Capitolo 35
Mano nella mano
All’inizio del 2006, Willy Binene non vedeva l’ora di trasferirsi a Kinshasa, la capitale della Repubblica Democratica del Congo, per continuare la sua formazione in ingegneria elettrica. Per tredici anni aveva lavorato come contadino nel villaggio di Luputa, a circa millecinquecento chilometri dalla città.
Adesso era sposato con una giovane donna di nome Lilly, che aveva battezzato mentre serviva come missionario di ramo. Avevano avuto due figli, ma negli ultimi due anni Lilly e i bambini avevano vissuto a Kinshasa mentre Willy era riuscito a guadagnare abbastanza denaro per ricongiungersi con loro e riprendere gli studi.
Il 26 marzo il presidente di missione William Maycock organizzò il primo distretto di Luputa e chiamò Willy a servire come suo presidente. Willy non si sentiva sicuro di se stesso, ma abbandonò comunque i suoi piani per trasferirsi e accettò la chiamata. Poco tempo dopo, Lilly e i bambini tornarono a Luputa e Willy accolse le sue nuove responsabilità con loro al suo fianco.
Era solo uno dei tanti membri che avevano accettato una chiamata per dirigere la Chiesa in Africa. Quasi trent’anni dopo l’arrivo dei primi missionari a tempo pieno in Ghana e in Nigeria, la Chiesa era cresciuta fino contare più di duecentomila membri in tutto il continente. Erano presenti dei pali nella Repubblica Democratica del Congo, in Kenya, nella Repubblica del Congo, in Ghana, in Costa d’Avorio, in Liberia, in Madagascar, in Nigeria, in Sudafrica e nello Zimbabwe. Il bisogno di dirigenti locali forti, saldamente radicati negli insegnamenti del Salvatore e della Sua Chiesa restaurata, era costante.
Un ivoriano di nome Norbert Ounleu entrò a far parte della Chiesa nel 1995 quando era uno studente universitario. Due anni dopo, divenne vescovo quando fu organizzato il primo palo in Costa d’Avorio. Tre anni dopo, divenne presidente di palo nel momento in cui il suo palo fu diviso. Cinque anni dopo, lui e sua moglie, Valerie, ricevettero la chiamata come dirigenti della nuova missione di Abidjan, in Costa d’Avorio.
In questo stesso periodo, Abigail Ituma, ex giornalista televisiva e DJ radiofonica, servì come presidentessa della Società di Soccorso nel suo rione a Lagos, in Nigeria. Simpatica ed estroversa, ad Abigail piaceva portare un sorriso sul volto di tutti coloro che la circondavano. Molte delle donne del suo rione avevano smesso di andare in chiesa, così riportarle indietro divenne la sua missione. Chiamò una di queste donne come sua seconda consigliera e non passò molto tempo prima che le due trascorressero tante ore insieme per incontrarsi con le sorelle e invitarle in chiesa.
Abigail credeva nel potere dei legami con le persone. La domenica, lei e le sue consigliere tenevano numerose lezioni sull’insegnamento in visita. All’inizio, nessuna sembrava particolarmente intenzionata ad aderire al programma. Abigail però era una persona tenace e, dopo un po’, sempre più sorelle cominciarono a ministrarsi a vicenda. La frequenza alle riunioni della Società di Soccorso iniziò a migliorare.
Nel frattempo, in Kenya, Joseph e Gladys Sitati erano molto noti per il loro servizio nella Chiesa e per la loro devozione a Gesù Cristo. Prima del loro battesimo nel marzo del 1986, i Sitati non erano una famiglia religiosa. A volte frequentavano le chiese cristiane locali, ma non si sentivano mai davvero nutriti a livello spirituale. Joseph spesso trascorreva la domenica a lavorare o a giocare a golf.
