2012
Considerate le benedizioni
Novembre 2012


Considerate le benedizioni

President Thomas S. Monson

Il nostro Padre Celeste conosce le nostre necessità e ci aiuta, se ci rivolgiamo a Lui per ricevere aiuto.

Miei cari fratelli e mie care sorelle, questa conferenza segna il 49° anniversario del mio sostegno come membro del Quorum dei Dodici Apostoli, avvenuto il 4 ottobre 1963. Quarantanove anni sono tanti. Per molti versi, tuttavia, pare che sia trascorso pochissimo tempo da quando pronunciai il mio primo discorso dal pulpito del Tabernacolo per la Conferenza generale.

Dal 4 ottobre 1963 sono cambiate molte cose. Viviamo in un momento unico della storia del mondo. Siamo benedetti con tantissime cose. Eppure a volte è difficile guardare ai problemi e alla permissività che ci circondano senza provare scoraggiamento. Ho scoperto che, se invece di concentrarci sugli aspetti negativi, facciamo un passo indietro e teniamo conto delle benedizioni che abbiamo nella nostra vita, comprese quelle apparentemente piccole e talvolta inosservate, possiamo trovare una gioia più grande.

Nel passare in rassegna questi 49 anni, ho fatto alcune scoperte. Una è che ho vissuto innumerevoli esperienze senza che apparissero per forza eccezionali. Di fatto, nel momento in cui le ho vissute, mi sono spesso sembrate irrilevanti e persino ordinarie. Eppure, guardando indietro, hanno arricchito molte vite, compresa la mia. Vi suggerisco di fare lo stesso esercizio e, precisamente, di fare un inventario della vostra vita e di ricercare in modo specifico le benedizioni, grandi e piccole, che avete ricevuto.

Nel guardare indietro agli anni passati, la mia consapevolezza che le nostre preghiere vengono ascoltate e ricevono risposta è stata costantemente rafforzata. Tutti conosciamo bene la verità espressa in 2 Nefi, nel Libro di Mormon: “Gli uomini sono affinché possano provare gioia”.1 Attesto che gran parte di quella gioia la proviamo quando ci rendiamo conto che possiamo comunicare con il Padre Celeste grazie alla preghiera e che le preghiere vengono ascoltate e ricevono risposta — forse non nel modo e nel momento in cui ce la attendiamo, ma ricevono risposta da parte di un Padre Celeste che ci conosce e ci ama perfettamente, e che desidera la nostra felicità. Egli non ci ha forse promesso: “Sii umile, e il Signore Iddio ti condurrà per mano e darà risposta alle tue preghiere”?2

Nei pochi minuti a mia disposizione vorrei condividere con voi solo un piccolo campione di esperienze che ho vissuto in cui le preghiere sono state ascoltate e hanno ricevuto risposta e che, in retrospettiva, hanno benedetto la mia vita e quella degli altri. Il diario giornaliero che ho tenuto in tutti questi anni mi ha fornito alcuni particolari che, quasi sicuramente, non sarei altrimenti stato in grado di raccontare.

All’inizio del 1965 fui incaricato di partecipare a diverse conferenze di palo e di tenere altre riunioni in tutta l’area Pacifico Sud. Era la mia prima visita in quella parte del mondo e fu un periodo che non dimenticherò mai. Svolgendo questo incarico e incontrando i membri, i dirigenti e i missionari, ebbi molte esperienze spirituali.

Il sabato 20 e la domenica 21 febbraio ci trovavamo a Brisbane, in Australia, per tenere le consuete sessioni della conferenza del palo di Brisbane. Durante le riunioni del sabato, mi venne presentato il presidente del distretto di una zona confinante. Stringendo la sua mano, ebbi la forte impressione di dover parlare con lui e di dovergli dare dei consigli; così gli chiesi se, il giorno seguente, mi avrebbe accompagnato alla sessione della domenica mattina, in modo che io potessi fare quanto suggeritomi.

