Chiesa di inviare due autorità generali per incontrare Kharchev e continuare la discussione. La Prima Presidenza scelse lui e l’anziano Hans B. Ringger dei Settanta per presenziare all’incontro.
La mattina del 10 giugno 1987, l’anziano Nelson e l’anziano Ringger contattarono l’ufficio di Kharchev a Mosca. Kharchev si stava preparando a lasciare la città per altri affari e non aveva molto tempo per parlare.
“Vogliamo solo farle una domanda”, gli disse l’anziano Nelson. “Cosa dovremmo fare per far sì che la chiesa che rappresentiamo venga costituita anche in Russia?”.
Kharchev spiegò rapidamente che una chiesa poteva essere registrata in un distretto o in una città qualora lì vivessero venti membri adulti.
L’anziano Nelson chiese poi se la Chiesa potesse aprire un centro visitatori o una sala di lettura in Unione Sovietica, un luogo dove le persone potessero venire volontariamente a conoscere gli insegnamenti della Chiesa.
“No”, replicò il presidente.
“Qui abbiamo il problema dell’uovo e della gallina”, fece l’anziano Nelson. “Lei ci dice che non possiamo ricevere un riconoscimento ufficiale finché non abbiamo abbastanza membri, ma sarà difficile averli se non possiamo aprire una sala di lettura o un centro visitatori”.
“Ma questo è un vostro problema”, disse Kharchev. Diede loro il suo numero di telefono e si offrì di incontrarli di nuovo. Nel frattempo, avrebbero potuto parlare con i suoi due vice. “Buona giornata!”, disse.
I vice fornirono all’anziano Nelson e all’anziano Ringger qualche informazione in più. Spiegarono come, in Unione Sovietica, i cittadini avessero libertà di coscienza e potessero praticare apertamente la loro religione. Tuttavia, ai missionari non era permesso fare proselitismo nel Paese e il governo regolava l’importazione di letteratura religiosa. Le persone potevano tenere funzioni religiose nelle loro case, invitare altri a partecipare e condividere ciò in cui credevano con le persone che manifestavano interesse.
In città erano presenti diversi luoghi di culto e i vice organizzarono un incontro tra l’anziano Nelson e l’anziano Ringger e i dirigenti delle congregazioni russa ortodossa, avventista del settimo giorno, cristiana evangelica ed ebraica locali. Mentre si spostavano per la città, incontrando altre persone di fede, l’anziano Nelson e l’anziano Ringger rimasero sorpresi dalla diversità religiosa che poterono vedere in quel Paese ufficialmente ateo.
Però, mentre l’anziano Nelson e l’anziano Ringger riflettevano sui requisiti necessari a stabilire una chiesa in Unione Sovietica, il loro compito pareva insormontabile. Senza missionari o una sala di lettura, come avrebbero potuto raggiungere le venti persone necessarie per ottenere il riconoscimento della Chiesa?
L’ultimo giorno a Mosca, l’anziano Nelson non riusciva a dormire. Decise di alzarsi e andare nella Piazza Rossa, una grande piazza davanti Cremlino, cittadella fortificata sede del governo sovietico. La piazza era vuota e pensò alla folla di migliaia di persone che, più tardi nel corso della giornata, avrebbe visitato quel luogo. Da quando era arrivato in città, era stato toccato dalle persone che aveva visto vivere lì la loro vita quotidiana. Voleva tendere la mano con amore e condividere il vangelo restaurato di Gesù Cristo con ognuna di queste.
Le domande “Chi sono io?” e “Perché sono qui?”, continuavano a scorrere nella sua mente. Sapeva di essere un chirurgo, un americano, un marito, un padre e un nonno. Ma era venuto a Mosca come apostolo del Signore. Anche se il suo incarico poteva sembrare impegnativo e complesso, soprattutto ora che sapeva quanto sarebbe stato difficile stabilire la Chiesa nell’Unione Sovietica, aveva dalla sua la speranza.