Quando abbracciarono il vangelo restaurato tutto cambiò. I Sitati si sentivano a loro agio nella Chiesa e, quando divenne una parte integrante della loro vita, cominciarono a trascorrere più tempo insieme in famiglia. Joseph servì per tanti anni come presidente di ramo e di distretto e aiutò la Chiesa a essere riconosciuta ufficialmente in Kenya nel 1991. Quando, nel 2001, venne organizzato il Palo di Nairobi, in Kenya, ricevette la chiamata come suo presidente. Tre anni dopo, nell’aprile del 2004, divenne Settanta-Autorità di area. Nel frattempo, Gladys servì come presidentessa della Società di Soccorso di ramo e come insegnante di Scuola Domenicale, Primaria, Giovani Donne, Società di Soccorso e Seminario.
Nel 1991, i Sitati si recarono al Tempio di Johannesburg, in Sudafrica, e divennero la prima famiglia keniota a essere suggellata per il tempo e per l’eternità.
“Riflettendo su ciò che avevamo passato”, ricordò in seguito Joseph, “fu abbondantemente chiaro a tutti noi che non era possibile iniziare a comprendere il vero significato del vangelo di Gesù Cristo se non dopo il suggellamento nel tempio”.
Tornato a Sydney, in Australia, il diciottenne Blake McKeown stava per diplomarsi e aveva bisogno di un piano. Se avesse iniziato l’università, non gli sarebbe stato consentito di interrompere gli studi per più di un anno. E poiché intendeva svolgere una missione di due anni al compimento dei diciannove anni, decise di cercarsi un lavoro stagionale dopo il diploma, piuttosto che seguire molti dei suoi coetanei all’università.
Blake aveva prestato servizio come bagnino in una piscina vicino a casa sua e il lavoro gli era piaciuto. Di recente Bondi Rescue, un nuovo reality show televisivo dedicato ai bagnini della celebre Bondi Beach di Sydney, gli aveva fatto prendere in considerazione la possibilità di lavorare come bagnino in spiaggia. Sebbene Bondi Beach si trovasse a più di sessanta chilometri da casa sua, decise di partecipare a un programma di “esperienza lavorativa” della durata di una settimana, che gli fece conoscere le mansioni quotidiane di quel tipo di attività. Sostenne anche il test di idoneità fisica richiesto a tutti coloro che volevano svolgere quel lavoro.
Il test era difficile, ma Blake era pronto ad affrontarlo. Quando era diacono, si era interessato all’atletica dopo aver praticato mountain bike con i giovani del suo palo. Sebbene all’inizio del ventesimo secolo la Chiesa avesse inserito lo scoutismo come parte del suo programma per i giovani uomini, nella maggior parte dei paesi al di fuori degli Stati Uniti e del Canada era raramente praticato. In Australia, lo scoutismo era praticato da circa un terzo delle unità locali e il palo di Blake non era tra queste. In questi casi, i dirigenti utilizzavano una guida speciale preparata dalla Chiesa per pianificare le attività dei Giovani Uomini.
Il dirigente che aveva organizzato le uscite in mountain bike dei giovani uomini, Matt Green, fece conoscere a Blake il triathlon, uno sport che accomuna il nuoto, il ciclismo e la corsa. Sotto l’addestramento e la guida di Matt, Blake aveva sviluppato disciplina e concentrazione. Quando dovette affrontare il test di idoneità fisica a Bondi Beach, gli anni passati da Blake ad allenarsi e competere diedero i loro frutti. Ottenne un buon risultato e fu assunto come apprendista bagnino.
Dopo il diploma di scuola superiore, Blake iniziò a lavorare tutti i giorni in spiaggia. Il lavoro non gli avrebbe garantito un passaggio televisivo nelle puntate di Bondi Rescue, ma i produttori dello show ben presto chiesero alle troupe di riprenderlo mentre imparava a utilizzare i dispositivi di soccorso, aiutava i bagnanti e faceva rispettare il regolamento della spiaggia. Ripresero anche il momento in cui, per la prima volta, effettuò un salvataggio di una persona in difficoltà nelle acque dell’oceano.
Blake amava questo lavoro. Quale unico membro della Chiesa tra il personale, era intimidito dagli altri bagnini la cui vita e i cui valori erano molto diversi dai suoi. Ma, pur stando con loro, non si era mai sentito spinto ad abbassare gli standard per adeguarsi a loro.
