Capitolo 31
Sulla strada giusta
Il Tabernacolo di Salt Lake era quieto e silenzioso, il pomeriggio del 7 ottobre 1945, mentre George Albert Smith si alzava per rivolgersi ai Santi alla Conferenza generale. Aveva parlato molte volte nel Tabernacolo durante i suoi quattro decenni da apostolo, ma questa conferenza era la prima volta in cui si rivolgeva a tutta la Chiesa in veste di profeta del Signore.
Era appena tornato dopo aver dedicato il Tempio di Idaho Falls nell’Idaho sudorientale, un promemoria del fatto che l’opera degli ultimi giorni stava avanzando. Tuttavia, egli sapeva che i Santi di tutto il mondo stavano soffrendo dopo anni di privazioni e di guerra e ora essi guardavano a lui per ricevere guida e rassicurazione.
“Questo mondo avrebbe potuto essere libero dalle sue angosce da molto tempo”, disse il presidente Smith ai suoi ascoltatori, “se i figli degli uomini avessero accettato i consigli di Colui che diede tutto Se stesso”. Egli ricordò ai Santi l’invito del Salvatore ad amare il loro prossimo e a perdonare i loro nemici. “Questo è lo spirito del Redentore”, dichiarò, “e questo è lo spirito che tutti i Santi degli Ultimi Giorni devono cercare di avere se sperano un giorno di stare alla Sua presenza e ricevere dalle Sue mani un glorioso benvenuto a casa”1.
Tra i membri della Chiesa, il presidente Smith era noto come un dirigente gentile e amante della pace. Quando era più giovane, aveva redatto un credo personale come guida per la sua vita. “Non cercherei di costringere le persone a vivere secondo i miei ideali, ma le amerei tanto da indurle a fare le cose giuste”, scrisse. “Non vorrei consapevolmente ferire i sentimenti di alcuno, neppure di coloro che mi hanno fatto qualche torto, ma vorrei cercare di farli divenire amici miei facendo loro del bene”2.
Ora, nel guardare al futuro, il presidente Smith era particolarmente preoccupato di aiutare i Santi la cui vita era stata distrutta dalla guerra. In precedenza, quello stesso anno, aveva chiesto al Comitato della Chiesa per il programma di benessere di creare un piano per inviare cibo e indumenti in Europa. Poco dopo la Conferenza di ottobre, si incontrò con diversi apostoli per discutere dell’invio dei beni oltreoceano nel più breve tempo possibile.3
Inviare aiuti in Europa non era un compito semplice. La Chiesa aveva bisogno dell’aiuto del governo statunitense per coordinare gli sforzi in così tanti paesi. Per definire i dettagli, il presidente Smith si recò a Washington, DC con un piccolo gruppo di dirigenti della Chiesa.4
Arrivarono nella capitale della nazione un mattino nuvoloso di inizio novembre. Tra i loro numerosi incontri con i funzionari del governo e gli ambasciatori europei ci fu un appuntamento con Harry S. Truman, il presidente degli Stati Uniti. Il presidente Truman accolse cordialmente i dirigenti della Chiesa, ma li avvertì che non aveva senso dal punto di vista economico inviare cibo e indumenti in Europa dato che la sua economia era in cattive condizioni e le sue valute erano inaffidabili. “Il loro denaro non vale nulla”, disse al presidente Smith.5
Il profeta spiegò che la Chiesa non si aspettava di essere pagata. “Il nostro popolo lì ha bisogno di cibo e provviste”, disse. “Vogliamo aiutarli prima che sopraggiunga l’inverno”6.
“Quanto tempo vi occorrerà per essere pronti?”, chiese il presidente Truman.
“Siamo pronti ora”, rispose il profeta. Descrisse le scorte di cibo e provviste che i Santi avevano accumulato, insieme a oltre duemila trapunte cucite dalle Società di Soccorso durante la guerra. La Chiesa aveva semplicemente bisogno di aiuto per trasportare quei beni in Europa.
“Siete sulla strada giusta”, disse il presidente Truman, scioccato dalla preparazione dei Santi. “Saremo lieti di aiutarvi in ogni modo possibile”.7
Prima di andarsene, il presidente Smith disse al presidente Truman che i Santi degli Ultimi Giorni stavano pregando per lui. Il profeta gli consegnò una copia rilegata in pelle di A Voice of Warning, un trattato missionario scritto dall’apostolo Parley P. Pratt nel 1837.
