Storia della Chiesa
Capitolo 10: Il momento è cruciale


Capitolo 10

Il momento è cruciale

Antico papiro egizio con scritte e disegni

Nella primavera del 1966, il dottor Aziz Atiya seguì un assistente in un archivio di documenti del Metropolitan Museum of Art di New York City. Dando un’occhiata in giro, trovò una cartella e la aprì. Ciò che vide lo fece meravigliare.

Dentro c’erano dei frammenti di un antico papiro egizio. Il papiro era gravemente danneggiato, ma Aziz riuscì facilmente a distinguere la figura di due uomini, uno dei quali giaceva su un lettino a forma di leone e l’altro era in piedi accanto a lui. Mancava la parte del papiro che raffigurava le braccia e il busto dell’uomo sul lettino, insieme alla testa della figura in piedi. In un rozzo tentativo di preservare il documento, qualcuno aveva incollato il papiro su un foglio di carta e aveva disegnato approssimativamente le parti perdute.

Aziz non era membro de La Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni, ma come professore di storia e lingue presso la University of Utah aveva vissuto tra i Santi abbastanza a lungo da riconoscere che stava osservando un’immagine del Libro di Abrahamo in Perla di Gran Prezzo.

Insieme a questa immagine erano conservati altri nove frammenti di papiro. Studiandoli, Aziz trovò un certificato che attestava che una volta erano stati di proprietà del profeta Joseph Smith. Il certificato era datato 1856 e firmato da Joseph Smith III, da Emma Smith e dal secondo marito di Emma, Lewis Bidamon.

I frammenti provenivano da una serie di rotoli di papiro che il profeta Joseph e altri santi avevano ottenuto quando acquistarono quattro mummie da un espositore di antiquariato nel 1835. Sette anni dopo, Joseph aveva pubblicato delle immagini tratte dal papiro insieme a una traduzione chiamata il Libro di Abrahamo. Anni dopo la morte di Joseph, Emma vendette le mummie e i papiri, e il nuovo proprietario li vendette separatamente, alcuni dei quali a un museo vicino. Per decenni, i rotoli erano stati ritenuti perduti in un incendio, ma in qualche modo una raccolta di frammenti era arrivata sulla costa orientale fino al Metropolitan Museum.

“Questi documenti non devono stare qui”, disse Aziz. Sapeva quanto i frammenti fossero importanti per la Chiesa e decise di contribuire a farli arrivare ai Santi.


Quello stesso anno, la quattordicenne Isabel Santana si sentiva sopraffatta dal nuovo ambiente in cui si trovava. Aveva da poco lasciato la sua casa a Ciudad Obregón, una città del Messico settentrionale, per frequentare il Centro Escolar Benemérito de las Américas, una scuola di proprietà della Chiesa a Città del Messico. La capitale era una vasta metropoli di sette milioni di persone e tutte sembravano vestirsi e parlare in modo diverso rispetto a quelle che conosceva a casa.

Il loro modo di dire “per favore”, “grazie” e “scusa” era molto formale. Non era così che le persone parlavano al nord.

Il vangelo restaurato aveva messo radici in Messico nel 1800 e il paese ora aveva due pali solidi. Negli ultimi due decenni, il numero di Santi degli Ultimi Giorni in Messico era cresciuto da circa cinquemila a più di trentaseimila membri.

Con l’aumentare dei membri, i dirigenti della Chiesa volevano assicurarsi che la generazione emergente di santi messicani ricevesse ogni opportunità di istruzione e di formazione professionale. Nel 1957 la Prima Presidenza aveva nominato un comitato che esaminasse l’istruzione disponibile in Messico e fornisse raccomandazioni per istituire delle scuole della Chiesa in tutto il paese. Quando scoprì che le aree urbane non avevano abbastanza scuole per accogliere la popolazione messicana in piena espansione, il comitato propose di aprire almeno una dozzina di scuole primarie in tutto il paese, oltre a una scuola secondaria, un’università e una scuola per la formazione degli insegnanti a Città del Messico.

A quel tempo, la Chiesa gestiva delle scuole in Nuova Zelanda, nelle Samoa Occidentali, nelle Samoa Americane, nelle Tonga, a Tahiti e nelle Figi. Quando, alcuni anni dopo, vennero aperte due scuole primarie in Cile, la Chiesa aveva avviato anche delle iniziative educative in Messico. Quando Isabel arrivò alla Benemérito, alle venticinque scuole primarie e alle due scuole secondarie della Chiesa in Messico erano iscritti circa tremilaottocento studenti.

La Benemérito era una scuola secondaria in funzione da tre anni. Era stata aperta nel 1964 in una fattoria di 115 ettari a nord di Città del Messico. Isabel aveva sentito parlare della scuola per la prima volta mentre frequentava una scuola primaria gestita dalla Chiesa a Obregón. Anche se non le piaceva vivere a più di milleseicento chilometri da casa e dalla famiglia, era ansiosa di frequentare le lezioni e di imparare cose nuove.

Il personale della scuola era composto interamente da insegnanti santi degli ultimi giorni messicani. Gli studenti seguivano corsi obbligatori di spagnolo, inglese, matematica, geografia, storia del mondo, storia messicana, biologia, chimica e fisica. Potevano anche iscriversi a corsi di educazione artistica, educazione fisica e tecnologia. Il programma del Seminario, che operava in maniera separata dalla scuola, forniva agli studenti un’istruzione religiosa.

Il padre di Isabel, che non era membro della Chiesa, sostenne il suo desiderio di frequentare la Benemérito e accettò di permettere a lei e a sua sorella Hilda di iscriversi insieme. Hilda era un anno più giovane, ma lei e Isabel avevano frequentato la stessa classe sin dalla scuola primaria perché Isabel non voleva andare a scuola da sola.