All’inizio del 2007, Blake e gli altri bagnini intervennero dopo l’avvistamento di un uomo in difficoltà in un punto particolarmente pericoloso dell’oceano. Le ricerche si protrassero per quarantacinque minuti, ma non c’era nessun segno di persone in pericolo o vittime di annegamento e nessuno dei venticinquemila bagnanti aveva segnalato la scomparsa di un amico o di un familiare. Alla fine, i bagnini rinunciarono alla ricerca, sperando che chiunque fosse stato avvistato avesse avuto la possibilità di tornare a riva.
Due ore dopo, un giovane si avvicinò a Blake presso la torre dei bagnini. Disse che non riusciva a trovare suo padre. “Resta un attimo qui”, disse Blake al ragazzo. Andò subito a informare gli altri bagnini.
Il gruppo si precipitò di nuovo in mare con le tavole di salvataggio e una moto d’acqua. Contattarono anche un elicottero della polizia perché effettuasse una ricognizione. Blake, nel frattempo, restò con il giovane e sua madre, facendo alcune domande sull’uomo scomparso. Tuttavia, anche se Blake si rivolgeva a loro con la massima tranquillità, temeva per la sorte di quel marito e padre.
Mentre il sole calava, uno dei soccorritori vide qualcuno in acqua, sotto le onde. Un bagnino si tuffò riportandolo a riva. Cercarono di rianimarlo, ma era troppo tardi.
A questa notizia, Blake rimase sconcertato. Come avevano potuto lui e gli altri bagnini lasciarsi sfuggire quest’uomo in difficoltà, soprattutto quando la spiaggia era così ben sorvegliata? Blake non aveva mai pensato molto alla morte e nessuno dei suoi cari era mai morto. Ora la morte si era fatta estremamente reale.
Era tardi quando Blake terminò di lavorare quella sera. Pensando all’insensata tragedia alla quale aveva appena assistito, si trovò a riflettere sul piano di salvezza. Per tutta la vita gli era stato insegnato che la morte non era la fine dell’esistenza, che Gesù Cristo aveva dato a tutti la possibilità di levarsi nella risurrezione.
Nelle settimane che seguirono, la fede in questi principi gli diede conforto.
Il 31 marzo 2007 i Santi sostennero Julie B. Beck, Silvia H. Allred e Barbara Thompson come nuova presidenza generale della Società di Soccorso. All’epoca, Silvia stava servendo al fianco del marito, Jeff, che era presidente del Centro di addestramento per i missionari della Repubblica Dominicana. Sebbene le fosse piaciuto stare tra i missionari nei Caraibi, non vedeva l’ora di lavorare con le donne della Chiesa. Questa nuova chiamata la rese la prima latino-americana a servire nella presidenza generale della Società di Soccorso.
Poco tempo dopo, Boyd K. Packer, il presidente facente funzione del Quorum dei Dodici Apostoli, invitò la nuova presidenza a incontrarsi con lui nel suo ufficio. Quando arrivarono, mostrò loro una fila di raccoglitori su uno scaffale. “Sono qui da ormai quindici anni”, spiegò.
All’interno dei raccoglitori c’erano più di mille pagine di storia della Società di Soccorso. Decenni prima, quando era un giovane apostolo, era stato l’autorità generale consulente della Società di Soccorso e aveva maturato un’immensa ammirazione per l’organizzazione e per la presidentessa di allora, Belle Spafford. In seguito, aveva chiesto alle scrittrici Lucile Tate ed Elaine Harris di redigere una storia della Società di Soccorso per uso personale. Il loro lavoro era contenuto nei raccoglitori.
“Queste sono le mie copie personali”, disse alla nuova presidenza. “Le consegno a voi”.
Sotto la direzione della presidentessa Bonnie D. Parkin, il consiglio generale della Società di Soccorso aveva studiato il volume Women of Covenant: The Story of Relief Society [donne dell’alleanza: la storia della Società di Soccorso], una lunga storia pubblicata in occasione del centocinquantenario dell’organizzazione nel 1992. La presidentessa Beck e le sue consigliere si sentirono quindi spinte a leggere la storia contenuta in quei raccoglitori; se li divisero e a turno studiarono i diversi volumi. Mentre leggevano, acquisirono un chiaro senso della visione e dello scopo della loro organizzazione.
