Capitolo 21
Un seme d’amore
All’inizio del 1981, la sessantatreenne Julia Mavimbela gestiva un orto della comunità vicino a casa sua a Soweto, un insediamento urbano riservato alle persone di colore di oltre un milione di abitanti, nella parte occidentale di Johannesburg, in Sudafrica. Julia, ex preside di una scuola elementare, aveva avviato l’orto qualche anno prima per aiutare i giovani dell’insediamento nella loro crescita durante l’apartheid, la politica ufficiale di segregazione razziale del Sudafrica.
Essendo lei stessa una donna di colore, sapeva quanto fosse difficile vivere sotto questo sistema. Le leggi svilivano le persone come lei e le trattavano come cittadini inferiori. Da decenni, il governo obbligava ogni sudafricano di colore a portare con sé un libretto di identificazione che riportava con esattezza dove la persona poteva o non poteva andare. Se una persona di colore fosse stata scoperta nei quartieri bianchi nel momento sbagliato della giornata, poteva essere picchiata, arrestata o addirittura uccisa.
Quando Julia era più giovane, era stata costretta a trasferirsi dal suo quartiere multirazziale di Johannesburg in un’abitazione di Soweto, un’area urbana segregata. Ora, osservando i giovani lottare contro queste ingiustizie, si preoccupava dell’amarezza che cresceva nei loro cuori. Attraverso il suo orto, sperava di insegnare loro come superare questa rabbia prima che distruggesse loro e i loro cari.
“Guardate”, diceva, “questo terreno è compatto e duro. Ma se ci spingiamo una vanga o un forcone, possiamo smuoverlo e produrre delle zolle. Poi, se spezziamo quelle zolle e vi ci gettiamo dentro un seme, questo cresce”.
Voleva che i giovani portassero nel loro cuore il messaggio della resistenza della terra. “Scaviamo via l’amarezza dal suolo, gettiamoci dentro un seme d’amore e vediamo quali frutti può darci”, diceva loro. “L’amore non spunterà se non perdoniamo gli altri”.
Questa era una lezione che Julia stava ancora imparando. Decenni prima, suo marito John era rimasto ucciso in uno scontro frontale con un autista bianco. Quando andò alla stazione di polizia per chiedere che le venissero restituiti i suoi effetti personali, Julia scoprì che il denaro che aveva in tasca in quel momento era stato rubato dopo l’incidente. E anche se credeva che John non avesse alcuna responsabilità nell’incidente, un tribunale composto di soli bianchi lo aveva giudicato colpevole.
La morte di John aveva lasciato Julia da sola a crescere i loro figli tra mille difficoltà. Eppure, nei momenti più duri, aveva sentito la presenza di Gesù Cristo vicino a lei, che le donava conforto e rassicurazione.
Ora, più di un quarto di secolo dopo la morte di John, Julia sapeva che il perdono era essenziale per guarire il suo dolore. Tuttavia, faceva ancora fatica a perdonare coloro che avevano infangato il buon nome di John e avevano derubato lei e la sua famiglia.
Un giorno, nel giugno del 1981, Julia fu invitata ad aiutare a risistemare una struttura e una biblioteca per i giovani che erano state saccheggiate e date alle fiamme nelle recenti sommosse per l’apartheid. Quando arrivò sul posto, Julia fu sorpresa nel vedere due giovani uomini che stavano sgomberando dei calcinacci con delle pale. Questi uomini erano bianchi: qualcosa di sconcertante per Soweto.
Con grandi sorrisi, i giovani uomini dissero a Julia che erano missionari americani e che erano venuti per dare una mano. Avevano qualche nozione di giardinaggio e parlarono con Julia del suo giardino della comunità. Chiesero anche se potevano farle visita. Julia non era particolarmente entusiasta di farsi vedere con loro. Invitando due uomini bianchi a casa sua, avrebbe rischiato una violenta rappresaglia, contro di lei e la sua famiglia. I suoi vicini avrebbero potuto pensare che stesse collaborando con la polizia o con il governo dell’apartheid.