“Gli apostoli conoscono il loro mandato”, pensò. Il Salvatore li aveva incaricati di andare nel mondo e di insegnare a ogni stirpe, nazione, lingua e popolo. Il messaggio del Vangelo era diretto a tutti i figli di Dio.
Nel suo resoconto del viaggio, l’anziano Nelson espresse la sua fede nel potere del Signore di aprire le porte a luoghi come l’Europa centrale e orientale. “Insieme possiamo iniziare, anche a piccoli passi, a fare la volontà del nostro Padre Celeste, che ama tutti i Suoi figli”, scrisse. “Il destino e la salvezza delle anime di tre quarti di un miliardo di persone dipendono dalle nostre azioni”.
Il 6 agosto 1987, l’apostolo Dallin H. Oaks era pensieroso mentre si trovava sul podio davanti al folto pubblico della Brigham Young University. Erano passati due anni dagli attentati a Salt Lake City che avevano ucciso due Santi degli Ultimi Giorni. In quel periodo, il commerciante di documenti rari Mark Hofmann era stato processato e condannato per gli omicidi. Le indagini rivelarono inoltre che Hofmann aveva falsificato molti dei documenti che aveva venduto e offerto alla Chiesa, tra cui alcuni concepiti per minare la fede nella sua sacra storia.
Negli stessi due anni, gli accademici della BYU avevano fatto molto per consolidare la fede. BYU Studies e il Centro di Studi Religiosi dell’università avevano pubblicato nuovi importanti libri e articoli su Joseph Smith e le sue traduzioni. La Foundation for Ancient Research and Mormon Studies aveva anche iniziato a pubblicare le opere raccolte di Hugh Nibley, che aveva scritto più studi di chiunque altro a sostegno del Libro di Mormon e di Perla di Gran Prezzo. La BYU aveva inoltre stretto un accodo con una casa editrice internazionale di spicco per pubblicare la Encyclopedia of Mormonism, contenente articoli sulla storia, sulla dottrina e sulle pratiche della Chiesa.
Eppure erano molti i santi che faticavano a dare un senso agli inganni di Mark Hofmann, spingendo la BYU a organizzare una conferenza accademica sulla storia della Chiesa e sul caso Hofmann. Quel giorno, l’anziano Oaks era venuto alla conferenza per parlare del ruolo della Chiesa negli eventi che accompagnarono la tragedia.
Come sapevano i presenti, Hofmann stava scontando una condanna a vita in prigione. A gennaio aveva confessato di aver fabbricato tre bombe, una delle quali lo aveva accidentalmente ferito. La storia che raccontò agli investigatori fu complessa e tragica. Sebbene fosse un membro della Chiesa da tutta la vita, aveva perso la fede in Dio da giovane. Con il passare del tempo, era divenuto un abile falsario e aveva usato la sua conoscenza della storia della Chiesa per fabbricare documenti. Il suo scopo nel creare questi falsi, ammise in seguito, non era solo quello di guadagnare denaro, ma anche di mettere in imbarazzo e screditare la Chiesa. Nel tentativo premeditato di nascondere il suo inganno, aveva ucciso due persone.
Quando aprì il suo discorso, l’anziano Oaks fece notare come gli omicidi avessero ricevuto una notevole attenzione da parte dei media. Alcuni commentatori avevano criticato il presidente Gordon B. Hinckley e altri dirigenti della Chiesa per aver acquistato documenti falsi da Mark Hofmann, commentando sul fatto che dirigenti veramente ispirati non sarebbero stati ingannati da simili contraffazioni. Altre persone avevano accusato i dirigenti di essere reticenti sulle questioni storiche, anche se la Chiesa aveva pubblicato i documenti più significativi di Hofmann e aveva permesso agli accademici di studiarli.