La Società di Soccorso, compresero, fu istituita originariamente mediante l’autorità del sacerdozio. Le sue attività e le sue finalità erano cambiate nel corso degli anni, con alcune presidenze che si erano dedicate ad aprire ospedali o si erano concentrate sul lavoro sociale, sull’alfabetizzazione o su qualche altro tipo di servizio. Dare alle donne la possibilità di esporre il vangelo di Gesù Cristo e di portare soccorso ai bisognosi era comunque sempre stato il cardine dell’opera dell’organizzazione.
Tuttavia, la presidenza era preoccupata che la Società di Soccorso fosse diventata solo un’altra classe a cui partecipare la domenica. Le riunioni e le attività infrasettimanali della Società di Soccorso, specialmente dove la Chiesa e i suoi membri erano ben radicati, erano spesso eventi sociali che avevano poco a che fare con il servizio o l’insegnamento del Vangelo. Molti membri non conoscevano gli inizi ispirati dell’organizzazione o la sua profonda storia. Soprattutto le donne più giovani mostravano poco entusiasmo per questi aspetti. La presidenza credeva che le donne della Chiesa avessero bisogno di trovare forza e valore nella loro identità di sorelle della Società di Soccorso.
Mentre parlava della Società di Soccorso passata e presente, la presidenza pensò al messaggio e allo scopo principali dell’organizzazione per tutte le sorelle della Chiesa nel mondo. Ogni componente della presidenza aveva vissuto al di fuori degli Stati Uniti e sapeva di dover preparare un messaggio chiaro e semplice che potesse unire e ispirare i membri della Società di Soccorso nonostante le differenze di lingua, cultura ed esperienze.
Insieme, la presidenza riuscì a individuare tre finalità della Società di Soccorso: primo, migliorare la rettitudine e la fede personali; secondo, rafforzare le famiglie e le case; e terzo, cercare i bisognosi e prestare loro soccorso. Andando avanti, decisero di promuovere “la fede, la famiglia e il soccorso” in ogni occasione.
Uno dei loro primi incarichi fu quello di revisionare la sezione dedicata alla Società di Soccorso del Manuale di istruzioni della Chiesa. Come la precedente presidenza generale della Società di Soccorso sapeva, il linguaggio complesso del manuale poteva essere difficile da leggere e comprendere per alcuni membri. La presidenza della presidentessa Beck pensava che alcune linee guida fossero più adatte ai membri della Chiesa nello Utah che ai santi del resto mondo. Come altri dirigenti della Chiesa all’epoca, volevano un manuale di più facile lettura che desse ai membri della Chiesa la flessibilità necessaria per adattarsi alle esigenze e alle circostanze locali.
L’attuale manuale dedicava più di venti pagine alla Società di Soccorso. La presidentessa Beck sperava di produrre qualcosa di molto più breve e più semplice. Basandosi su fede, famiglia e soccorso, la presidenza riuscì a redigere un documento di quattro pagine da sottoporre all’anziano Dallin H. Oaks, l’apostolo che supervisionava la revisione. Sebbene valutasse positivamente il loro lavoro, raccomandò di aggiungere altre istruzioni. Lo ampliarono fino a raggiungere le dodici pagine e poi fu approvato.
Il manuale era solo uno dei molti progetti della Società di Soccorso. Mentre aiutava nella revisione, Silvia lavorò nei comitati dedicati all’addestramento, all’insegnamento in visita e all’integrazione delle nuove sorelle nella Società di Soccorso. Viaggiò anche per il mondo per incontrare le sorelle della Società di Soccorso e rispondere alle loro esigenze.
Lei e le altre componenti della presidenza erano determinate ad aiutare tutti a cogliere la visione della Società di Soccorso.
