Capitolo 37
Le risposte arriveranno
“Che cosa ne pensi?”.
La domanda restò come appesa nell’aria mentre Marco Villavicencio aspettava che sua moglie Claudia rispondesse. Il suo datore di lavoro, una società di telecomunicazioni a Machala, in Ecuador, gli aveva appena offerto l’opportunità di andare ad aprire un nuovo ufficio a Puerto Francisco de Orellana, una piccola città nella foresta amazzonica dell’Ecuador orientale.
A Marco quella posizione, che includeva anche una promozione, interessava molto, ma non voleva decidere senza Claudia. Quel lavoro avrebbe richiesto ai Villavicencio e al loro figlio di quattro anni, Sair, di trasferirsi a più di seicento chilometri di distanza.
Claudia, come Marco, era cresciuta in una grande città, quindi trasferirsi nella foresta pluviale sarebbe stato un grande cambiamento. Tuttavia, lei appoggiava Marco e voleva che facesse carriera. Le piaceva anche l’idea di trasferirsi in una zona rurale e pensò che questo avrebbe rafforzato la loro famiglia.
Eppure, lei e Marco si erano posti la stessa domanda su Puerto Francisco de Orellana: “Ci sarà la Chiesa lì?”. Erano entrambi missionari ritornati e la Chiesa era importante per loro. Volevano che il loro figlio crescesse in un luogo in cui potesse frequentare la Primaria, imparare il Vangelo e vivere esperienze spirituali. I santi degli ultimi giorni in Ecuador erano quasi duecentomila, ma la maggior parte di loro viveva vicino a grandi città come Quito, la capitale della nazione, e Guayaquil, dove nel 1999 fu dedicata una casa del Signore.
Puerto Francisco de Orellana, conosciuto localmente come El Coca, era un piccolo centro al confronto, anche se si era sviluppato rapidamente in seguito al ritrovamento di un giacimento di petrolio nel suo territorio, qualche anno prima. Utilizzando lo strumento di localizzazione delle case di riunione sul sito Internet della Chiesa, Claudia si mise alla ricerca di un rione o un ramo vicino alla cittadina. La ricerca non produsse risultati, ma poco tempo dopo alcuni amici di Marco e Claudia parlarono loro di altri membri della Chiesa che si erano trasferiti lì per lavoro.
Sapere questo confortò Marco e Claudia. Dopo aver pregato riguardo all’offerta, decisero insieme che Marco avrebbe accettato il lavoro.
I Villavicencio arrivarono a El Coca nel febbraio del 2009. La città si trovava nel bel mezzo di una fitta giungla ma, con grande sorpresa dei Villavicencio, non sembrava scollegata dal resto del mondo. Ovunque guardassero, c’era gente che andava e veniva per svolgere delle faccende.
Quando seppe che erano membri della Chiesa, il padrone di casa disse loro che sapeva dove un gruppo di santi degli ultimi giorni si riuniva per leggere le Scritture insieme. “Sono stato io ad affittare loro la casa”, disse.
Il gruppo si riuniva ogni domenica mattina alle nove per cantare gli inni, leggere articoli della Liahona e studiare le Scritture. Avevano anche contattato Timothy Vile, presidente della Missione di Quito, in Ecuador, che aveva mandato due missionari a far loro visita. I missionari vivevano però a quattro ore di distanza e non potevano recarsi molto spesso a El Coca.
Marco, Claudia e Sair iniziarono a partecipare alle riunioni domenicali ogni settimana. All’inizio, a Sair mancava la Primaria e si chiedeva dove fossero tutti gli altri bambini. Anche Marco e Claudia sentivano la mancanza della loro vecchia vita, ma dedicarsi appieno al servizio del Signore riusciva a mitigare la loro nostalgia.
Quando i missionari arrivarono in città, Marco chiese il loro aiuto per trovare altri membri. “Anziani”, disse, “dovete andare in giro per la città”. Pensava che se le persone avessero riconosciuto i missionari, avrebbero chiesto loro dove potevano riunirsi con altri membri del posto.