Dopo la sessione domenicale, avemmo l’opportunità di passare un po’ di tempo insieme. Parlammo delle sue numerose responsabilità come presidente di distretto e, mentre conversavamo, ebbi l’impressione di dovergli offrire suggerimenti specifici sul lavoro missionario e su come lui e i suoi membri potevano aiutare i missionari a tempo pieno nel lavoro svolto in quella zona. Appresi in seguito che quell’uomo aveva pregato per ricevere guida in proposito. Ai suoi occhi, la nostra conversazione fu una testimonianza speciale del fatto che le sue preghiere erano state ascoltate e avevano ricevuto risposta. Fu un incontro apparentemente irrilevante, ma sono convinto che fu guidato dallo Spirito e che fece la differenza nella vita e nel ministero di quel presidente di distretto, nella vita dei suoi membri e nel successo dei missionari in quella zona.

Fratelli e sorelle, spesso gli scopi del Signore si adempiono quando seguiamo la guida dello Spirito. Credo che quanto più agiremo in base all’ispirazione e alle impressioni che riceviamo, tanto più il Signore ci affiderà il Suo lavoro.

Ho imparato, come ho detto in altri messaggi, a non rimandare mai di mettere in pratica un suggerimento. In un’occasione, molti anni fa, stavo facendo qualche vasca alla vecchia Deseret Gym di Salt Lake City, quando mi sentii ispirato ad andare allo University Hospital per far visita a un mio caro amico che aveva perso l’uso degli arti inferiori a causa di un tumore maligno e delle operazioni chirurgiche che erano seguite. Uscii subito dalla piscina, mi vestii e andai a trovare quel brav’uomo.

Quando arrivai nella sua stanza, la trovai vuota. Chiesi informazioni e mi venne detto che l’avrei probabilmente trovato nella piscina dell’ospedale, un reparto che veniva utilizzato per la fisioterapia. Era proprio così. Si era spinto lì con la sedia a rotelle ed era solo nella stanza. Si trovava sul bordo più lontano della piscina, nel punto in cui l’acqua era più profonda. Lo chiamai ed egli si mosse con la sedia a rotelle per venire a salutarmi. Parlammo amabilmente e io lo riaccompagnai nella sua stanza, dove gli impartii una benedizione.

Tempo dopo il mio amico mi disse che quel giorno si era sentito così profondamente depresso da aver preso in considerazione il suicidio. Aveva pregato per trovare sollievo, ma aveva cominciato a pensare che le sue preghiere non fossero state ascoltate. Era andato in piscina, pensando che in questo modo avrebbe posto fine al suo dolore: voleva infatti gettarsi con la sedia a rotelle nella parte più profonda della piscina. Io ero arrivato in un momento critico, in risposta a quella che — so — fu ispirazione dall’alto.

Il mio amico poté vivere molti anni ancora, anni pieni di felicità e gratitudine. Come sono lieto di essere stato uno strumento nelle mani del Signore quel giorno cruciale in piscina.

In un’altra circostanza, mentre io e la sorella Monson stavamo tornando a casa dopo aver fatto visita ad alcuni amici, ebbi l’impressione che avremmo dovuto recarci in città, a molti chilometri di distanza, per andare a trovare una vedova che un tempo viveva nel nostro rione. Si chiamava Zella Thomas e allora abitava in una casa di riposo. Quel pomeriggio la trovammo molto debole, ma stesa tranquillamente sul letto.

Zella era cieca da molto tempo, ma riconobbe subito le nostre voci. Mi chiese se potessi impartirle una benedizione e aggiunse che era pronta a morire, se il Signore avesse voluto che lei tornasse a casa. Nella stanza c’era un’atmosfera di dolcezza e tranquillità, e tutti noi sentimmo che il tempo che le rimaneva nella mortalità sarebbe stato breve. Zella mi prese la mano e disse che aveva pregato fervidamente che io andassi a trovarla e le dessi una benedizione. Le dissi che ci eravamo andati per via dell’ispirazione che avevamo ricevuto direttamente dal Padre Celeste. Le baciai la fronte, consapevole del fatto che forse non l’avrei più rivista in questa vita terrena. Fu proprio così, perché morì il giorno seguente. Aver potuto portare un po’ di conforto e di pace alla nostra dolce Zella fu una benedizione per lei e per me.