Cercò dapprima di trovare una scusa, ma poi provò un forte sentimento nel petto e seppe che avrebbe dovuto acconsentire a una loro visita. Diede loro appuntamento tre giorni dopo.
Gli uomini quel giorno arrivarono puntuali. Indossavano una camicia bianca, con una targhetta che riportava il loro nome. Si presentarono come missionari de La Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni. Ella ascoltò pazientemente il loro messaggio, ma quando tornarono a farle visita cercò di capire come poteva gentilmente dire loro che non era interessata.
Uno dei missionari indicò poi una foto di Julia e del suo defunto marito e chiese: “E lui dov’è”?
“È deceduto”, spiegò.
I missionari quindi le parlarono del battesimo per i morti. Julia era scettica. Nel corso degli anni aveva frequentato molte chiese e non aveva mai sentito nessuno dire che i morti potevano essere battezzati.
Un missionario aprì il Nuovo Testamento e le chiese di leggere 1 Corinzi 15:29 “Altrimenti, che faranno quelli che son battezzati per i morti? Se i morti non risuscitano affatto, perché dunque son essi battezzati per loro?”.
Il versetto la affascinò. Iniziò ad ascoltare i missionari con cuore ben disposto. Mentre le spiegavano delle famiglie eterne, apprese che i battesimi e le altre ordinanze potevano essere celebrate nei templi per i defunti dai loro cari. Avrebbe potuto anche riunirsi a coloro che aveva perso, incluso John, nella prossima vita.
Quando cominciò a leggere il Libro di Mormon, la sua vita iniziò a cambiare. Per la prima volta, si rese conto che tutte le persone appartenevano a una sola famiglia. Il vangelo restaurato di Gesù Cristo le diede la speranza di poter finalmente perdonare coloro che avevano ferito lei e i suoi figli..
Sei mesi dopo aver incontrato i missionari, Julia fu battezzata. Un mese dopo, fu invitata a parlare alla conferenza di palo. Sotto il governo dell’apartheid, la Chiesa non aveva fatto alcun tentativo di fare proselitismo tra le persone di colore del Sudafrica. All’inizio degli anni ‘80, però, l’apartheid aveva cominciato a sgretolarsi, rendendo più facile per i membri bianchi e di colore della stessa religione incontrarsi e rendere il culto insieme. Alcuni mesi prima del battesimo di Julia, fu organizzata una congregazione per i santi di Soweto.
Julia era nervosa quando si trovò davanti al palo, per lo più composto da bianchi. Temeva che il suo dolore per la morte di John potesse creare un ostacolo tra lei e gli altri membri della Chiesa. Ma il suo cuore era colmo di preghiera e il Signore la spinse a raccontare la sua storia.
Parlò della morte del marito, del crudele trattamento che ricevuto dalla polizia e dell’amarezza che aveva custodito dentro di sé per così tanto tempo. “Alla fine ho trovato la Chiesa che può insegnarmi a perdonare veramente”, affermò. Come le zolle di un giardino, la sua amarezza si sgretolò.
Ciò che restava, disse, erano la pace e il perdono.
Quando i funzionari del governo proposero di costruire un tempio nella Repubblica Democratica Tedesca, la Prima Presidenza autorizzò Henry Burkhardt a ottenere il permesso di costruire una casa di riunione con un’ala speciale nella quale amministrare le investiture e i suggellamenti per i vivi, ma nessuna ordinanza per procura per i morti..
Dopo il digiuno e la preghiera, Henry e i suoi consiglieri della presidenza della Missione di Dresda proposero di costruire l’edificio a Karl-Marx-Stadt. In città vivevano numerosi santi e avevano bisogno di una nuova casa di riunione. Tuttavia, i funzionari locali rifiutarono di rilasciare un permesso alla Chiesa, sostenendo che la città non aveva bisogno di altre chiese. Proposero invece Freiberg, una città universitaria nelle vicinanze.
“Impossibile”, disse loro Henry. “Vogliamo costruirla a Karl-Marx-Stadt”.