A poco a poco, i membri della Chiesa in città vennero a sapere della riunione e si unirono al gruppo. Mentre il gruppo cresceva, Marco ne divenne il dirigente. I missionari iniziarono a far visite settimanali per insegnare alle persone e trovare altri membri della Chiesa. Non molto tempo dopo, i santi di El Coca ricevettero il permesso di seguire il programma base per le unità della Chiesa.
E con questo permesso arrivò anche l’autorità di amministrare il sacramento.
Quando apprese che sarebbe stato estremamente difficile per lei e suo marito avere figli biologici, Angela Peterson Fallentine telefonò a sua madre. “Non so che fare”, disse. “Non conosco nessuno che abbia affrontato questa situazione”. Era terrorizzata.
Sua madre la ascoltò e poi le chiese se si ricordasse di Ardeth Kapp, l’ex presidentessa generale delle Giovani Donne. “Lei e suo marito non sono mai stati benedetti con dei figli”, ricordò ad Angela, “ma è sempre stata un esempio di come affrontare l’infertilità senza lasciare che questa definisse chi è”.
“Non lasciare che sia un ostacolo per te”, continuò sua madre. “Ho come la sensazione che dovrai risolvere le tue difficoltà con la dottrina della maternità e della famiglia, perché altrimenti sarà qualcosa con cui continuerai a scontrarti per il resto della vita”.
Poi disse: “Non so perché tu e John dobbiate affrontare questa situazione o quanto durerà, ma se riesci a tener duro e a cercare di capire ciò che il Signore ha bisogno che tu impari da tutto ciò, le risposte arriveranno”.
Angela riusciva a sentire tutto l’amore e il sostegno di sua madre e conservò queste parole vicine al suo cuore mentre lei e John affrontavano altre prove man mano che esploravano altre strade che conducevano alla genitorialità, come l’adozione e la fecondazione in vitro. Quando presero in considerazione l’adozione tramite i Servizi di consulenza della Chiesa per la famiglia e il programma nazionale della Nuova Zelanda, appresero che le loro possibilità di adottare un bambino erano estremamente basse.
Angela affrontò una delusione dopo l’altra e si appoggiò alla preghiera, al digiuno e al culto reso nel tempio per ricevere sostegno. Pensava spesso al Salvatore, fiduciosa che Egli la stesse aiutando ad affrontare le prove che la colpivano. Eppure si ritrovò anche a desiderare che Egli potesse semplicemente rimuoverle. In quei momenti, riceveva tutto il conforto di John. Lui aveva fede che sarebbe andato tutto bene.
Gli occhi di Angela erano ancora attratti dal proclama sulla famiglia appeso al muro. Aveva sempre amato i suoi insegnamenti. Ma dopo aver scoperto la sua infertilità, spesso era per lei molto doloroso leggere l’affermazione del “comandamento dato da Dio ai Suoi figli di moltiplicarsi e riempire la terra”. Sapeva bene che lei e John non stavano violando alcun comandamento, poiché naturalmente non potevano avere figli. Tuttavia, anche quando cominciarono le cure contro l’infertilità, Angela si chiese se stessero facendo abbastanza.
Circa in quel periodo si trasferirono a Tauranga, una grande città sulla Baia dell’Abbondanza in Nuova Zelanda, e Angela fu chiamata a ricoprire il ruolo di presidentessa delle Giovani Donne di palo. La nuova chiamata la intimidiva. Aveva poco più di trent’anni e si sentiva troppo giovane per dire alle altre dirigenti che cosa dovevano fare. Allo stesso tempo, si preoccupava però di essere troppo vecchia per relazionarsi con le giovani donne. Pregò per sapere come essere per loro una guida.