L’anziano Oaks fece notare come molte persone, tra cui studiosi ed esperti di falsificazione riconosciuti a livello nazionale, avessero accettato i documenti come autentici. Descrisse anche l’atteggiamento di fiducia che era prevalso tra i dirigenti della Chiesa.
“Per svolgere i loro ministeri personali, i dirigenti della Chiesa non possono essere sospettosi e trattare con sospetto le centinaia di persone che incontrano ogni anno”, disse. “È meglio che un dirigente della Chiesa resti talvolta deluso piuttosto che avere un atteggiamento costantemente sospettoso”. Il non riuscire a individuare pochi truffatori, era il prezzo da pagare per consolare e confortare meglio chi aveva cuore onesto.
Anche prima dell’organizzazione della Chiesa, il Signore aveva avvertito Joseph Smith dicendogli: “Non puoi sempre distinguere i malvagi dai giusti”. Uomini come Mark Hofmann hanno dimostrato che Dio non sempre protegge i membri e i dirigenti della Chiesa dalle persone disoneste.
Al termine del suo discorso, l’anziano Oaks espresse la speranza che tutti potessero imparare dalla terribile esperienza. “Quando si tratta di ingenuità di fronte alla malizia”, ammise, “siamo un po’ di tutti coinvolti”.
“Dovremmo tutti perseguire la nostra ricerca della verità con gli strumenti di una ricerca onesta e obiettiva e di una fede religiosa sincera e rispettosa”, concluse. “Dobbiamo essere tutti più cauti”.
Il 30 aprile 1988 Isaac “Ike” Ferguson scese da un aereo e percepì subito il gran caldo che c’era a N’Djamena, in Ciad. Si rese immediatamente conto che ora si trovava molto lontano dal fresco clima primaverile della sua casa di Bountiful, nello Utah. Tutto attorno a lui c’erano persone con tuniche e copricapo bianchi. All’orizzonte, c’era solo la sabbia del deserto.
Su richiesta della Prima Presidenza, Ike era arrivato fino ai confini dei deserti del Nord Africa per controllare l’andamento dei progetti umanitari della Chiesa. Per generazioni, la Chiesa aveva usato le sue offerte di digiuno principalmente per aiutare i santi in difficoltà. Agli inizi degli anni ’80, però, una carestia aveva devastato l’Etiopia, un paese dove la Chiesa non era presente ufficialmente. Le immagini di bambini affamati e dei campi profughi sovraffollati avevano toccato i cuori delle persone di tutto il mondo, Santi inclusi. Il 27 gennaio 1985, la Chiesa decise di indire un digiuno umanitario speciale negli Stati Uniti e in Canada attraverso il quale vennero raccolti 6 milioni di dollari in offerte di digiuno per portare aiuti in Africa.
Qualche mese dopo, l’anziano M. Russell Ballard, uno dei presidenti del Primo Quorum dei Settanta, si recò in Etiopia per cercare organizzazioni umanitarie che potessero aiutare la Chiesa nelle sue opere di bene. Ike, che aveva un dottorato ed esperienza professionale nel campo della salute pubblica, venne assunto per gestire le donazioni umanitarie da un ufficio nello Utah. Il suo primo giorno di lavoro ricevette un computer, un telefono e l’autorizzazione a distribuire milioni di dollari di aiuti per l’Etiopia, raccolti in occasione del digiuno.
Basandosi sul lavoro dell’anziano Ballard, Ike aveva contattato altre organizzazioni umanitarie internazionali per ricevere consigli su come impiegare al meglio le donazioni. Concesse poi importanti donazioni a organizzazioni di soccorso attive in Etiopia e nei paesi limitrofi, che si trovavano ad affrontare problemi simili. Dieci mesi dopo il digiuno iniziale, la Chiesa aveva indetto un secondo digiuno contro la fame.