Isabel e Hilda avevano viaggiato fino alla Benemérito con la madre. Al loro arrivo la scuola era ancora in parte in costruzione, con terreni spogli, pochi edifici scolastici e quindici casette in cui gli studenti potevano vivere. Ciononostante, Isabel rimase colpita dalle dimensioni del campus.

Lei e il suo gruppo furono assegnati alla casetta numero due. Lì furono accolti calorosamente da un supervisore della casetta che mostrò loro le lavatrici, gli armadi dove depositare i loro beni, e le camere da letto, ognuna con due letti a castello. La casetta, che disponeva di quattro camere da letto, aveva anche una sala da pranzo, una cucina e un soggiorno.

Isabel trascorreva gran parte del suo tempo a osservare gli altri studenti e a cercare di adattarsi a una cultura sconosciuta. La Benemérito aveva circa cinquecento studenti, la maggior parte dei quali provenienti dal Messico meridionale. Le loro esperienze di vita erano diverse da quelle di Isabel, la quale scoprì che anche il loro cibo era più vario. Rimase sorpresa dai gusti più piccanti e dalla scelta degli ingredienti.

A prescindere dalle differenze culturali, ogni studente della Benemérito doveva attenersi alle stesse regole. Seguivano una rigida routine che consisteva nello svegliarsi presto, svolgere faccende domestiche e frequentare le lezioni. Venivano inoltre incoraggiati a sviluppare delle forti abitudini spirituali, come andare in chiesa e pregare. Essendo cresciute in una famiglia appartenente a fedi diverse, Isabel e sua sorella non avevano mai fatto queste cose regolarmente prima di arrivare alla Benemérito.

Pochi giorni dopo il suo arrivo, Isabel notò che alcuni studenti avevano nostalgia di casa e se ne andavano. Tuttavia, nonostante la novità rappresentata dalle persone, dal cibo e dalle usanze, era determinata a rimanere e ad avere successo.


“Non mi sembra vero che stia per cominciare il mio novantaquattresimo anno di vita” scrisse il presidente David O. McKay nel suo diario l’1 gennaio 1967. Aveva passato la giornata a casa in silenzio, riflettendo sulle sue numerose esperienze. “È stata una vita felice e interessante!”, pensò. “Quanto tempo, e tuttavia, quanto è passato velocemente”.

Anche se attendeva con ansia il nuovo anno, però, il profeta era preoccupato. “Il vecchio mondo è pieno di problemi”, scrisse. Ogni giorno nei giornali e alla televisione venivano date notizie di guerre, disordini razziali e politici e disastri naturali. Le tensioni tra gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica restavano alte. Inoltre, molte persone in Asia, Africa, e Centro e Sud America erano intrappolate in feroci conflitti regionali che minacciavano di rovesciare i governi e di dividere le comunità.

Il presidente McKay era particolarmente preoccupato per una guerra civile, che durava ormai da un decennio, nella nazione asiatica sud-orientale del Vietnam. Nel tentativo di evitare che il comunismo mettesse radici nel paese, gli Stati Uniti avevano recentemente inviato 450.000 truppe nel Vietnam del Sud. Ora il conflitto, perpetrato con tattiche di guerriglia, si stava intensificando rapidamente e innumerevoli soldati e civili appartenenti a entrambe le parti erano stati uccisi.

A Saigon, la capitale del Vietnam del Sud, la Chiesa aveva diversi rami in cui si riunivano circa trecento santi locali insieme ad alcuni dei quattromila membri della Chiesa che servivano nell’esercito americano. L’anziano Gordon B. Hinckley del Quorum dei Dodici Apostoli e l’anziano Marion D. Hanks del Primo Consiglio dei Settanta avevano da poco visitato il paese dilaniato dalla guerra. Durante una conferenza di distretto con i santi, l’anziano Hinckley aveva dedicato la terra alla predicazione del Vangelo e aveva pregato per far sì che la pace tornasse nel paese. “Fa’ che giunga presto il giorno”, supplicò, “in cui il fragore della battaglia possa cessare”. Più tardi, nel corso della serata, i dirigenti della Chiesa resero la loro testimonianza mentre in lontananza si udivano colpi d’artiglieria.

Il presidente McKay sperava di vedere meno disordini e conflitti nel 1967, ma non sarebbe stato così. A giugno scoppiò una guerra tra Israele e i paesi vicini, sconvolgendo la regione. Il mese successivo, la continua instabilità politica in Nigeria sfociò in una guerra civile. Nel frattempo, le crescenti vittime e l’impopolarità della guerra in Vietnam contribuirono a scatenare negli Stati Uniti frequenti e talvolta violente proteste contro la guerra. Inoltre, le tensioni razziali raggiunsero un punto di rottura in tutto il paese e un’ondata di violenza scosse molte delle principali città.

Il profeta era preoccupato per l’effetto di questa instabilità sui giovani. Alcuni giovani, scoraggiati dagli eventi globali, mettevano in dubbio i valori e la cultura dei loro genitori e dei loro nonni. Molti sperimentavano droghe dannose, praticavano la promiscuità sessuale e usavano un linguaggio volgare.

Il presidente McKay amava i giovani della Chiesa e non voleva che cadessero preda di queste tendenze. Incoraggiò i giovani Santi degli Ultimi Giorni a frequentare qualche tipo di istruzione religiosa infrasettimanale — Seminario o Istituto — in cui potevano sviluppare un carattere cristiano circondati da altre persone che condividevano i loro valori e le loro norme. Di recente, la Chiesa aveva anche prodotto un opuscolo intitolato Per la forza della gioventù per aiutare i giovani uomini e le giovani donne a conoscere, comprendere e vivere le norme della Chiesa sul condurre una vita pura, sul corteggiamento, sul ballo, sull’abbigliamento e sulle buone maniere. Credeva, però, che anche i genitori e i dirigenti della Chiesa avessero il dovere di insegnare e dimostrare ai giovani che una vita moralmente retta poteva portare la felicità.