Presto scoprì di potersi relazionare con queste ragazze in modi che non si aspettava. Era più giovane dei loro genitori e molte delle giovani donne la ammiravano e prendevano sul serio i suoi consigli. A sua volta poteva incoraggiarle e stringere con loro un rapporto di amicizia che era precluso alle loro madri. Non avendo figli propri, scoprì che poteva dedicare loro tutto il tempo e dare i consigli di cui avevano bisogno da parte di un adulto fidato.
I Fallentine trovarono gioia anche nel sostenere le altre famiglie del loro rione e palo. Organizzavano spesso barbecue, serate di cinema all’aperto e serate familiari. Durante le conferenze generali, invitavano da loro le giovani per uno spuntino a base di crêpe prima di recarsi al centro di palo per la trasmissione generale delle Giovani Donne. Poiché era difficile essere così lontani dalla famiglia nel periodo natalizio, organizzarono anche una festa, la vigilia di Natale, per alcuni loro conoscenti che erano immigrati dal Sudafrica e dall’isola di Niue. Queste attività riempivano sempre la loro casa di bambini e Angela e John amavano trascorrere del tempo con loro e con i loro genitori.
Un giorno, passando davanti al proclama sulla famiglia incorniciato sulla parete di casa, Angela notò le parole iniziali: “Noi, Prima Presidenza e Consiglio dei Dodici Apostoli de La Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni, proclamiamo solennemente […]”.
“Ci credo davvero?”, si chiese. “Credo veramente che siano profeti e apostoli che dicono queste parole?”. Le sue esperienze avevano cambiato il modo in cui leggeva e comprendeva il proclama sulla famiglia. Eppure sapeva che i profeti e gli apostoli rendevano speciale testimonianza di Gesù Cristo e credeva alle loro parole.
Stava cominciando a vedere che c’erano molti modi per essere madre e aveva fede che lei e John avrebbero avuto l’opportunità di diventare genitori nelle eternità. Questa conoscenza l’aiutava a comprendere l’importanza del matrimonio e della famiglia nel piano di salvezza.
Ricordò come il proclama sulla famiglia avesse ispirato e lasciato il segno sul meccanico e sul funzionario del Medio Oriente che aveva incontrato a Washington, DC. Le verità che insegnava erano possenti e significative per la sua vita e lei confidava in esse.
Tornato a El Coca, in Ecuador, Marco Villavicencio era riuscito ad aprire velocemente un ufficio di telecomunicazioni in città, ma gestirlo era una sfida quotidiana. I suoi dipendenti erano nuovi del settore e avevano bisogno di formazione prima di poter soddisfare adeguatamente le esigenze dei clienti. Poi era necessario trovare i clienti. Poiché l’ufficio era nuovo di zecca, Marco e il suo team trascorrevano gran parte del loro tempo a incontrare le persone e a promuovere la loro attività. Ciononostante, lavoravano sodo e l’ufficio stava crescendo.
Per quanto Marco fosse impegnato, trovava sempre il tempo per la sua famiglia e per la Chiesa. Con il passare dei mesi, erano sempre di più le persone che partecipavano alla riunione sacramentale la domenica mattina. Lo Spirito del Signore aveva preparato molte persone per il vangelo restaurato di Cristo. Desideravano ardentemente conoscere Dio e il Suo amore.
I missionari andavano in città più volte alla settimana per insegnare alle persone e invitarle in chiesa. Marco e Claudia si chiedevano quanto tempo sarebbe occorso prima che il loro gruppo diventasse un ramo.
Sette mesi dopo l’arrivo dei Villavicencios a El Coca, il presidente di missione Timothy Sloan visitò la città. Poiché Marco era il capogruppo locale della Chiesa, il presidente Sloan gli chiese di fargli conoscere i santi durante una visita a El Coca.
Per il resto della mattinata e per tutto il pomeriggio, Marco portò il presidente di missione in giro per la città. Il presidente Sloan era particolarmente interessato a incontrare i detentori del Sacerdozio di Melchisedec e parlò con molti di loro. Durante i loro spostamenti, chiese anche a Marco della sua famiglia, del suo lavoro e della sua esperienza nella Chiesa.