Per la presidenza di missione la questione sembrava risolta. Mentre digiunavano e pregavano, Henry e i suoi consiglieri cominciarono però a considerare seriamente la possibilità di poterla costruire a Freiberg. La città ospitava un piccolo ramo di santi e si trovava vicino ai rami di Dresda e di altre città e paesi della regione.
Più Henry e i suoi consiglieri meditavano sulla questione, più si convincevano. “Sì”, dissero tra loro, “l’opzione di Freiberg in realtà non è così male”.
I funzionari municipali di Freiberg sembravano desiderosi che la Chiesa costruisse un edificio come il Tempio svizzero nella loro città. In tutta la Repubblica Democratica tedesca, il governo stava cercando di rafforzare i rapporti con le persone religiose che rispettavano l’autorità dello Stato. La RDT riconobbe ufficialmente alcune religioni e cercò di ricostruire chiese storiche che erano state danneggiate durante la Seconda guerra mondiale.
Poiché i santi di Freiberg disponevano già di una casa di riunione adatta, Henry ebbe la netta impressione che la Chiesa avrebbe dovuto accantonare il progetto di costruire un edificio ibrido e costruire invece un tempio ordinario che includesse un fonte battesimale e permettesse di svolgere altre ordinanze per procura. Propose l’idea ai dirigenti della Chiesa a Salt Lake City e ricevette l’approvazione per l’assegnazione di un sito per la costruzione di una casa del Signore pienamente operativa a Freiberg.
Henry presentò poi il piano a una riunione comunale della cittadina insieme a Frank Apel, segretario esecutivo della missione e originario di Freiberg. Il consiglio propose alla Chiesa due possibili siti. Il primo lotto si trovava nel centro della città, ma era piccolo e si sviluppava sotto il livello della strada, il che lo rendeva poco visibile ai passanti. L’altro sito era un lotto di terreno ancora inutilizzato su una collina a nord-ovest della città. Non c’erano fermate dei mezzi pubblici nelle vicinanze, ma il sito era molto ben visibile dalla zona circostante.
Quando videro il secondo sito, Henry e Frank seppero di aver trovato il posto giusto per il tempio.
Il 27 febbraio 1982, l’anziano Thomas S. Monson fece visita alla RDT per sincerarsi delle condizioni dei santi della Germania dell’Est e parlare con Henry del nuovo sito del tempio. Erano passati quasi quattordici anni da quando Henry e sua moglie, Inge, avevano incontrato per la prima volta l’apostolo e avevano condiviso con lui una preziosa amicizia. L’anziano Monson regalò a Inge un piatto decorativo e una nuova gonna cucita da sua moglie, Frances. Fece una sorpresa anche Tobias, il figlio quattordicenne dei Burkhardt, regalandogli una calcolatrice tascabile; oggetto molto raro nella RDT.
Il giorno dopo, Henry accompagnò l’anziano Monson al sito. Sebbene comprendesse il motivo per cui la Chiesa non poteva costruire il tempio a Karl-Marx-Stadt, l’anziano Monson aveva delle domande sul luogo scelto a Freiberg.
“Avete valutato molto bene questa scelta”?, chiese a Henry. “È davvero questo il posto giusto? Come possono le persone arrivare fin qui senza mezzi pubblici adeguati?”.
Henry cercò di rispondere al meglio alle domande dell’anziano Monson. Poi ribadì che lui e i suoi consiglieri sostenevano fortemente la costruzione di un tempio in quella località. Disse che avevano digiunato e pregato per quel sito, e sentivano che era lì che il Signore voleva la Sua casa nella RDT.
L’anziano Monson non ebbe bisogno di altre conferme. La Chiesa acquistò il terreno e presentò al governo della Germania dell’Est i progetti architettonici revisionati.
Il 31 marzo 1982, David Galbraith sedeva in silenzio in un ufficio a Gerusalemme mentre Amnon Niv, responsabile tecnico della città, esaminava una grande cartina a colori del Monte degli Ulivi. Con loro si trovava un’altra mezza dozzina di urbanisti.