Alla conferenza generale di ottobre 1967, le cattive condizioni di salute del presidente McKay gli impedirono di tenere personalmente i suoi discorsi, così chiese a suo figlio Robert di leggerli ai Santi al suo posto.

“Quando penso al futuro di questa Chiesa”, dichiarò il profeta all’inizio della conferenza, “sento che non c’è messaggio più importante da dare che ‘essere uniti’ ed evitare ciò che potrebbe portare a una spaccatura tra i membri”.

Negli ultimi anni, le iniziative di correlazione della Chiesa avevano cercato di unire i Santi coordinando i programmi e sottolineando il ruolo del sacerdozio, della casa e della famiglia. Fino a quell’anno la correlazione della Chiesa aveva standardizzato il contenuto delle sue riviste internazionali e aveva introdotto un corso di studio uniforme. Per far fronte alla crescita a livello globale, il presidente McKay aveva anche chiamato sessantanove “rappresentanti regionali dei Dodici” che aiutassero ad addestrare le presidenze di palo, aiutando così la Chiesa a operare in modo efficiente e coerente in tutto il mondo.

Mentre i Santi affrontavano lo scoppio di disordini sociali e l’alterazione dei valori nella società, il presidente McKay e altri dirigenti generali della Chiesa speravano che i programmi correlati fornissero un messaggio unificato e un fondamento stabile per le persone di tutto il mondo.

“La sfida è davanti a noi”, disse il presidente McKay ai Santi. “L’unità d’intento, con cui tutti lavorano in armonia all’interno della struttura dell’organizzazione della Chiesa come rivelata dal Signore, dev’essere il nostro obiettivo”.


Quello stesso anno, Hwang Keun Ok si prendeva cura di circa ottanta bambine nell’orfanotrofio Songjuk a Seoul, in Corea del Sud. Quando nel 1964 l’orfanotrofio femminile la assunse come sovrintendente, lei non disse ai finanziatori dell’istituto, che erano protestanti, di essere una santa degli ultimi giorni. In Corea del Sud la Chiesa non era compresa bene. Infatti, quando Keun Ok fu battezzata nel 1962, la scuola cristiana in cui insegnava la licenziò.

A quel tempo c’erano circa tremilatrecento santi della Corea del Sud. Kim Ho Jik, il primo santo degli ultimi giorni coreano, si era unito alla Chiesa nel 1951 mentre studiava negli Stati Uniti. Prima della sua morte, avvenuta nel 1959, Ho Jik era tornato in Corea del Sud, era diventato professore e amministratore universitario e aveva presentato il vangelo restaurato ad alcuni dei suoi studenti. Questi studenti, insieme ai militari americani, aiutarono la Chiesa a crescere nel paese. Una traduzione coreana del Libro di Mormon fu pubblicata nel 1967.

Nonostante non avesse parlato ai suoi finanziatori della sua appartenenza alla Chiesa, Keun Ok non si vergognava di essere un santo degli ultimi giorni. Serviva come presidentessa della Società di Soccorso del suo ramo e insegnava a una classe della Scuola Domenicale dei giovani. Inoltre, accoglieva di buon grado le visite dei membri della Chiesa che volevano aiutare nell’orfanotrofio. Un giorno, un militare americano di nome Stanley Bronson chiamò Keun Ok al telefono. Era un santo degli ultimi giorni in servizio a Seoul e voleva visitare l’orfanotrofio e cantare alcune canzoni per rallegrare le bambine.

Stan arrivò alcuni giorni dopo. Era alto quasi due metri e sovrastava tutti. Le bambine erano emozionate di sentirlo cantare. Aveva inciso un album di canzoni folk prima di essere arruolato nell’esercito e sperava di inciderne un altro mentre era in Corea del Sud.

“Prima che inizi a suonare la chitarra”, disse Keun Ok a Stan dopo che tutti presero posto “le bambine hanno preparato qualcosa per te”.

Spesso faceva cantare le bambine per gli ospiti, ed erano ben preparate. Mentre cantavano alcune canzoni per lui, Stan rimase a bocca aperta. Le loro voci si univano in perfetta armonia.

Stan iniziò a fare regolarmente visita all’orfanotrofio per cantare con le bambine. Ben presto, suggerì di incidere un album insieme, devolvendo i guadagni delle vendite dei dischi all’orfanotrofio.

A Keun Ok l’idea piacque moltissimo. Quando era giovane si era ripromessa di dedicarsi a migliorare il mondo. Come rifugiata di guerra in fuga dalla Corea del Nord, aveva perso suo padre in giovane età e sapeva quanto fosse difficile per le bambine avere successo in Corea senza un forte sostegno da parte della famiglia e della comunità. Molte persone nel paese tenevano in scarsa considerazione le orfane e non si aspettavano molto da loro. Per perseguire un’istruzione, Keun Ok aveva lottato contro la povertà, la scomparsa di un genitore e la perdita della casa. Sperava che esibirsi con Stan avrebbe aiutato le bambine affidate alle sue cure a rendersi conto del loro valore e che avrebbe aiutato anche gli altri coreani a rendersene conto.

Stan trovò uno studio di registrazione e, nei mesi successivi, Keun Ok aiutò lui e le bambine a provare e a registrare le canzoni. Quando l’esercito gli diede un congedo di trenta giorni, Stan tornò a casa negli Stati Uniti e fece incidere le registrazioni su dischi in vinile. Poi, tornò in Corea e organizzò un’esibizione con le bambine in uno speciale televisivo americano molto popolare che veniva registrato nel paese.