Alla fine della giornata, il presidente Sloan disse a Marco che voleva parlargli. Si recarono nella casa nella quale i santi tenevano le proprie riunioni e trovarono una stanza vuota. Il presidente Sloan gli confidò di aver pregato per trovare un presidente di ramo in città. “Ho sentito che quella persona sei tu”, disse. “Accetti questa chiamata del Signore?”.
“Sì”, rispose Marco.
Il giorno dopo, il 6 settembre 2009, il presidente Sloan organizzò il Ramo di Orellana e mise a parte Marco come presidente. Una settimana dopo, l’ufficio di area della Chiesa a Quito inviò sedie, lavagne, scrivanie e altri arredi per la sede delle riunioni del ramo.
Il ramo contava molti nuovi dirigenti, tra cui Claudia, che serviva come presidentessa delle Giovani Donne. La maggior parte dei dirigenti aveva poca esperienza nella Chiesa, quindi Marco ritenne che addestrarli fosse una priorità assoluta. Voleva che i dirigenti di ramo fossero esempi di amore e servizio cristiani. Mise in campo tutte le risorse che aveva a disposizione — ogni manuale e video della Chiesa — per aiutare i nuovi dirigenti a capire quali fossero le loro responsabilità. Dato che i cellulari si stavano diffondendo in città, durante la settimana telefonava ai membri del ramo o mandava degli SMS per gestire gli affari del ramo, programmare attività e soddisfare le necessità degli altri santi.
Tra gli articoli che il ramo ricevette dalla Chiesa c’era un computer con accesso a Internet. La Chiesa aveva sviluppato un programma informatico chiamato Sistema per i membri e i dirigenti (MLS) per aiutare i dirigenti locali e gli archivisti a registrare e a rendicontare in modo accurato e sicuro la decima, la frequenza e altri dati. Marco conosceva bene i computer grazie alla sua esperienza nel settore tecnologico e imparò velocemente a usare il software. Tuttavia, i computer erano dispositivi davvero rari a El Coca, quindi dovette anche insegnare ad alcuni dei nuovi dirigenti come usarli. Fortunatamente, ricevettero la guida dello Spirito che li rese allievi entusiasti, in grado di adattarsi velocemente alla tecnologia.
Alle riunioni del consiglio di ramo, Marco e gli altri dirigenti condividevano liberamente i loro pensieri su come aiutare le persone di cui si occupavano. Il consiglio comprese che tutti, nel ramo, dovevano sviluppare una testimonianza di Gesù Cristo. Alle riunioni e alle attività di ramo, Marco e gli altri dirigenti parlavano spesso di Cristo, creando un ambiente in cui i visitatori e i nuovi membri potessero sentire il Suo amore e venire a Lui.
Un mese dopo l’organizzazione del ramo, la Chiesa trasmise la conferenza generale semestrale via radio, televisione, satellite e Internet. Sebbene questi canali raggiungessero la maggior parte delle aree del mondo, il ramo di El Coca non aveva ancora accesso alla televisione via satellite o una connessione Internet abbastanza potente e stabile da poter vedere la Conferenza in streaming. Qualche tempo dopo, però, l’ufficio della Chiesa a Quito inviò al ramo una registrazione della Conferenza in lingua spagnola su DVD.
Nella speranza di replicare l’esperienza di assistere alla Conferenza dal vivo, Marco e altri dirigenti del ramo decisero di proiettare la registrazione nel corso di un fine settimana, dividendola per sessioni. Allestirono sedie, un televisore e altoparlanti nella casa di riunione e spedirono un invito speciale a tutti i membri. Claudia aveva il compito di dare il benvenuto alle persone quando arrivavano.