David attendeva quella riunione con Amnon da mesi. La Chiesa era pronta a portare avanti il suo progetto di costruzione di un Centro dedicato agli studenti della BYU provenienti dall’estero e per i santi locali lì a Gerusalemme. Una volta inaugurato, il Centro avrebbe consentito alla Chiesa di essere ufficialmente presente in Terra Santa. Sarebbe stato un luogo di apprendimento, comunione e pace, dove i membri della Chiesa avrebbero potuto recarsi per ripercorrere le orme di Gesù, conoscere meglio le antiche radici della loro fede e apprezzare le culture e le credenze delle persone che vivevano in Medio Oriente.
I dirigenti della Chiesa, David compreso, volevano costruire il Centro nel luogo che il presidente Kimball aveva ammirato durante la sua visita in città nel 1979. Il sito tuttavia si trovava vicino al Monte Scopus, il punto più alto del Monte degli Ulivi, e una “zona verde” designata dal governo ne attraversava una parte, rendendo di fatto impossibile la realizzazione di qualsiasi edificio. Altri costruttori avevano tentato di cambiarne la zonizzazione senza successo. Se la Chiesa sperava di costruire lì, Amnon avrebbe dovuto modificare i confini della zona verde.
Il sindaco Teddy Kollek condivideva il desiderio della Chiesa di costruire un Centro in città. Credeva che il rapporto di amicizia stretto dalla Chiesa con musulmani ed ebrei avrebbe aiutato entrambi i gruppi a comprendersi meglio e a vivere in pace. Tuttavia, concordava sul fatto che la proprietà del Monte Scopus sarebbe stata impossibile da acquisire. Dietro sua richiesta, David aveva preso in esame altri possibili siti. E ogni volta che trovava un luogo promettente, informava la sede centrale della Chiesa. Nessuno di questi siti ricevette però l’approvazione e il presidente N. Eldon Tanner gli aveva consigliato di concentrarsi sul Monte Scopus.
Un giorno, il sindaco Kollek aveva incoraggiato Amnon a organizzare una riunione con David e ad ascoltare ciò che aveva da dire. Fu invitato anche David Reznik, l’architetto locale che la Chiesa aveva assunto per progettare il Centro di Gerusalemme della BYU.
Reznik mostrò ad Amnon alcuni dei suoi progetti per la scuola e fece notare la sua vicinanza all’Università Ebraica di Gerusalemme, che lui e Amnon avevano contribuito a progettare anni prima. Amnon continuò a studiare la cartina per diversi minuti, il suo silenzio era accompagnato da quello di tutti i presenti. “Portami un pennarello”, disse all’improvviso. Nessuno nella stanza ne aveva uno, quindi qualcuno si affrettò a trovarlo e a darglielo. Poi stese il braccio e cominciò a disegnare sulla cartina.
Mentre tutti gli altri lo osservavano, modificò la zona verde, tracciando una linea rossa attorno al punto esatto in cui la Chiesa voleva costruire il Centro di Gerusalemme.
“Questo è il perimetro dell’edificio”, proclamò. Afferrò uno dei timbri in gomma ufficiali, lo stampò sulla cartina e la firmò con il suo nome. “Ecco fatto!”, disse.
Tutti annuirono in segno di assenso. David non sapeva cosa dire. La Chiesa aveva appena ricevuto l’approvazione per qualcosa che tutti pensavano fosse impossibile. Non vedeva l’ora di chiamare la sede centrale della Chiesa e dire loro che si era compiuto un miracolo.
Alcuni mesi dopo, nel luglio del 1982, Olga Kovářová e un piccolo gruppo di santi erano in viaggio in auto verso un bacino idrico nei pressi di Brno, in Cecoslovacchia, per il suo battesimo.
Sin dalla sua prima riunione sacramentale a casa di Otakar Vojkůvka, Olga aveva imparato ad ammirare la fede dei santi cecoslovacchi più anziani. Si era sentita edificata dalle loro discussioni durante la Scuola Domenicale e a suo agio nel condividere i propri pensieri.