L’album, Daddy Big Boots: Stan Bronson e Song Jook Won Girls, arrivò a Seoul nei primi mesi del 1968. Keun Ok voleva rendere l’uscita dell’album un evento importante in Corea, quindi invitò il presidente della Corea del Sud, l’ambasciatore degli Stati Uniti e il comandante delle forze delle Nazioni Unite in Corea a partecipare a una festa per l’uscita dell’album presso una scuola superiore femminile locale. Anche se solo l’ambasciatore poté partecipare, gli altri dignitari mandarono dei rappresentanti al loro posto e la festa fu un successo.

In breve tempo, le cantanti dell’orfanotrofio Songjuk furono molto richieste.


Nel frattempo, negli Stati Uniti, Truman Madsen, professore di filosofia alla Brigham Young University, ricevette una comunicazione dal suo collega Richard Bushman, un professore del dipartimento di storia. Richard era preoccupato per un articolo accademico che aveva appena letto. L’autore, Wesley Walters, era un ministro presbiteriano negli Stati Uniti centro-occidentali. Affermava di aver confutato la Prima Visione di Joseph Smith.

Nel corso degli anni, vari critici avevano cercato frequentemente di mettere in dubbio la storia sacra della Chiesa, usando spesso le stesse asserzioni senza fondamento per dimostrare le loro tesi. Quell’articolo, però, era diverso. “È un pezzo ben scritto e supportato da buone ricerche”, comunicò Richard a Truman. Infatti, un altro collega riteneva che ciò rappresentasse una seria minaccia alla fede dei Santi.

Richard mandò a Truman una copia dell’articolo. Wesley Walters riconosceva di non poter confutare direttamente il fatto che Joseph Smith avesse visto il Padre e il Figlio nella primavera del 1820, quindi aveva studiato le affermazioni del profeta riguardo al contesto storico della Prima Visione.

Per molti anni, i Santi degli Ultimi Giorni furono a conoscenza solo di due resoconti scritti dal profeta Joseph sulla visione. Il resoconto più conosciuto, la cui stesura iniziò nel 1838, si trovava in Perla di Gran Prezzo. L’altro resoconto era stato pubblicato sul Times and Seasons, un giornale della Chiesa, agli inizi degli anni ’40 del 1800. Di recente, però, uno studente laureato alla Brigham Young University e un archivista della Chiesa avevano scoperto due resoconti precedenti della Prima Visione nella raccolta di documenti di Joseph Smith tenuta dalla Chiesa.

Wesley aveva esaminato attentamente i quattro resoconti per rivelare eventuali incongruenze storiche. E quando indagò sull’affermazione del profeta secondo cui un risveglio religioso locale lo aveva spinto a cercare il Signore in preghiera, Wesley non aveva trovato alcuna prova di alcun risveglio spirituale vicino alla residenza degli Smith fino a quasi cinque anni dopo la Prima Visione. Per Wesley, questo significava che Joseph Smith aveva inventato la sua storia.

Truman era sicuro che le conclusioni di Wesley fossero sbagliate. Tuttavia, dal momento che erano state fatte poche ricerche storiche sulla Prima Visione e sugli albori della Chiesa, non aveva modo di dimostrarlo. Avendo servito in passato come presidente di missione, sapeva che molte persone avevano abbracciato il vangelo restaurato grazie alla possente testimonianza della visione avuta dal profeta del Padre e del Figlio. Un attacco alla Prima Visione sembrava un attacco al fondamento stesso della Restaurazione.

Dopo aver letto l’articolo, Truman radunò un piccolo gruppo di storici a Salt Lake City. Tutti erano stimati studiosi e membri devoti della Chiesa. Mentre parlavano dell’articolo di Wesley, si resero conto che potevano usare la loro formazione accademica per aiutare la Chiesa. Insieme ad altri credenti, dovevano intraprendere un nuovo studio della storia della Chiesa, cominciando dalle sue radici. Fino a che non lo avessero fatto, le affermazioni di Wesley Walters sulla Prima Visione sarebbero rimaste senza riscontro.

Con Truman a capo dell’operazione, il gruppo si organizzò in un comitato per incoraggiare gli studiosi santi degli ultimi giorni a studiare i primi anni della storia della Chiesa. Per rispondere all’articolo di Wesley, il comitato propose di mandare cinque storici negli Stati Uniti orientali a fare ricerche sul risveglio religioso e la Prima Visione. Purtroppo, non avevano finanziamenti.

Inizialmente, il comitato aveva cercato di raccogliere fondi da donazioni private. Quando questa iniziativa si dimostrò un successo solo parziale, Truman si rivolse alla Prima Presidenza. Il presidente McKay e i suoi consiglieri avevano sostenuto altre iniziative per studiare e preservare la storia della Chiesa. All’inizio del decennio, ad esempio, avevano dei fondi per l’acquisto e la conservazione di proprietà storiche a Nauvoo, nell’Illinois, la sede centrale della Chiesa dal 1839 al 1846.

La Prima Presidenza si era anche interessata ai frammenti di papiro di Joseph Smith. Lavorando a stretto contatto con Aziz Atiya e il Metropolitan Museum of Art, il presidente N. Eldon Tanner aveva fatto in modo che il papiro venisse restituito come dono alla Chiesa. I giornali di tutti gli Stati Uniti diedero notizia dell’acquisizione e la Chiesa tenne una conferenza stampa e pubblicò delle immagini dei frammenti nell’Improvement Era. Su richiesta della Prima Presidenza, i frammenti furono poi affidati a Hugh Nibley, professore presso la Brigham Young University, per condurre ulteriori studi. Hugh, il principale studioso della Chiesa del mondo antico, aveva trovato forti prove storiche a sostegno dell’autenticità del Libro di Mormon ed era sicuro di fare lo stesso con il Libro di Abrahamo.

Scrivendo alla Prima Presidenza nella primavera del 1968, Truman richiese settemila dollari per finanziare i viaggi per la ricerca. “La Prima Visione è gravemente sotto attacco a livello storico”, li informò. “Il momento è cruciale”.