I contributi dei Santi in Etiopia si rivelarono così utili che i Servizi di assistenza della Chiesa iniziarono a collaborare con le agenzie di soccorso in altre parti del mondo. Poco tempo dopo, Ike contribuì a organizzare un evento dedicato alla salute nei Caraibi, ad inviare attrezzature mediche per assistere i bambini affetti da paralisi cerebrale in Ungheria e a consegnare vaccini in Bolivia.
Dopo essere arrivato a N’Djamena, Ike dedicò diversi giorni a visitare dei siti umanitari in Ciad e in Niger. Si recò nella Valle di Majia, dove la Chiesa aveva donato centinaia di migliaia di dollari a supporto di un progetto di riforestazione. Dal finestrino dell’aereo riuscì a vedere file di alberi resistenti alla siccità che formavano un “recinto vivente” tra i rigogliosi terreni agricoli della valle e il deserto che stava avanzando. Una volta atterrato, i rappresentanti di uno dei partner umanitari della Chiesa lo accompagnarono in auto, attraversando le aree riforestate.
Ike scoprì così che gli alberi impedivano ai venti di erodere il suolo e fornivano foraggi per pecore, capre e bovini. Erano inoltre fonte di combustibile per le persone che vivevano nei dintorni. Dall’inizio del progetto, gli agricoltori della zona riuscirono ad aumentare la loro produzione agricola del 30%, preservando molte vite dalle devastazioni del deserto.
Alcuni giorni dopo, Ike si spostò in Ghana, dove la Chiesa ora aveva una missione e decine di rami. Lì aveva organizzato un incontro con Africare, un’organizzazione partner, per parlare di una fattoria assistenziale della Chiesa di sedici ettari ad Abomosu, una città a circa centotrenta chilometri a nord-ovest di Accra.
La fattoria era stata fondata nel 1985, dopo che una grave siccità aveva esaurito le provviste di cibo in tutto il paese. Così come le fattorie del programma di benessere della Chiesa negli Stati Uniti, forniva cibo alle persone bisognose e al contempo tempo promuoveva l’indipendenza e l’autosufficienza. I santi locali gestivano la fattoria con l’aiuto della Missione di Accra, in Ghana. All’inizio, chi lavorava lì era un semplice volontario, ma ora la fattoria era in grado di impiegare lavoratori retribuiti, la maggior parte dei quali erano membri della Chiesa.
Dopo tre stagioni dedicate alla coltivazione, la fattoria aveva avuto un discreto successo nella produzione di mais, manioca, platani e altre colture per le persone bisognose. Ma tutto il bene che stava facendo non riusciva a ripagare gli elevati costi di gestione.
I consulenti di Africare dissero a Ike che ritenevano che la fattoria sarebbe stata più utile alla comunità locale se la Chiesa avesse permesso agli abitanti di Abomosu di trasformare la fattoria in un’impresa cooperativa. Gli agricoltori locali, utilizzando le tecniche di coltivazione tradizionali, avrebbero potuto lavorare insieme per garantire maggiori scorte alimentari alla comunità. La Chiesa avrebbe continuato a fornire un certo livello di supporto finanziario alla fattoria senza però prendersi la piena responsabilità del suo successo.
Prima di lasciare il Ghana, Ike e i consulenti presentarono l’idea a circa 150 membri della comunità Abomosu, tra cui il capo locale della tribù. La proposta fu accolta positivamente e molti contadini si mostrarono entusiasti di prendere parte alla cooperativa.
Quello stesso aprile, Manuel Navarro si presentò dal padre con alcune notizie deludenti. Negli ultimi mesi era stato a Lima, in Perù, dove aveva studiato e lavorato sodo per entrare in una prestigiosa università cittadina. Eppure, nonostante tutti i suoi sforzi, non era riuscito nel suo intento. Se avesse voluto ritentare l’ammissione, avrebbe dovuto studiare per altri sei mesi.
“Manuel”, disse suo padre, “vuoi continuare a prepararti per l’università o per la missione”?