Nei mesi precedenti il suo battesimo, Olga aveva ricevuto lezioni missionarie da Jaromír Holcman, un membro della presidenza di ramo di Brno. Le prime lezioni erano state difficili e complicate, perché le parole della religione le suonavano totalmente estranee. Il piano di salvezza sembrava una favola e Olga si era trovata a fare i conti con le domande che aveva sul Padre Celeste.
Si preoccupava anche dei problemi che sarebbero venuti dopo il battesimo. La Chiesa aveva iniziato a crescere nell’Europa centrale e orientale dopo il 1975, quando Henry Burkhardt e i suoi consiglieri nella presidenza della Missione di Dresda nominarono un uomo di nome Jiří Šnederfler a presiedere ai santi in Cecoslovacchia. Ma la Chiesa era ancora poco conosciuta e poco compresa nel paese. Nonostante la sua mente le stesse dicendo di dimenticare il vangelo di Cristo, il suo cuore le diceva che quella era la verità.
Olga digiunò per tutto il giorno del suo battesimo. Quando arrivò il momento, si recò al bacino idrico con Otakar e Gád Vojkůvka, Jaromír e sua moglie Maria. Il gruppo si riunì nei pressi dell’acqua e disse una preghiera, ma prima che potessero procedere con l’ordinanza, furono colti di sorpresa dal vociare di alcuni pescatori che camminavano lungo la riva. Gli uomini si avvicinarono e si sistemarono vicino al luogo in cui Olga doveva essere battezzata.
“L’argine è piuttosto ripido attorno a questo bacino” disse Otakar. “Questo è l’unico punto che conosciamo per scendere in acqua gradualmente e in modo sicuro”.
Senza aver altra scelta, Olga e i suoi amici si misero ad aspettare. Passarono dieci minuti, poi venti. I pescatori, tuttavia, non sembravano voler andar via tanto presto.
Olga appoggiò la testa contro un tronco d’albero. “Forse non sono abbastanza preparata”, pensò, “o la mia testimonianza non è abbastanza forte, oppure non mi sono pentita completamente”.
Stava per inginocchiarsi in preghiera quando Jaromír la prese per un braccio e la ricondusse dagli altri santi.
“Penso che dovremmo pregare di nuovo per far sì che Olga possa essere battezzata oggi”, disse.
Il gruppo si inginocchiò mentre Jaromír implorava Dio in favore di Olga. Olga riusciva a sentire l’emozione nella sua voce. Quando la preghiera finì, passarono alcuni minuti, poi i pescatori improvvisamente si alzarono e se ne andarono.
L’acqua era calma e tranquilla mentre Jaromír accompagnava Olga per mano e pronunciava la preghiera battesimale. Quando sentì il pronunciare suo nome, Olga sentì che un capitolo della sua vita stava terminando. Tutto stava per cambiare ora che aveva deciso di seguire Cristo e il Suo vangelo restaurato. Una gioia completa la travolse e seppe che il suo battesimo era stato scritto in cielo.
Presto il piccolo gruppo si rimise in viaggio alla volta di Brno con la macchina di Jaromír. Lungo il tragitto si misero ad ascoltare una musicassetta del Coro del Tabernacolo. Olga si sentiva come se stesse ascoltando degli angeli e si meravigliò quando Jaromír le disse che i cantanti erano tutti membri della Chiesa. Si chiedeva come doveva essere la vita dei santi che vivevano in un paese in cui c’era libertà di professare una religione e un profeta vivente.
Dopo essere arrivati a Brno, i santi si riunirono a casa di Jaromír. Jaromír, Otakar e altri detentori del sacerdozio posero le mani sul capo di Olga. Quando la confermarono membro della Chiesa, sentì che lo Spirito Santo la avvolgeva. In quel momento, seppe di essere una figlia di Dio.
Nella benedizione, Jaromír dichiarò che, tramite Olga, molti giovani si sarebbero uniti alla Chiesa e avrebbero ricevuto l’insegnamento del Vangelo in un modo che potessero comprendere. Le parole la colsero di sorpresa. Sembrava impossibile, per come andavano le cose, che le fosse concesso condividere il Vangelo apertamente.