Inizialmente, la Prima Presidenza decise di non finanziare il progetto. Negli ultimi anni la Chiesa aveva contratto debiti costruendo sempre più cappelle in tutto il mondo e da allora i dirigenti della Chiesa erano stati più cauti nelle spese.

Truman però era perseverante. Aveva incontrato di recente Wesley Walters a una conferenza sulla storia della Chiesa e aveva percepito la determinazione del ministro a screditare Joseph Smith.

“Farà qualsiasi cosa per arrivare per primo alle fonti”, disse Truman alla Prima Presidenza. “Riteniamo che rimandare l’operazione non sia una scelta saggia”. Questa volta chiese cinquemila dollari.

Il presidente McKay e i suoi consiglieri riconsiderarono la richiesta e accettarono di finanziare i ricercatori.


In un caldo pomeriggio di settembre, quello stesso anno, la quattordicenne Maeta Holiday sedeva da sola su un autobus diretto a Fullerton, un sobborgo di Los Angeles, in California. Fissava fuori dalla finestrino gli aranceti che si estendevano da entrambi i lati dell’autostrada, un paesaggio molto diverso dalla sua casa nell’arido deserto al confine tra Utah e Arizona.

Maeta era una Diné, una cittadina della Nazione Navajo. Era cresciuta in una riserva nativa americana ubicata tra le quattro montagne sacre che segnavano i confini tradizionali della dimora ancestrale del suo popolo. Nel diciannovesimo secolo il governo degli Stati Uniti aveva creato quella e altre riserve simili nelle terre confiscate ai gruppi nativi americani come i Navajo per far posto ai coloni bianchi, tra cui i Santi degli Ultimi Giorni. Costrette a vivere nelle riserve, le cui terre erano spesso esigue, molte famiglie si trovavano in difficoltà.

La riserva Navajo in cui Maeta aveva vissuto era vasta e le persone vivevano distanti le une dalle altre, rendendo difficile il trasporto dei bambini da casa a scuola e viceversa. Nel frattempo, le scuole finanziate dal governo erano spesso sovraffollate e con pochi fondi a disposizione. In queste condizioni, molti genitori nativi americani cercavano di migliorare la vita dei propri figli mandandoli a scuola fuori dalla riserva.

Maeta era venuta in California nell’ambito del Programma della Chiesa per il collocamento degli studenti indiani e stava per andare a vivere con una famiglia bianca che non conosceva. Le sorelle maggiori di Maeta avevano partecipato al programma e lei desiderava fare lo stesso. Tuttavia, anche se si era iscritta con entusiasmo, era in ansia all’idea di incontrare la sua nuova famiglia affidataria.

Nell’ambito del programma di collocamento era stato fondato nel 1954 sotto la guida dell’anziano Spencer W. Kimball. Come molti santi degli ultimi giorni a quel tempo, considerava i nativi americani i discendenti diretti dei popoli del Libro di Mormon. Credeva che i membri della Chiesa avessero la responsabilità di aiutare i loro fratelli e sorelle lamaniti ad avere accesso a opportunità di istruzione e ad adempiere il loro destino divino come popolo dell’alleanza.

Nel programma di collocamento, i bambini nativi americani lasciavano la loro casa nelle riserve per andare a vivere con famiglie appartenenti alla Chiesa durante l’anno scolastico. Il programma mirava a dare agli studenti accesso a scuole migliori e a vivere in case incentrate sul Vangelo. Nel 1968, circa tremila studenti provenienti da più di sessantatré tribù furono accolti in numerose famiglie in Canada e in sette stati degli Stati Uniti. Sebbene tutti gli studenti da collocare fossero santi degli ultimi giorni, alcuni di loro non erano stati molto partecipi nella Chiesa prima di entrare nel programma.

Glen Van Wagenen, che dirigeva il programma nel sud della California, aveva sentito parlare di Maeta mentre la ragazza viveva con una famiglia a Kanab, nello Utah. Maeta amava vivere con loro e andava d’accordo con la loro figlia. Quando Glen la invitò a partecipare al programma di collocamento in California all’inizio del suo primo anno di scuola superiore, Maeta accettò prontamente l’offerta.

Maeta era la più giovane di sei figlie nate da Calvin Holiday ed Evelyn Crank. I suoi genitori si erano uniti alla Chiesa all’inizio del loro matrimonio, ma in seguito il loro interesse si era spento. Anche se Maeta era stata battezzata all’età di otto anni, non frequentava regolarmente la Chiesa, né capiva il significato del suo battesimo. Volendo migliorare la sua istruzione, non appena fu abbastanza grande i genitori di Maeta la mandarono in vari collegi per nativi americani in Arizona, perciò si trasferiva spesso da un posto all’altro.

Maeta conosceva delle famiglie nella riserva in cui i genitori si amavano e in cui i figli erano felici; ma la sua famiglia non era tra queste. Dopo il divorzio dei suoi genitori, sua madre si era risposata due volte. La madre di Maeta ebbe altri sei figli da questi matrimoni e le sue lunghe assenze costrinsero Maeta a prendersi cura dei suoi fratelli più piccoli. Più di una volta, Maeta e i suoi fratelli furono lasciati soli per diversi giorni con poco cibo e poca acqua. Faceva del suo meglio per sfamare i bambini, a volte con della carne di montone avariata e del cibo in scatola.

Una volta, mentre Maeta friggeva del pane su un fuoco all’aperto, sua madre la guardò e disse: “L’unica cosa per cui sarai brava sarà fare bambini”. A Maeta si spezzò il cuore. In quel momento, giurò in silenzio: “Farò in modo di arrivare lontano nella vita”.