Il presidente Smith era rimasto colpito dal fatto che, quando l’anziano Pratt era in vita, i Santi sopravvivevano a stento. Non avrebbero mai potuto inviare aiuti dall’altra parte dell’oceano a migliaia di persone in difficoltà. Nel corso del secolo precedente, tuttavia, il Signore aveva insegnato ai Santi come essere pronti per tempi difficili, e il presidente Smith era felice che ora potessero agire prontamente.8
Mentre la Chiesa si preparava a inviare aiuti in Europa, Helga Birth proseguiva il suo servizio come missionaria a Berlino. Mesi dopo la guerra, la Germania era ancora in dissesto. Sia la città di Berlino sia la nazione intera erano state divise in quattro zone, ciascuna sotto il controllo di una diversa nazione occupante. Dato che la guerra aveva lasciato la maggior parte di loro senza dimora, i santi tedeschi cercavano spesso aiuto da Helga e dagli altri missionari nella casa della missione. Herbert Klopfer, il presidente di missione agente nella Germania dell’est, era morto in un campo di prigionia sovietico, quindi furono i suoi consiglieri, Paul Langheinrich e Richard Ranglack, a dirigere gli sforzi per ministrare ai profughi.
Poiché avevano bisogno di più spazio per ospitare questi santi, i due uomini ricevettero dai capi militari il permesso di spostare la casa della missione all’interno di un palazzo abbandonato nella zona di Berlino ovest sotto il controllo americano. Nel frattempo, la città natia di Helga, Tilsit, si trovava in una parte della Germania sotto controllo sovietico e lei non aveva idea di come trovare suo padre e sua madre o suo fratello Henry, che era disperso in azione, né poteva scoprire facilmente dove si trovavano gli amici e gli ex membri del ramo.9
Nell’autunno del 1945 Helga ricevette una lettera da sua zia Lusche. Era trascorso più di un anno da quando erano sopravvissute all’attacco aereo che aveva ucciso i nonni e la zia di Helga, Nita. Ora, come scoprì Helga, l’esercito sovietico stava trattenendo Lusche e altri profughi tedeschi in un castello abbandonato nei pressi del confine tedesco-polacco. Le autorità sovietiche avevano deciso di liberarli, ma solo se avessero avuto dei parenti in grado di accoglierli. Helga rispose prontamente, invitando sua zia ad andare a vivere nella casa della missione.
Lusche arrivò a Berlino poco tempo dopo insieme a una donna di nome Eva, una lontana parente che era stata prigioniera con lei. Entrambe le donne avevano un aspetto scavato ed emaciato. Helga aveva patito molta fame e sofferenze durante la guerra, ma le storie di tortura e di privazioni di sua zia le scossero l’anima. La figlioletta di Eva era morta di freddo e di fame, e Lusche aveva pensato di togliersi la vita.10
Anche altri profughi santi degli ultimi giorni riuscirono ad arrivare alla casa della missione e Paul Langheinrich trovò loro un posto dove stare. Ben presto, oltre cento persone erano alloggiate e venivano sfamate sotto uno stesso tetto, ma del padre, della madre e del fratello di Helga non c’era traccia.
I soldati americani che erano stati missionari in Germania facevano spesso visita alla casa della missione. Un soldato portò dei sandwich da condividere, fatti con pane bianco morbido proveniente dagli Stati Uniti. Helga ne divorò avidamente uno, che però alleviò a malapena la fame implacabile che affliggeva lei e le sue coinquiline. A volte restavano giorni senza mangiare. Quando Helga riusciva ad acquistare un pasto o a trovarlo rovistando tra i rifiuti, le patate vecchie e il latte annacquato fornivano poco nutrimento. Era così debole che a volte non riusciva ad alzarsi dal letto.11
Nel gennaio 1946 giunsero buone notizie quando arrivò una lettera da suo padre, Martin Meiszus. Aveva perso l’occhio sinistro durante un attacco aereo verso la fine della guerra e aveva trascorso qualche tempo in un campo profughi in Danimarca. Ora si trovava nuovamente in Germania e viveva nella città di Schwerin, a 200 chilometri circa da Berlino.12 Paul e altri dirigenti di missione avevano viaggiato per la Germania per diversi mesi, cercando santi dispersi e aiutandoli a unire le forze per sopravvivere. Poiché stavano già programmando di far visita a Schwerin, invitarono Helga a unirsi a loro.13
Sul treno affollato, Helga faceva fatica a riscaldarsi mentre l’aria gelida soffiava attraverso le finestre rotte. Tra le mani teneva stretta una piccola scatola contenente alcuni pezzetti di cioccolata americana. Il dolce era poco, così aveva deciso di conservarlo per suo padre. Eppure, a volte teneva la cioccolata vicino al naso solo per respirarne il profumo delizioso.