Il giorno della prima sessione, i santi degli ultimi giorni si presentarono con gli abiti della domenica. Alcuni conoscevano bene la Conferenza generale, mentre altri non avevano idea di cosa aspettarsi. Lo Spirito riempì la stanza mentre tutti ascoltavano attentamente gli oratori e si godevano la musica del Tabernacle Choir.
Molti dei nuovi membri pensavano che la Chiesa fosse piccola e di livello locale. Mentre guardavano la Conferenza, però, videro che facevano parte di un’organizzazione mondiale. Come loro, milioni di altri santi stavano lavorando insieme per portare avanti l’opera del Signore.
All’inizio del 2010, nelle isole dei Caraibi si contavano oltre 170.000 membri della Chiesa. Nella Repubblica Dominicana, nella quale vivevano i due terzi di questi santi, erano presenti diciotto pali e tre missioni. Nel 1998, la Chiesa istituì un Centro di addestramento per i missionari a Santo Domingo, la capitale della Repubblica Dominicana, per preparare i missionari dei Caraibi al servizio. Due anni dopo, nel settembre del 2000, il presidente Hinckley venne in città per dedicare il Tempio di Santo Domingo, la prima casa del Signore nella regione.
Quando nel 1978 i missionari santi degli ultimi giorni arrivarono nella Repubblica Dominicana, circa una dozzina di membri della Chiesa, gli unici santi presenti nel paese, erano andati ad accoglierli all’aeroporto. Tra loro c’erano Rodolfo e Noemí Bodden. I Bodden e diversi dei loro figli si erano uniti alla Chiesa tre mesi prima grazie ai loro amici John e Nancy Rappleye ed Eddie e Mercedes Amparo. Negli anni a venire, Rodolfo e Noemí servirono fedelmente nella Chiesa.
Il vangelo restaurato si diffuse in altre nazioni caraibiche in modi simili. In Giamaica, un’isola a ovest della Repubblica Dominicana, i missionari santi degli ultimi giorni avevano predicato il Vangelo già negli anni ’50 del 1800. Tuttavia, la Chiesa non si stabilì lì fino a quando i convertiti giamaicani Victor e Verna Nugent, negli anni ’70, non dimostrarono il loro interesse. Un giorno, Victor e Verna ricevettero un Libro di Mormon da un collega americano, Paul Schmeil. Fece anche vedere loro il film prodotto dalla Chiesa Man’s Search for Happiness [l’uomo alla ricerca della felicità], e il suo messaggio, insieme all’esempio cristiano di Paul, fu di ispirazione per Victor.
Il 20 gennaio 1974 la famiglia Nugent si battezzò. Quattro anni più tardi la famiglia fu suggellata nel Tempio di Salt Lake, dopo che la rivelazione del presidente Spencer W. Kimball aprì le porte ai Nugent e alle altre persone di colore di origine africana cosicché potessero ricevere tutte benedizioni del sacerdozio.
Quello stesso anno, nel 1978, un altro santo degli ultimi giorni americano, Greg Young, battezzò i suoi amici John e June Naime nelle Barbados. Poco più di un anno dopo, venne organizzato il primo ramo delle Barbados con John come presidente di ramo e June come presidentessa della Società di Soccorso. In seguito, le Barbados sono state la sede centrale della Missione delle Indie Occidentali e il Vangelo si è diffuso da lì a Grenada, Guadalupa, Saint Lucia, Martinica, Saint Vincent, Guyana Francese, Sint Maarten e altri paesi vicini.
Ad Haiti, invece, Alexandre Mourra, haitiano di origine cilena, è venuto a conoscenza della Chiesa grazie a un parente che aveva ricevuto una copia del Libro di Mormon e altro materiale della Chiesa dai missionari in Florida. Dopo aver letto la testimonianza del profeta Joseph Smith, Alexandre richiese anche per sé un Libro di Mormon e ricevette testimonianza della sua veridicità. Poiché la Chiesa non era ancora presente ad Haiti, si recò in Florida, dove incontrò il presidente di missione e si battezzò nel luglio del 1977. Poi tornò a casa a Port-au-Prince e qui insegnò il Vangelo a altre persone. Un anno dopo, il presidente di missione visitò Haiti e officiò al battesimo di ventidue amici di Alexandre.