Non appena arrivò alla fermata dell’autobus nel sud della California, Maeta si sentì sollevata di essere lontana da sua madre. Tuttavia, era nervosa mentre guardava una coppia di mezza età entrare dalla porta. “Saranno i miei nuovi genitori”, pensò.

Il padre affidatario, Spencer Black, era silenzioso e riservato. Maeta, segnata dagli uomini abusivi che aveva conosciuto nella sua vita, lo salutò con un po’ di diffidenza. La madre affidataria, Venna, aveva invece uno spirito confortante.

Portarono Maeta a casa loro, dove conobbe i loro figli, Lucy, di quindici anni, e Larry, di tredici anni. I Black avevano anche tre figli più grandi che si erano trasferiti. Maeta prese confidenza con la sua nuova casa, il suo camino spazioso e il giardino pieno di fiori. Avendo condiviso per tutta la vita la stanza con i suoi fratelli e le sue sorelle, era particolarmente emozionata di avere la propria cameretta.

Maeta però non si trovava completamente a suo agio. La città era opprimente e soffocata dallo smog. E sebbene i suoi genitori affidatari fossero gentili, Maeta si chiedeva se la loro gentilezza fosse un modo per manipolarla perché facesse le faccende domestiche, come a volte accadeva con sua madre.

Non rimpianse di essere andata in California, ma quella sera, quando si mise a letto, infastidita dal traffico rumoroso dell’autostrada, le mancò la quiete della riserva.

  1. Jay M. Todd, “Egyptian Papyri Rediscovered”, Improvement Era, Jan. 1968, 13–14; Fragment of Book of Breathing for Horos–A, between 238 and circa 153 BC, in JSP, R4:8–9; Nibley, Message of the Joseph Smith Papyri, 183–184; Muhlestein, “Papyri and Presumptions”, 40, 44–45.

  2. McKay, Diary, Nov. 27, 1967; “Arabic Documents to U”, Deseret News, Dec. 15, 1966, C1; “U. Professor to Speak on Mideast”, Salt Lake Tribune, Oct. 4, 1959, A17; Jay M. Todd, “Egyptian Papyri Rediscovered”, Improvement Era, Jan. 1968, 13–14; “A Facsimile from the Book of Abraham, No. 2”.

  3. Jay M. Todd, “Egyptian Papyri Rediscovered”, Improvement Era, Jan. 1968, 12–14, 16; Lewis Bidamon, Emma Smith Bidamon, and Joseph Smith III to Abel Combs, Certificate of Sale, May 26, 1856, CHL.

  4. Santi, volume 1, capitolo 20; “Book of Abraham and Related Manuscripts”, in JSP, R4:xix–xx, xxiii–xxix; Peterson, Story of the Book of Abraham, 203–216, 242–247; Gee, “Stranger in a Strange Land”, 501–503. Argomento: Traduzione del Libro di Abrahamo

  5. Jay M. Todd, “Egyptian Papyri Rediscovered”, Improvement Era, Jan. 1968, 14.

  6. Isabel Santana entry, Births and Blessings, 1958, Obregon Branch, Northern Mexican Mission, 158–159, in Mexico (Country), part 6, Record of Members Collection, CHL; Isabel Santana, Oral History Interview [Jan. 5, 2022], 1–2, 22–23; Santana and Machuca, Oral History Interview, 32–33; Morgan, “Benemérito de las Américas”, 108, 110.

  7. Santi, volume 2, capitolo 31; Santi, volume 3, capitolo 31; Deseret News 1991–1992 Church Almanac, 178, 190; Morgan, “Century of LDS Church Schools in Mexico”, 364; Missionary Department, Full-Time Mission Monthly Progress Reports, Jan. 1966; Daniel Taylor to Ernest L. Wilkinson, Sept. 26, 1962, Church Educational System, Harvey L. Taylor Administrative Files, CHL; Morgan, “Benemérito de las Américas”, 94, 96–97.

  8. Romney, Journal, Nov. 19, 1957; Feb. 6, 1958; Apr. 5, 1958; Nov. 5, 1959; Dec. 9, 1959; Bentley, Life and Family of Joseph T. Bentley, 98–99; Daniel Taylor to Ernest L. Wilkinson, Sept. 26, 1962; Harvey Taylor to M. James Penton, Sept. 7, 1966, Church Educational System, Harvey L. Taylor Administrative Files, CHL; Taylor, Story of L.D.S. Church Schools, 1:34–45, 62–71; 2:6–11; Griffiths, “Globalization of Latter-day Saint Education”, 82, 97–125. Argomenti: Accademie della Chiesa; Samoa Americane; Cile; Figi; Messico; Nuova Zelanda; Samoa; Tonga

  9. Joseph Bentley, “El Arbolillo (The Little Tree)”, in Joseph Bentley to N. Eldon Tanner, Apr. 29, 1968, Church Educational System, Harvey L. Taylor Administrative Files, CHL; Morgan, “Benemérito de las Américas”, 99–104; Taylor, Story of L.D.S. Church Schools, 2:6–15, 18–19, 21, 24; Santana and Machuca, Oral History Interview, 34–35.

  10. Santana and Machuca, Oral History Interview, 2–3, 10; Isabel Santana, Oral History Interview [Jan. 5, 2022], 16; Isabel Santana, Oral History Interview [Feb. 2, 2022], 16; Taylor, Story of L.D.S. Church Schools, 2:4, 5, 20; Harvey Taylor to Marion D. Hanks, Apr. 19, 1966, Church Educational System, Harvey L. Taylor Administrative Files, CHL; Morgan, “Impact of Centro Escolar Benemérito”, 156.

  11. Santana and Machuca, Oral History Interview, 32; Isabel Santana, Oral History Interview [Feb. 2, 2022], 1; Wagner and Wagner, Historia, 39; Church Board of Education, Executive Committee Minutes, Aug. 26, 1965; Romney, Journal, Oct. 26, 1966.