A Schwerin, Helga fu felicissima di rivedere suo padre. Lui rimase sorpreso quando gli diede la cioccolata e provò a condividerla con lei. “Kindchen”, disse. Figlia cara.
“No, papà”, disse Helga. “Io ho avuto tanto da mangiare”. Ed era vero: non si sentiva più affamata. Era troppo sazia di felicità.14
Dall’altra parte del mondo, la divisione di Neal Maxwell nell’esercito degli Stati Uniti faceva parte della forza di occupazione nel Giappone continentale. Durante la guerra, il paese era stato devastato da migliaia di attacchi aerei e dalle bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki. Neal si era aspettato che i giapponesi lo avrebbero accolto come eroe conquistatore. Tuttavia, più di trecentomila civili giapponesi erano morti e la sua anima era straziata nel vedere il prezzo pagato dal popolo per la guerra.15
Ora Neal serviva come primo sergente di una compagnia di circa trecento uomini indisciplinati e demoralizzati, molti dei quali non volevano nient’altro che andare a casa. Anche se Neal aveva solo diciannove anni, i suoi superiori avevano deciso che era l’uomo giusto per mettere ordine nel gruppo. Neal non ne era così sicuro.16
“Qui faccio molte cose che richiedono una maturità di giudizio tale che tremo quando penso alla responsabilità”, scrisse in una lettera ai suoi genitori. “Sotto sotto sono ancora solo un ragazzo, così nostalgico di casa e giovane da non sapere cosa fare”17.
Eppure, trovò dei modi per avere successo come leader e conquistarsi il rispetto di alcuni degli uomini. Si rivolgeva spesso al suo Padre nei cieli in cerca di aiuto. Molte notti vagava da solo all’esterno per pregare, trovando una comunione più intima con Dio sotto il cielo punteggiato di stelle.18
Trovò forza anche tra gli altri soldati santi degli ultimi giorni. Durante tutta la guerra, i dirigenti della Chiesa avevano esortato i santi in servizio militare a riunirsi, prendere il sacramento e offrirsi sostegno spirituale reciproco. Nel Giappone post-bellico, così come a Guam, nelle Filippine e in altri luoghi del mondo, centinaia di militari santi degli ultimi giorni si riunivano.
Spesso, questi gruppi ebbero esperienze missionarie inaspettate. Poco dopo la fine della guerra, a dei militari santi degli ultimi giorni di stanza in Italia fu accordata un’udienza con papa Pio XII nella sede della Chiesa cattolica. Parlarono al papa della visita del Salvatore nell’emisfero occidentale e gli regalarono una copia del Libro di Mormon.19
In Giappone, nel frattempo, i santi locali che non frequentavano la chiesa da anni andavano in cerca dei gruppi di membri in servizio militare e partecipavano alle loro riunioni. Sotto il nuovo governo di occupazione, i giapponesi erano liberi di esplorare le proprie convinzioni religiose e alcuni soldati santi degli ultimi giorni invitarono i loro amici giapponesi a conoscere la Chiesa. Presto, i soldati americani come Neal si ritrovarono seduti fianco a fianco con i loro ex nemici, a prendere il sacramento e a imparare insieme il vangelo di Gesù Cristo.20
Neal aveva molti mesi di servizio militare da portare a termine prima di poter tornare a casa, ma le sue esperienze a Okinawa, e poi nel Giappone continentale, consolidarono il suo desiderio di svolgere una missione non appena gli fosse stato possibile.21
“C’è un campo di uomini maturi per il Vangelo che sono tanto cristiani quanto lo siamo noi”, scrisse alla sua famiglia a casa, “ma che hanno grande necessità del Vangelo affinché li guidi”22.
In Germania, Paul Langheinrich contattò il capo delle forze sovietiche a Berlino. Migliaia di profughi santi degli ultimi giorni vivevano ora in zone occupate dai sovietici e Paul si preoccupava del loro benessere. “A causa delle azioni incommensurabili di Hitler”, scrisse, “molti dei nostri membri vivono ora per le strade, senza casa né patria, esiliati e scacciati”.
Paul chiese al comandante il permesso di acquistare del cibo e di portarlo a questi Santi. In qualità di ex ricercatore genealogico per il governo tedesco, Paul si sentì anche spinto a chiedere il permesso di cercare i depositi segreti di importanti documenti, che i nazisti avevano nascosto in zone remote del paese per proteggerli da danni o furto. Dato che un giorno i santi tedeschi ne avrebbero avuto bisogno per svolgere il lavoro di tempio per i propri antenati, Paul voleva preservare questi registri.