Manuel sapeva che il profeta aveva chiesto a ogni giovane uomo della Chiesa che fosse degno e capace di svolgere una missione. E la sua benedizione patriarcale parlava del servizio missionario. Eppure i suoi programmi prevedevano di andare in missione dopo l’iscrizione all’università. Credeva che sarebbe stato più facile per lui tornare agli studi dopo la missione se avesse potuto assicurarsi il suo posto all’università prima di partire. Adesso non sapeva cosa fare. Suo padre gli disse di prendersi un po’ di tempo per decidere.
Manuel si mise subito a leggere il Libro di Mormon e a pregare. Nel farlo, sentì lo Spirito che guidava la sua decisione. Il giorno dopo fu pronto con la risposta. Sapeva che per lui era necessario svolgere una missione.
“Va bene”, disse suo padre. “Ti aiuterò io”.
Una delle prime cose che Manuel fece fu trovare un lavoro. Pensava che sarebbe andato a lavorare in una delle banche della zona, dato che il padre conosceva alcuni degli impiegati. Invece il padre lo accompagnò in centro, al cantiere della prima cappella del ramo. Chiese al supervisore se ci fosse un posto per Manuel nella squadra dei muratori. “Nessun problema” disse il supervisore. “Gli troveremo qualcosa da fare”.
Manuel entrò in squadra a giugno e ogni volta che veniva pagato, chi gli consegnava l’assegno gli ricordava di utilizzarlo per la missione. Anche sua madre lo aiutava mettere da parte la maggior parte dei suoi guadagni per il fondo missione e la decima.
Le missioni erano costose e l’economia in difficoltà del Perù rendeva difficile per molti santi locali finanziare in toto le loro missioni. Per anni, per finanziare le loro missioni, i missionari a tempo pieno poterono contare unicamente su loro stessi, sulle loro famiglie, sulle loro congregazioni e persino sulla gentilezza degli estranei. Dopo l’esortazione del presidente Kimball, che chiedeva a tutti i giovani uomini idonei di servire, la Chiesa invitò i suoi membri a contribuire a un fondo missionario generale per coloro che necessitavano di un aiuto finanziario.
Da allora i fondi locali avrebbero dovuto coprire almeno un terzo dei costi della missione. Se i missionari non potevano pagare l’importo rimanente, avrebbero potuto attingere al fondo generale. In Perù e in altri paesi del Sud America, i dirigenti della Chiesa istituirono anche un sistema attraverso il quale i membri locali offrivano ai missionari un pasto al giorno, aiutandoli così a risparmiare denaro. Manuel fece in modo di pagare metà della sua missione mentre i suoi genitori avrebbero coperto il resto.
Dopo aver lavorato per circa sei mesi, Manuel ricevette la chiamata in missione. Suo padre disse che avrebbe potuto aprirla subito oppure attendere la domenica e leggerla alla riunione sacramentale. Manuel non poteva aspettare così a lungo, ma avrebbe comunque atteso il ritorno della mamma dal lavoro quella sera.
Quando finalmente lei tornò a casa, Manuel aprì la busta e il suo sguardo cadde subito sulla firma del presidente Ezra Taft Benson. Poi iniziò a leggere il resto della chiamata, con il cuore che, parola dopo parola, prese a battere all’impazzata. Quando vide che avrebbe servito nella Missione di Lima Nord, in Perù, fu molto felice.
Aveva sempre desiderato svolgere una missione nel suo paese d’origine.
Durante l’ultima sessione della conferenza generale di aprile 1989, il presidente Ezra Taft Benson sedette vicino al pulpito del Tabernacolo di Salt Lake, godendo appieno dei messaggi ispirati degli oratori. Ma quando arrivò il momento di tenere il suo discorso, non si sentì di avere le forze per condividerlo. Chiese quindi al suo secondo consigliere, Thomas S. Monson, di leggere ciò che aveva preparato per l’occasione.