  12. Isabel Santana, Oral History Interview [Feb. 2, 2022], 1–4; Santana and Machuca, Oral History Interview, 32–34; Isabel Santana, Oral History Interview [Jan. 5, 2022], 1–2, 23; Wagner and Wagner, Historia, 39.

  13. Isabel Santana, Oral History Interview [Feb. 2, 2022], 2, 10; Santana and Machuca, Oral History Interview, 2–4; Isabel Santana, Oral History Interview [Apr. 19, 2022], 25.

  14. McKay, Diary, May 24, 1960; Mar. 28, 1964; Aug. 19, 1965; Aug. 22, 1966; Nov. 7, 1966; Jan. 1, 1967; Henry D. Taylor, in One Hundred Thirty-Sixth Annual Conference, 83; Garrow, Protest at Selma, 161–166; Patterson, Grand Expectations, 580–581, 598, 620–621.

  15. Powaski, Cold War, 135–160; Hartlyn and Valenzuela, “Democracy in Latin America since 1930”, 139–143; Falola and Heaton, History of Nigeria, 158–175.

  16. McKay, Diary, Jan. 1, 1967; Patterson, Grand Expectations, 512–517, 594–599; Boot, Invisible Armies, chapter 52.

  17. Gordon B. Hinckley, “Asian Diary”, Instructor, Sept. 1967, 346–347; Marion D. Hanks to First Presidency, Jan. 18, 1967, First Presidency, Mission Correspondence, 1964–2010, CHL; “1967 Membership Population Report”, 2; McKay, Diary, Jan. 20, 1966; Apr. 15, 1966; Sept. 15, 1966; Nov. 17, 1966.

  18. Gordon B. Hinckley, “Asian Diary”, Instructor, Sept. 1967, 346–347; Marion D. Hanks to First Presidency, Jan. 18, 1967, First Presidency, Mission Correspondence, 1964–2010, CHL; Allen Rozsa, Memorandum, Oct. 31, 1966, Gordon B. Hinckley Files, circa 1935–70, CHL; Hinckley, Journal, Oct. 30, 1966; Palmer, Church Encounters Asia, 143.

  19. McKay, Diary, Jan. 1, 1967; Steininger, Germany and the Middle East, 108–119; Gould, Struggle for Modern Nigeria, 8–9, 63, 211; Patterson, Grand Expectations, 448–449, 579–581, 588–589, 598–600, 620–630; Lytle, America’s Uncivil Wars, chapter 8.

  20. David O. McKay, in One Hundred Thirty-Seventh Annual Conference 5–7; Lytle, America’s Uncivil Wars, chapters 8 and 9; “Early Registrations Show Banner Year for Seminaries”, Church News, Sept. 7, 1957, 12; For the Strength of Youth, 3–16; vedere anche Patterson, Grand Expectations, 669–672.

  21. David O. McKay, Hugh B. Brown, in One Hundred Thirty-Seventh Semi-annual Conference, 4–5, 94149.

  22. Hugh B. Brown, Harold B. Lee, in One Hundred Thirty-Seventh Semi-annual Conference, 25–26, 98–108; Henry A. Smith, “Top Church News of ’67”, Church News, Dec. 30, 1967, 5; Correlation Executive Committee, “Church Curriculum Programs: Time Changes”, Instructor, Sept. 1967, 361. Argomento: Crescita della Chiesa

  23. David O. McKay, Harold B. Lee, in One Hundred Thirty-Seventh Semi-annual Conference, 5–10, 98–108.

  24. “LDS Teacher Helps Korean Orphans”, Church News, Feb. 6, 1971, 7; Hwang, “Hwang Keun Ok”, 293; Shirleen Meek Saunders, “Whang Keun-Ok: Caring for Korea’s Children”, Ensign, Oct. 1993, 46; Roby, Oral History Interview, 1, 4–5; Bronson, Oral History Interview, 2. Nelle fonti il suo nome è scritto in vari modi come “Hwang” e “Wwang”.

  25. “1967 Membership Population Report”, 2; Palmer, Church Encounters Asia, 94–98, 108; “Korean Student at U. of U. Called to Far East Mission”, Church News, Nov. 17, 1956, 10; Joseph Lundstrom, “President McKay Given New Korean Translation”, Church News, Aug. 31, 1968, 3. Argomenti: Rami militari; Corea del Sud

  26. Hwang, “Hwang Keun Ok”, 293; Bronson, Oral History Interview, 2, 91; Shirleen Meek Saunders, “Whang Keun-Ok: Caring for Korea’s Children”, Ensign, Oct. 1993, 46–47; “LDS Teacher Helps Korean Orphans”, Church News, Feb. 6, 1971, 7.

  27. Bronson, Oral History Interview, 2–4, 27–28; Roby, Oral History Interview, 1; Shirleen Meek Saunders, “Whang Keun-Ok: Caring for Korea’s Children”, Ensign, Oct. 1993, 46.

  28. Roby, Oral History Interview, 1; Shirleen Meek Saunders, “Whang Keun-Ok: Caring for Korea’s Children”, Ensign, Oct. 1993, 46–47; Hwang, “Hwang Keun Ok”, 293; Bronson, Oral History Interview, 2–3, 27–28; “Shoes Big, Heart Bigger”, Church News, May 25, 1968, 10.

  29. Bronson, Oral History Interview, 2–3; Sarah Jane Weaver, “Orphanage Founder’s Life Spent Serving”, Church News, Aug. 19, 2000, 4, 7; Shirleen Meek Saunders, “Whang Keun-Ok: Caring for Korea’s Children”, Ensign, Oct. 1993, 46; Hwang, “Hwang Keun Ok”, 291–292; Roby, Oral History Interview, 1–3.