Ciononostante, conservò quelle parole nel suo cuore e non vedeva l’ora che arrivasse il giorno in cui quella promessa si sarebbe avverata.
Il 27 novembre 1982, il cielo di Johannesburg, in Sudafrica, era nuvoloso mentre 850 persone si riunivano per la cerimonia di avvio dei lavori della prima casa del Signore nel continente africano. Julia Mavimbela era venuta alla cerimonia con dieci famiglie di Soweto, l’insediamento urbano abitato da cittadini di colore nella zona occidentale della città. Dal momento in cui Julia era venuta a conoscenza dei templi, aveva voluto che fossero celebrate ordinanze per il suo defunto marito e i suoi genitori. Era determinata a prendere parte a ogni evento importante che riguardava la costruzione del tempio.
A presiedere la cerimonia fu l’anziano Marvin J. Ashton del Quorum dei Dodici Apostoli. Nel suo discorso conclusivo, parlò dell’emozione spirituale che gli trasmettevano i santi del Sudafrica. Una volta completata la casa del Signore, i santi che un tempo dovevano percorrere migliaia di chilometri per raggiungere i templi negli Stati Uniti, in Svizzera, nel Regno Unito o in Brasile, ora avevano la certezza di avere il proprio tempio più vicino a loro.
Dopo il suo discorso, l’anziano Ashton e altri dirigenti della Chiesa diedero il primo colpo di piccone come cerimonia di avvio dei lavori. Altri santi si fecero avanti, desiderosi di partecipare. Non volendo farsi largo tra la folla, Julia e gli altri santi di Soweto si allontanarono. Alcuni dirigenti li videro e li invitarono a farsi avanti, a prendere una vanga e a dare il primo colpo di piccone. Julia era sicura che lo Spirito c’entrasse qualcosa nel fatto che fossero stati chiamati nelle prime file.
Nei mesi successivi, Julia trovò gioia servendo nella Società di Soccorso. Molte persone del suo ramo erano si erano convertite da poco e i membri esperti della Chiesa di altri rioni del palo fecero loro da mentori fino a quando non furono pronti a dirigere il ramo in autonomia. La presidentessa della Società di Soccorso, una donna bianca, chiamò Julia come sua prima consigliera.
Il ramo fu uno dei primi ad essere organizzato in un insediamento urbano abitato da cittadini di colore e si riuniva in un edificio di rione in un quartiere di Johannesburg. Per arrivarci, Julia e altri santi neri di Soweto dovevano prendere un taxi che attraversava la città e poi raggiungere a piedi la cappella. Dopo un qualche tempo, il ramo iniziò a riunirsi in una scuola superiore di Soweto e Julia fu contenta di poter frequentare la chiesa più vicino a casa.
Ma il nuovo luogo di riunione presentava delle sfide tutte sue. Ogni domenica mattina, i santi dovevano arrivare presto per pulire i pavimenti e le finestre e le sedie per mettere la scuola nelle condizioni idonee alla riunione sacramentale. Inoltre a volte la persona che si occupava dell’edificio prendeva delle doppie prenotazioni per guadagnare di più, lasciando i santi senza un posto dove riunirsi.
Presto, il palo di Johannesburg iniziò a chiamare sempre più santi neri come dirigenti nei rami dell’insediamento urbano. Nel suo ramo, Julia fu chiamata come nuova presidentessa della Società di Soccorso.
Si sentì immediatamente inadeguata. Sebbene fosse una dirigente della comunità esperta che sapeva come aiutare e motivare le persone, i santi del suo ramo erano abituati a dirigenti della Chiesa bianchi. Poteva quasi sentire i membri del suo ramo dubitare delle sue capacità e pensare: “È di colore, proprio come noi”.
Tuttavia, Julia rifiutò di lasciarsi prendere dallo sconforto. Sapeva che cosa era in grado di fare. E sapeva che il Signore sarebbe stato accanto a lei.