Negli ultimi due anni, il profeta aveva parlato direttamente ai diversi gruppi della Chiesa: giovani donne e giovani uomini, madri e padri, donne adulte non sposate e uomini adulti non sposati. Ora voleva parlare ai bambini.
“Quanto vi voglio bene!”. Così iniziava il suo discorso. “Quanto bene vi vuole il nostro Padre Celeste!”.
A quel tempo, erano oltre 1,2 milioni i bambini appartenenti all’organizzazione della Primaria della Chiesa. Nel 1988, la presidentessa generale della Primaria Dwan J. Young e il suo consiglio avevano scelto una frase del Libro di Mormon, “Venite a Cristo” come tema per l’anno. La presidentessa Young e il suo consiglio avevano anche invitato i bambini a conoscere il Libro di Mormon.
Il presidente Benson era entusiasta del fatto che i bambini di tutto il mondo avessero accettato l’invito. Alle serate familiari e alla Primaria cantavano del Libro di Mormon, recitavano le sue storie e organizzavano giochi che veicolavano i suoi messaggi. Alcuni bambini si ingegnavano persino per guadagnare il denaro necessario ad acquistare copie del Libro di Mormon che sarebbero poi state distribuite in tutto il mondo.
Nel suo messaggio, il presidente Benson esortò i bambini a pregare il Padre Celeste ogni giorno. “RingraziateLo per aver mandato nel mondo il nostro Fratello maggiore, Gesù Cristo. Egli ci ha reso possibile ritornare alla nostra dimora celeste”.
Durante il suo ministero, il presidente Benson aveva parlato molte volte dell’Espiazione di Gesù Cristo. Negli ultimi anni, aveva anche fatto ricorso al Libro di Mormon per sottolineare aspetti della missione di Cristo che erano familiari ad altri cristiani. Messaggi poi rafforzati da un nuovo innario della Primaria, che presto sarebbe stato messo a disposizione dei santi. L’Innario dei bambini aveva una nuova sezione intitolata “Il Salvatore” e includeva ancora più inni dedicati a Gesù rispetto al suo predecessore, Canta con me.
Più e più volte, il presidente Benson aveva invitato i santi a convertirsi a Cristo e ad attingere alla Sua grazia salvifica. “Per la Sua grazia”, insegnò il profeta, “noi otteniamo la forza di compiere le opere necessarie, cosa che altrimenti non potremmo fare con le nostre sole forze”.
Allo stesso tempo, incoraggiò i Santi a vivere con rettitudine. Nel suo discorso ai bambini, li esortò ad avere il coraggio di difendere ciò in cui credevano. Li avvertì anche che Satana avrebbe cercato di tentarli.
“Egli si è impossessato del cuore di uomini e donne malvagi”, disse, “che vorrebbero farvi partecipare a cose cattive, come la pornografia, la droga, [il linguaggio osceno] e l’immoralità”. Esortò i bambini a evitare video, film e televisione che non mostrassero contenuti positivi.
Verso la fine del suo discorso, il presidente Benson cercò di confortare i bambini che vivevano nella paura. Negli ultimi anni, i dirigenti della Chiesa si erano espressi in maniera ancor più netta contro gli abusi infantili e l’incuria verso i bambini, mentre la Chiesa aveva pubblicato delle linee guida per aiutare i dirigenti locali a dare supporto alle vittime.
“Anche quando sembra che nessun altro si curi di voi, il vostro Padre Celeste vi ama”, disse il profeta. “Egli vuole che siate protetti e al sicuro. Se non lo siete, per favore parlatene con qualcuno che può aiutarvi: un genitore, un insegnante, il vostro vescovo o un amico”.
Dopo che il presidente Monson si sedette, fu proiettato al pubblico un video del presidente Benson che cantava a un gruppo di bambini inginocchiati attorno a lui. Poi il Coro del Tabernacolo intonò “Sono un figlio di Dio” e una preghiera di chiusura concluse la conferenza.