  30. Bronson, Oral History Interview, 9–10, 13, 28–31, 74, 81–82; Roby, Oral History Interview, 1, 4, 9; “Shoes Big, Heart Bigger”, Church News, May 25, 1968, 10.

  31. Bronson, Oral History Interview, 15–16, 52, 74–75; Roby, Oral History Interview, 1–4.

  32. Richard Bushman to Truman Madsen, Memorandum, Oct. 17, 1967, Truman G. Madsen Correspondence, CHL; Walters, “New Light on Mormon Origins”, 59–61; Godfrey, “Kenneth W. Godfrey”, 254; Harper, First Vision, 211–214.

  33. Harper, First Vision, 204–206, 214–215; “Resoconti della Prima Visione”, Argomenti evangelici – Saggi, ChurchofJesusChrist.org/study/manual/gospel-topics-essays; Allen, “Significance of Joseph Smith’s ‘First Vision’”, 29–46. Argomento: Resoconti della Prima Visione di Joseph Smith, I

  34. Harper, First Vision, 214–216; Walters, “New Light on Mormon Origins”, 60–73.

  35. Harper, First Vision, 219; Bushman, “First Vision Story Revived”, 82–83; Truman Madsen to First Presidency, Apr. 17, 1968, First Presidency, General Administration Files, 1921–72, CHL.

  36. Harper, First Vision, 219–220; Allen and Arrington, “Mormon Origins in New York”, 241–242.

  37. [Truman Madsen] to Harold Snow, Nov. 9, 1967; Truman Madsen to “Dear Brethren”, Jan. 18, 1968, Truman G. Madsen Correspondence, CHL; Allen and Arrington, “Mormon Origins in New York”, 241–242; Truman Madsen to First Presidency, Apr. 17, 1968, First Presidency, General Administration Files, 1921–72, CHL; Pykles, Excavating Nauvoo, 18–19, 53–128.

  38. Jay M. Todd, “Egyptian Papyri Rediscovered”, Improvement Era, Jan. 1968, 13–14; Tanner, Journal, Nov. 26–27 and Dec. 5, 1967; “Mormons Get ‘Lost’ Egyptian Papyrus Texts”, Los Angeles Times, Nov. 28, 1967, section 1, 4; “Old Papyri Find Linked to Mormons”, Sun (Baltimore), Nov. 8, 1967, A3; George W. Cornell, “Missing Documents Found”, Austin (TX) Statesman, Nov. 30, 1967, A5; “LDS Orders Papyri to Y. for Study”, Salt Lake Tribune, Nov. 29, 1967, B2.

  39. Nibley, Lehi in the Desert and the World of the Jaredites, 20–95; Nibley, Approach to the Book of Mormon, 164–189, 256–269; Nibley, Since Cumorah, 251–258, 297–327.

  40. Truman Madsen to First Presidency, Apr. 17, 1968, First Presidency, General Administration Files, 1921–72, CHL.

  41. First Presidency to Truman Madsen, May 8, 1968, First Presidency, General Administration Files, 1921–72, CHL; Spencer W. Kimball, Journal, Dec. 14, 1961; Lee, Diary, Dec. 7, 1961, and Dec. 17, 1963; Tanner, Journal, July 17, 1964, and Dec. 2, 1965; Quinn, Mormon Hierarchy, 120–123; Durham, N. Eldon Tanner, 208–209. Argomento: Finanze della Chiesa

  42. Truman Madsen to Hugh B. Brown and N. Eldon Tanner, May 15, 1968, First Presidency, General Administration Files, 1921–72, CHL; Harper, First Vision, 221; McKay, Diary, May 24, 1968; First Presidency to Truman Madsen, June 4, 1968, First Presidency, General Administration Files, 1921–72, CHL.

  43. Shumway and Shumway, Blossoming, 96–97; Maeta Beck and Dennis Beck, Oral History Interview, 4, 6–7, 29–30, 51, 69–70.

  44. Shumway and Shumway, Blossoming, 89; Berlo, “Navajo Cosmoscapes”, 11; Prucha, Great Father, 1:562–581; 2:631–658, 814–840; Santi, volume 2, capitoli 58; Garrett, Making Lamanites, 43–57; White, Roots of Dependency, 290–315; Bailey and Bailey, History of the Navajos, 26–28, 295–296.

  45. Maeta Beck and Dennis Beck, Oral History Interview, 5, 49–50, 67–68; Shumway and Shumway, Blossoming, 92, 96.

  46. Allen, “Rise and Decline of the LDS Indian Student Placement Program”, 88–96, 100–101; First Presidency to Spencer W. Kimball, Sept. 6, 1968, First Presidency, General Administration Files, 1921–72, CHL; Dorothy O. Rea, “Indian Student Plan”, Deseret News, Aug. 22, 1968, E8. Argomenti: Programma per il collocamento degli studenti indiani; Identità dei Lamaniti; Spencer W. Kimball

  47. Shumway and Shumway, Blossoming, 96–97; Maeta Beck and Dennis Beck, Oral History Interview, 2–3, 6.

  48. Shumway and Shumway, Blossoming, 90–91, 94–96; Maeta Beck and Dennis Beck, Oral History Interview, 2, 55, 71, 137.

  49. Shumway and Shumway, Blossoming, 96, enfasi aggiunta; Maeta Beck and Dennis Beck, Oral History Interview, 16–17.

  50. Maeta Beck and Dennis Beck, Oral History Interview, 5, 48–49; Black and Black, Life Stories, [4].

  51. Maeta Beck and Dennis Beck, Oral History Interview, 3–4, 10, 25–26, 48, 68; Shumway and Shumway, Blossoming, 92; Black and Black, Life Stories, [158]; Pierce, Oral History Interview, 2–4.

  52. Maeta Beck and Dennis Beck, Oral History Interview, 6–7, 9–10, 50–51.