“Questi registri non hanno alcun valore per voi”, scrisse al comandante. “Per noi, sono inestimabili”23.
Una settimana dopo, Paul ricevette il permesso di acquistare tutto il cibo di cui i membri della Chiesa avevano bisogno. Per quanto riguardava i registri genealogici, se fossero riusciti a trovarli i Santi sarebbero stati liberi di tenerli.24
Alla fine Paul venne a conoscenza di una raccolta di documenti presso il castello di Rothenburg, a sudovest di Berlino. In una giornata gelida di febbraio del 1946, lui e sedici missionari locali salirono lungo una strada ghiacciata diretti al vecchio castello, che si ergeva in cima a una collina ripida. Una volta all’interno trovarono cumuli di registri parrocchiali, microfilm e libri contenenti genealogie tedesche.25
Diversi registri erano centenari e contenevano migliaia di nomi e di date, in parte scritti in splendida calligrafia tedesca. Lunghe pergamene riportavano alberi genealogici illustrati con colori vivaci. Gran parte del deposito era in buone condizioni, anche se alcuni registri erano ricoperti di ghiaccio e neve e non sembravano recuperabili.26
Una volta che Paul e i missionari ebbero preso possesso dei registri, non restava altro da fare che trasportarli in sicurezza giù dalla collina. Paul si era accordato affinché un furgone e un rimorchio a noleggio caricassero i documenti e li portassero a un vagone merci diretto a Berlino. Tuttavia, col passare del tempo, il furgone non arrivava.27
Alla fine apparve un missionario che arrancava su per la collina. Il furgone era bloccato a metà salita, con le ruote che giravano a vuoto sulla strada ghiacciata.28
Paul decise che era giunto il momento di pregare. Chiese a tre missionari di andare con lui nel bosco, dove implorarono l’aiuto del Signore. Nel momento in cui dissero “amen”, udirono il rumore di un motore e videro il furgone sbucare dalla curva.
Il conducente disse a Paul di aver staccato il rimorchio per raggiungere il castello. Voleva fare dietrofront e andarsene, ma Paul lo convinse a rimanere e ad aiutarli a trasportare quanti più registri possibile giù per la strada scivolosa. Senza il rimorchio, però, il furgone non era abbastanza grande da trasportare tutti i registri. Se volevano portare via tutto in tempo per prendere la coincidenza con il vagone merci il giorno seguente, il ghiaccio sulla strada avrebbe dovuto sciogliersi. Ancora una volta, Paul e i missionari si rivolsero a Dio in preghiera.29
Quella notte cadde una pioggia tiepida. Al mattino, quando Paul si svegliò, le strade erano libere dal ghiaccio. Paul scoprì inoltre che il vagone merci era stato posticipato di alcuni giorni, lasciando ai missionari il tempo necessario per caricare tutti i beni recuperabili. Paul non poté negare il ruolo di Dio in quella manifestazione meravigliosa, ed era grato di essere uno strumento nelle Sue mani.
Quando l’ultima parte del loro carico raggiunse la stazione ferroviaria, Paul e gli altri offrirono una preghiera finale. “Abbiamo fatto la nostra parte”, dissero in preghiera. “Ora, caro Dio, abbiamo bisogno che Tu porti questo vagone merci a Berlino”.30
Il 22 maggio 1946, Arwell Pierce, presidente della Missione messicana, si trovava con il presidente George Albert Smith in cima alla Piramide del Sole, un sito storico famoso appena a nordest di Città del Messico. La piramide di pietra, un tempo centro di un’antica città poi nota come Teotihuacán, svettava nel cielo per sessanta metri e offriva viste spettacolari del paesaggio circostante. Anche se ormai si avvicinava all’ottantina, il presidente Smith era salito con relativa facilità sulle numerose scale della piramide, scherzando con Arwell e con i missionari che erano insieme a loro.31
Arwell era felice che il profeta fosse venuto in Messico. Era la prima volta in assoluto che un presidente della Chiesa faceva il giro della missione e la visita significava molto per i santi locali. Nell’ultimo decennio, la Chiesa in Messico era stata divisa tra il corpo principale dei Santi e le milleduecento persone che si erano unite alla Terza Convenzione. La visita del presidente Smith offriva una reale possibilità di riconciliazione, una cosa che Arwell aveva cercato diligentemente nel corso dei quattro anni precedenti.32
Quando Arwell era diventato presidente della Missione messicana nel 1942, lo scisma tra gli aderenti alla Terza Convenzione e gli altri santi messicani era profondo. Quando Arwell era stato messo a parte dalla Prima Presidenza, J. Reuben Clark gli aveva affidato l’incarico di cercare di sanare la frattura.33
Inizialmente, i Convenzionisti erano sospettosi nei confronti del nuovo presidente di missione. Come i suoi predecessori, Arwell era cittadino americano e i Convenzionisti non lo accolsero cordialmente. Invece di provare a costringerli a rendersi conto dell’errore della loro condotta, Arwell decise di guadagnarsi la loro fiducia e la loro amicizia.