La Chiesa in Haiti continuò a crescere negli anni successivi, nonostante le tensioni sociali e politiche che spesso affliggevano il paese. Alla fine del 2009 c’erano circa sedicimila santi degli ultimi giorni in due pali e due distretti. La loro resilienza è stata messa alla prova il 12 gennaio 2010, quando un devastante terremoto colpì Haiti, radendo al suolo le abitazioni e uccidendo più di duecentomila persone, tra cui quarantadue santi degli ultimi giorni.
Quando si verificò il terremoto, Soline Saintelus era impegnata in una riunione con il suo vescovo presso la casa di riunione di Port-au-Prince. Suo marito, Olghen, lavorava in un albergo del posto. Si precipitarono al loro appartamento, dove erano rimasti i loro tre figli piccoli affidati alle cure della babysitter. Dell’edificio non restava che un mucchio di macerie.
“Padre Celeste”, pregò Olghen, “se è nella Tua volontà e se potesse esserci anche solo uno dei miei figli vivo, per favore aiutaci”.
Per dieci ore, i soccorritori scavarono tra i detriti. A un certo punto, sentirono il figlio maggiore, Gancci, di cinque anni, cantare “Sono un figlio di Dio”, il suo inno preferito. Il suono della sua voce permise agli addetti di trarre in salvo lui, i suoi fratelli e la loro babysitter.
Nelle settimane successive, la Chiesa aiutò i dirigenti locali e le organizzazioni umanitarie mettendo a disposizione personale medico, tende, cibo, sedie a rotelle, dispositivi medici e altri beni di prima necessità. Aprì anche le case di riunione per dare riparo e rifugio a molte delle persone che dopo il disastro erano rimaste senza casa. In seguito, la Chiesa aiutò le persone a trovare lavoro e ad avviare nuove attività.
Dopo essere stato soccorso, Gancci Saintelus fu trasferito in Florida per essere curato dalle gravi lesioni riportate. Lì, i membri locali della Chiesa fornirono alla famiglia Saintelus tutto l’aiuto necessario, portando loro giocattoli, cibo, pannolini e altre provviste. La loro gentilezza riempì di lacrime gli occhi di Olghen.
“Sono molto grato alla mia chiesa”, disse.
Nel settembre del 2010, gli abitanti di Luputa, nella Repubblica Democratica del Congo, avevano quasi finito di posare le tubature per la conduttura di acqua pulita patrocinata dalla Chiesa. Parlando con un giornalista, il presidente di distretto Willy Binene sottolineò l’importanza della conduttura.
“L’uomo può vivere senza elettricità”, disse. “Ma la mancanza di acqua pulita è un fardello quasi impossibile da sopportare”.
Che il giornalista se ne fosse reso conto o meno, le parole di Willy scaturivano dalle esperienze di una vita. Come studente di ingegneria elettrica, non avrebbe mai aspirato a vivere a Luputa, una città senza elettricità. I suoi piani erano però cambiati ed era riuscito a vivere, e persino molto bene, anche senza l’energia elettrica. Lui e la sua famiglia, e tutte le famiglie della zona, avevano tuttavia dovuto fare i conti con gli effetti dannosi delle malattie trasmesse dall’acqua. Per proteggersi anche in chiesa, avevano persino fatto in modo di acquistare dell’acqua imbottigliata per celebrare il sacramento.
Ora, con un ulteriore piccolo sforzo, la vita a Luputa stava per cambiare. Sin dall’inizio del progetto, a ogni quartiere della città e nei dintorni erano stati assegnati dei giorni nei quali sarebbero stati effettuati i lavori sulla conduttura. In quei giorni, i camion di ADIR, l’organizzazione che gestiva il progetto, arrivavano molto presto nel quartiere per reclutare volontari e portarli sul posto di lavoro.