Nel maggio del 2007, Silvina Mouhsen, una santa degli ultimi giorni che viveva a Buenos Aires, in Argentina, era in difficoltà. Negli ultimi due anni aveva dato sostegno a sua sorella, alla quale erano state diagnosticate la depressione e una grave psicosi. In quel periodo, Silvina si era trovata ad affrontare anche la morte di un parente stretto, aveva dato alla luce il suo terzo figlio e aveva servito come presidentessa della Società di Soccorso di rione. Nel frattempo, suo marito, David, stava cercando di ottenere una promozione al lavoro, continuare gli studi e servire nella Chiesa. A causa dei loro impegni spesso in contrasto, durante la settimana si vedevano appena.
Silvina arrivò a far fatica ad alzarsi dal letto la mattina e si ritrovò a commettere errori sconcertanti. In un’occasione, era andata in auto al supermercato e all’improvviso non riusciva a ricordare dove si trovava. Un altro giorno era andata a prendere suo figlio Nicolás a scuola e aveva per sbaglio afferrato la mano di un altro bambino. Più di recente, aveva portato sua figlia a una festa nel giorno sbagliato.
Quando Silvina parlò al medico di questi episodi, lui le disse che erano sintomi di depressione. Le consigliò di andare in terapia, di prendere un’aspettativa dal suo lavoro di insegnante e di assumere dei farmaci.
Silvina fece moltissima fatica ad accettare questi consigli. Prendendosi cura di sua sorella aveva imparato che le malattie mentali erano complesse, a volte derivanti da fattori genetici che andavano al di là del controllo di chiunque. Eppure si era sempre considerata una persona forte — qualcuno che si prendeva cura degli altri durante le difficoltà — non una persona che poteva ritrovarsi essa stessa in difficoltà. Per un po’, condivise con poche persone la sua diagnosi.
Mentre rifletteva sulla salute mentale, sua e di sua sorella, Silvina notò che anche altre persone avevano problemi con sintomi simili. Eppure nessuno ne parlava. Una donna in chiesa aveva problemi di salute mentale che le impedivano di partecipare alle riunioni della Chiesa. Ogni volta che chiedeva aiuto ai suoi dirigenti locali, di solito le suggerivano di avvicinarsi a Dio e di confidare in Lui per risolvere i suoi problemi.
Per esperienza personale, Silvina sapeva che questa era solo una soluzione parziale ai problemi e incoraggiò la donna a cercare un aiuto professionale. Mesi dopo, Silvina scoprì che la donna aveva seguito il suo consiglio e stava migliorando.
Negli ultimi anni la Chiesa aveva affrontato in modo più aperto la malattia mentale, esortando i Santi ad agire con compassione nei confronti di coloro che si trovavano in difficoltà. Mise anche a disposizione alcune risorse per la salute mentale. Il Dipartimento dei servizi sociali della Società di Soccorso, ora chiamato Servizi di consulenza della Chiesa per la famiglia, offriva da tempo consulenza e altre forme di assistenza per la salute mentale dei membri della Chiesa. Sebbene i Servizi di consulenza per la famiglia operassero solo negli Stati Uniti, in Canada, in Australia, in Nuova Zelanda, in Gran Bretagna e in Giappone, questi si stavano espandendo anche in altri paesi, tra cui l’Argentina. Alcuni centri dei Servizi di benessere del Sud America, come quelli cileni, mettevano a disposizione la consulenza di terapeuti qualificati. La Chiesa forniva anche un supporto dedicato alla salute mentale durante le calamità naturali. Dopo lo tsunami verificatosi nell’Oceano Indiano, per esempio, i Servizi di consulenza della Chiesa per la famiglia condussero un addestramento nella regione colpita per aiutare le persone ad affrontare il trauma e le perdite.
Quando seguì il consiglio del medico, la salute di Silvina migliorò. Oltre alla terapia, al riposo e alle medicine, trovava conforto nell’esercizio fisico e nella musica. Cercava anche dei modi per trovare un equilibrio nella sua vita. A casa, lei e David trascorrevano più tempo insieme. A volte si ritrovavano al tempio dopo il lavoro per poter svolgere una sessione di investitura. Altre volte, andavano semplicemente al supermercato insieme.