Cominciò a partecipare alle riunioni della Terza Convenzione e instaurò un’amicizia con Abel Páez, il capo dell’organizzazione, oltre che con altri Convenzionisti. Più tempo trascorreva con loro, più pensava che la riunificazione fosse possibile. I Convenzionisti avevano ancora fede nella dottrina fondamentale del vangelo restaurato. Continuavano a portare avanti i programmi della Chiesa e credevano nel Libro di Mormon. Arwell era convinto che sarebbero ritornati, se fosse riuscito ad aiutarli a vedere tutto ciò che stavano perdendo separandosi dal corpo dei Santi. Tuttavia, avrebbe dovuto procedere con cautela.
“In passato non abbiamo fatto granché bene usando metodi bruschi”, riferì alla Prima Presidenza. “Auguriamoci che la gentilezza e il ragionare in modo assennato e paziente possano portare a qualcosa di buono”34.
Sotto la direzione della Prima Presidenza, Arwell diresse gli sforzi per costruire o ristrutturare diverse cappelle in Messico, affrontando una carenza che aveva reso inquieti i Convenzionisti quando inizialmente si erano separati dalla Chiesa. Inoltre, si incontrò spesso con Abel per esortarlo a cercare una riconciliazione. “Ciò di cui voi avete bisogno qui in Messico è un’organizzazione di palo”, disse ad Abel e ai Convenzionisti. “Non potremo avere un palo in Messico fino a quando non saremo più uniti”35.
Ricordò ad Abel che i Convenzionisti stavano rinunciando alle benedizioni del tempio. Nel 1945 furono celebrate le prime investiture in lingua spagnola nel Tempio di Mesa, in Arizona. Anche se molti santi messicani non potevano permettersi il viaggio fino a Mesa, Arwell disse di essere convinto che un giorno in Messico ci sarebbero stati dei templi in cui Abel e molti degli altri Convenzionisti sarebbero potuti entrare.36
Un giorno, Arwell ricevette una telefonata da Abel. Lui e alcuni altri dirigenti della Terza Convenzione volevano incontrarsi con Arwell per discutere di una riconciliazione. Gli uomini parlarono per quasi sei ore. Alla fine, dopo aver riconosciuto i modi in cui avevano sbagliato, Abel e gli altri decisero di presentare istanza alla Prima Presidenza per essere riammessi come membri della Chiesa. Il presidente Smith e i suoi consiglieri esaminarono la richiesta e decisero che, se fossero stati disposti a interrompere il loro rapporto con il gruppo e a sostenere il presidente della Missione messicana, i Convenzionisti sarebbero potuti essere nuovamente membri della Chiesa di Gesù Cristo.37
Ora, mentre facevano insieme il giro della missione, Arwell e il presidente Smith parlarono con i Convenzionisti che desideravano tornare nella Chiesa. “Qui non c’è stata alcuna ribellione”, osservò il presidente Smith, “ma solo un’incomprensione”38.
Il 25 maggio 1946 Arwell portò il presidente Smith nel Ramo di Ermita a Città del Messico. Più di mille persone, molte delle quali membri della Terza Convenzione, affollarono la piccola cappella e un padiglione esterno per ascoltare il profeta. Alcuni Convenzionisti temevano che il presidente Smith li avrebbe condannati, ma egli parlò invece di armonia e riunificazione. In seguito, la maggior parte dei Convenzionisti si impegnò a fare pieno ritorno nella Chiesa.39
Alcuni giorni dopo, a una riunione di quasi cinquecento Santi nella città di Tecalco, Abel ringraziò il presidente Smith per essersi recato in Messico. “Il nostro scopo è seguire la guida e le istruzioni delle Autorità generali della nostra Chiesa e il presidente della Missione messicana”, disse alla congregazione. “Noi stiamo seguendo un profeta del Signore”40.