In quanto presidente di distretto, Willy voleva essere un dirigente modello. Nei giorni in cui nel suo quartiere erano previsti i lavori, metteva da parte il suo lavoro di infermiere e iniziava a scavare. Tra Luputa e la sorgente d’acqua pulita c’erano chilometri di colline e valli. Poiché la conduttura funzionava grazie alla forza di gravità, i volontari dovettero scavare la trincea e posare i tubi alla perfezione per assicurare lo scorrimento dell’acqua.
Willy e i volontari scavarono tutto a mano. La trincea doveva essere larga poco più di 45 centimetri e profonda circa 90 centimetri. In alcuni punti, il terreno era sabbioso e il lavoro proseguì velocemente, in altri, le radici degli alberi e le rocce creavano un groviglio inestricabile, il che rendeva il lavoro estenuante. I volontari potevano solo pregare che gli incendi delle sterpaglie e i nidi degli insetti più fastidiosi non rallentassero i loro progressi. In una giornata particolarmente favorevole, riuscirono a scavare circa 150 metri di trincea.
I santi del Distretto di Luputa lavoravano su turni speciali oltre ai loro normali incarichi di quartiere. In quei giorni, gli uomini della Chiesa si univano ai volontari regolari nello scavo della trincea, mentre le donne della Società di Soccorso preparavano i pasti per gli operai.
L’impegno dei santi verso il progetto aiutò gli altri a conoscere meglio la loro fede. Le persone della zona vedevano la Chiesa come un’istituzione che si occupava non solo dei propri membri, ma anche di tutto il resto della comunità.
Quando la realizzazione della conduttura terminò a novembre del 2010, molte persone vennero a Luputa per assistere all’arrivo dell’acqua. In città erano state costruite enormi cisterne, collocate su strutture altissime, per immagazzinare l’acqua delle condutture. Eppure alcune persone si chiedevano se la conduttura potesse davvero portare abbastanza acqua per riempire i serbatoi. Willy stesso aveva qualche dubbio.
Poi le paratie si aprirono e tutti poterono sentire lo scroscio dell’acqua che si riversava nelle cisterne. Un’immensa gioia travolse la folla. Decine di piccole stazioni idriche realizzate in cemento, ognuna dotata di più rubinetti, potevano ora distribuire acqua pulita in tutta Luputa.
Per celebrare l’occasione, in città venne organizzata una festa. I festeggiamenti attirarono quindicimila persone da Luputa e dai suoi villaggi vicini. Tra gli ospiti d’onore c’erano i dignitari governativi e tribali, i funzionari ADIR e un membro della presidenza dell’Area Africa Sudest della Chiesa. Su uno dei serbatoi dell’acqua era appeso un grande striscione che riportava una scritta in lettere blu acceso:
GRAZIE ALLA CHIESA
GRAZIE AD ADIR
PER L’ACQUA POTABILE
Mentre gli ospiti arrivavano e prendevano posto sotto dei gazebo montati per l’occasione, un coro di giovani santi degli ultimi giorni cantava degli inni.
Una volta che tutti ebbero preso posto e che il brusio della folla si fu calmato, Willy prese il microfono e si rivolse al pubblico come rappresentante locale della Chiesa. “Proprio come Gesù compì molti miracoli”, disse, “oggi è un miracolo che l’acqua sia giunta a Luputa”. Spiegò alla folla che la Chiesa aveva patrocinato la conduttura per tutta la comunità ed esortò tutti a farne buon uso.
E a chiunque si chiedeva perché la Chiesa si fosse interessata così tanto a un posto come Luputa, diede una semplice risposta.
“Siamo tutti figli del nostro Padre Celeste”, affermò. “Dobbiamo fare del bene a tutti”.