Silvina trovò ulteriore forza nel proclama sulla famiglia. Insegnava che le figlie e i figli di spirito di Dio avevano accettato il Suo piano nella vita preterrena, e questo rendeva loro possibile progredire verso un destino divino come “eredi della vita eterna”. Conoscere questa verità le diede uno scopo, una direzione e una prospettiva mentre si trovava ad affrontare le sue difficoltà.
In chiesa, faceva più affidamento sulle sue consigliere nella presidenza della Società di Soccorso che la aiutavano ad adempiere ai suoi doveri. Si appoggiò al Salvatore e la sua fede in Lui iniziò ad avere un nuovo significato per lei. Ogni domenica ascoltava con più attenzione le preghiere sacramentali, che divennero un’opportunità per riflettere più profondamente sull’ordinanza. Una sera, David le impartì una benedizione del sacerdozio, promettendole che la sua mente avrebbe funzionato nel modo che a lei serviva. Anche i suoi amici pregarono per lei e suo fratello inserì il suo nome nella lista della preghiera del tempio.
Grazie a queste esperienze, Silvina crebbe in spirito. Si rese conto che il Salvatore conosceva perfettamente le sue difficoltà. Non doveva affrontarle da sola.
Amici, familiari e il Signore erano lì per sostenerla nel suo percorso di guarigione.
Nel giugno del 2007, Hector David Hernandez tornò da lezione esausto. Sotto i suoi occhi c’era un’ombra scura mentre si sedeva vicino a sua moglie, Emma, e le confidava di essersi addormentato in classe.
Era passato un anno e mezzo da quando Emma e Hector David erano stati suggellati nel Tempio di Città del Guatemala. Ora entrambi frequentavano dei corsi presso un’università pubblica vicino a casa loro, in Honduras. Oltre a conciliare il lavoro, la scuola e il matrimonio, si occupavano del loro figlio neonato, Oscar David.
L’università che frequentavano offriva una selezione limitata di corsi ogni semestre, il che significava che Emma e Hector David avrebbero impiegato più tempo per laurearsi. Inoltre, il fatto di essere neogenitori comportava molte notti insonni, con conseguenti ripercussioni sull’impegno universitario.
Mentre erano ancora seduti, Hector David disse inoltre a Emma di aver appena saputo i suoi voti.
“Non sono andato molto bene”, disse, frustrato.
Emma si rese conto che qualcosa avrebbe dovuto cambiare. Mentre discutevano delle loro opzioni, pensò al Fondo perpetuo per l’istruzione. Erano anni che pensava al programma di prestiti della Chiesa, ma lei e Hector David avevano sempre voluto essere autosufficienti. Ora si sentivano spinti a cambiare i loro piani.
“E se tu frequentassi un’università privata e usassimo il Fondo perpetuo per l’istruzione?”, suggerì Emma.
Hector David sognava di laurearsi in ragioneria presso l’università che frequentavano; ma l’università privata di cui parlava Emma offriva un corso di laurea in finanza molto simile. Inoltre, prevedeva tre sessioni all’anno, il che significava che avrebbe potuto frequentare più corsi e laurearsi prima. Nel frattempo, il Fondo perpetuo per l’istruzione avrebbe potuto aiutarli a pagare la retta universitaria che era piuttosto cara.
“Ok”, accettò Hector David. Ma voleva che anche Emma potesse usare il Fondo per raggiungere i suoi obiettivi accademici. “Noi studieremo”, disse. “Io studierò. E tu studierai”.
“Va bene”, disse Emma, emozionata per quel piano.
Chiesero quindi insieme un prestito al Fondo e si iscrissero all’università privata. Emma fece un atto di fede e lasciò il suo lavoro in banca, per avere più tempo da trascorrere a casa con Oscar David.
Le persone che usufruivano del Fondo perpetuo per l’istruzione dovevano seguire un corso per prepararsi a un futuro impiego. Il corso offriva risorse per aiutare i partecipanti a scoprire quale fosse il percorso lavorativo per loro ideale e a prepararsi per raggiungerlo.
Uno dei compiti dati a Emma fu quello di mettere per iscritto i suoi talenti e interessi. Specificò di essere una persona creativa e di essere interessata all’aspetto pubblicitario delle attività economiche. Ebbe quindi l’opportunità di parlare con persone impiegate nei settori del marketing e della grafica. Dopo quei colloqui, Emma decise di cambiare la sua specializzazione da economia aziendale a marketing e pubblicità.
Non sapeva granché di queste materie, ma quando prese posto alla prima lezione di marketing presso l’università privata, capì di essere nel posto giusto.
“Questo è ciò per cui sono nata”, pensò.
Pur con l’aiuto economico del Fondo, essere uno studente e un genitore non era facile. Lei e Hector David continuarono ad affrontare notti insonni e difficoltà a conciliare le loro responsabilità. C’erano giorni nei quali Emma si chiedeva se dovesse lasciare momentaneamente la sua istruzione e riprenderla in seguito.
Ma nei momenti difficili lei e Hector David si ripetevano un motto: “È questo il momento”.
Il 12 gennaio 2008, il presidente Gordon B. Hinckley si trovava davanti alla tomba di sua moglie, Marjorie, nel cimitero di Salt Lake City. Erano passati quasi quattro anni dalla sua morte. Si era ammalata durante il volo di ritorno dalla dedicazione del Tempio di Accra in Ghana ed era deceduta pochi mesi dopo, il 6 aprile 2004.
Insieme, il presidente e la sorella Hinckley avevano attraversato il mondo, ministrando ai membri della Chiesa e godendo della reciproca compagnia. Gli mancava immensamente. Solo il suo servizio nella Chiesa e la sua famiglia gli impedivano di essere sopraffatto dalla solitudine.
Il presidente Hinckley cercava di visitare la tomba ogni settimana per lasciare dei fiori e meditare sui loro sessantasei anni di matrimonio. Temeva che alcune persone potessero pensare che visitasse la tomba troppo spesso. Ma lui ci andava comunque.
“Lei era tutto ciò che avevo, la persona che mi era più cara”, si trovò a riflettere una volta. “Il minimo che posso fare è lasciare un’espressione di bellezza ogni settimana”.
Durante questa visita, si accorse che sulla tomba c’erano ancora delle composizioni floreali risalenti alle settimane precedenti e il presidente Hinckley decise di lasciarle lì ancora un po’.
Poco tempo dopo, il profeta decise di dettare i suoi desideri per il suo funerale. A novantasette anni era il presidente vivente della Chiesa più anziano della storia. Alcuni anni prima era sopravvissuto a un’operazione chirurgica per la rimozione di un tumore, ma ora il cancro si era diffuso. Sapeva che il suo tempo sulla terra stava per finire.
“Desidero essere sepolto in una bara di ciliegio, proprio come mia moglie”, dettò. Sperava che il suo funerale potesse tenersi nel Centro delle conferenze, anche se ciò significava che ci sarebbero stati posti vuoti in quell’enorme auditorium.
“Ho dato il primo colpo di piccone, l’ho dedicato”, spiegò “e penso che sia appropriato che il mio funerale si tenga lì”.
Il presidente Hinckley non voleva un funerale lungo. Disse che non avrebbe dovuto durare più di novanta minuti, proprio come riportato nel Manuale di istruzioni della Chiesa. Chiese, inoltre, che la cerimonia fosse diretta dal suo primo consigliere di lunga data, il presidente Thomas S. Monson. Chiese anche che il Tabernacle Choir cantasse “Vive il Redentor”, un inno che aveva scritto anni prima:
Io so che vive il Redentor,
trionfante e santo Salvator;
la morte vinse e debellò,
il mio Re, il mio Signor.
Alla fine delle disposizioni per il suo funerale, il profeta menzionò la sorella Hinckley. Egli aveva ogni certezza che le loro alleanze matrimoniali sarebbero perdurate nella vita a venire. E il suo ultimo desiderio era di essere sepolto accanto a lei.
“Mi metto così nelle mani del Signore”, concluse, “e mi unisco alla mia amata compagna eterna per camminare mano nella mano sulla strada dell’immortalità e della vita eterna”.