L’opportunità di benedire la vita di qualcun altro giunge spesso inattesa. In un gelido sabato sera dell’inverno del 1983–84, io e la sorella Monson percorremmo diversi chilometri per recarci nella valle di Midway, nello Utah, dove abbiamo una casa. La temperatura era di 31 gradi centrigradi sotto lo zero, e volevamo assicurarci che nella casa che avevamo fosse tutto a posto. Controllammo e vedemmo che tutto andava bene, quindi ce ne andammo per tornare a Salt Lake City. Avevamo percorso solo pochi chilometri verso la strada principale, quando l’auto si fermò. Eravamo a piedi. Raramente, se mai è accaduto, ho avuto più freddo di quanto ne provai quella sera.

Con riluttanza ci incamminammo verso la città più vicina, mentre le macchine ci sfrecciavano accanto. Finalmente si fermò un’auto e un giovane ci offrì il suo aiuto. Scoprimmo che il diesel del nostro serbatoio si era addensato a causa del freddo, rendendo impossibile l’uso del mezzo. Quel giovane gentile ci riportò alla nostra casa di Midway. Tentai di ripagarlo per il servizio reso, ma gentilmente declinò l’offerta. Affermò di essere un boy scout e di aver voluto compiere una buona azione. Gli rivelai chi ero ed egli espresse apprezzamento per il privilegio di avermi potuto aiutare. Dando per scontato che fosse in età da missione, gli domandai se avesse in progetto di svolgerne una. Rispose che non era certo di quello che voleva fare.

Il lunedì successivo scrissi una lettera a quel giovane uomo e lo ringraziai per la sua cortesia. Nella lettera lo incoraggiai a svolgere una missione a tempo pieno. Allegai la copia di uno dei miei libri in cui evidenziai i capitoli relativi al servizio missionario.

Circa una settimana dopo, la madre del giovane mi chiamò: mi disse che suo figlio era un ragazzo eccezionale ma che, a causa di alcune cose che influenzavano la sua vita, il suo desiderio di svolgere una missione, a lungo coltivato, si era affievolito. Mi disse che lei e il marito avevano digiunato e pregato affinché il cuore del figlio subisse un cambiamento. Avevano messo il suo nome negli elenchi delle preghiere del tempio di Provo. Speravano che in qualche modo, con qualche mezzo, il suo cuore venisse toccato in bene e che egli tornasse al suo desiderio di svolgere una missione e di servire fedelmente il Signore. La madre voleva che io sapessi che considerava gli eventi di quella fredda sera come la risposta alle preghiere che avevano detto in favore del figlio. Dissi che ero d’accordo con lei.

Dopo molti mesi e dopo aver scambiato altre lettere con il giovane in questione, io e la sorella Monson fummo felicissimi di partecipare alla festa di addio tenutasi prima della sua partenza per la Missione canadese di Vancouver.

Fu forse un caso che le nostre strade si incrociarono in quella fredda notte di dicembre? Non l’ho mai creduto, neanche per un istante. Piuttosto, credo che il nostro incontro fu la risposta alle preghiere sincere che una madre e un padre dissero in favore di un figlio tanto amato.

Ripeto ancora, fratelli e sorelle, che il nostro Padre Celeste conosce le nostre necessità e ci aiuta, se ci rivolgiamo a Lui per ricevere aiuto. Penso che nessuna preoccupazione sia troppo piccola o insignificante. Il Signore conosce la nostra vita in modo dettagliato.

Vorrei concludere raccontandovi un’esperienza recente che ha influito su centinaia di persone. È un evento accaduto durante la celebrazione culturale del tempio di Kansas City, tenutasi appena cinque mesi fa. Proprio come accade in molte circostanze della vita, in quel momento è sembrata solo un’altra occasione in cui tutto è andato bene. Tuttavia, quando ho saputo degli eventi legati alla celebrazione culturale svoltasi la sera prima della dedicazione del tempio, ho capito che lo spettacolo di quella sera non era stato un evento comune. È stato invece piuttosto rimarchevole.

Come avviene per tutti gli eventi culturali organizzati in occasione delle dedicazioni dei templi, i giovani del distretto del tempio di Kansas City avevano provato lo spettacolo in gruppi separati, ciascuno nella propria zona. Il programma prevedeva che si incontrassero tutti il sabato mattina dello spettacolo nel grande centro municipale affittato per l’occasione, in modo che potessero imparare quando e da dove entrare, dove fermarsi, quanto spazio dovesse esserci tra una persona e l’altra, come uscire dal palco ecc.; insomma, tanti dettagli che i ragazzi avrebbero dovuto incamerare nel corso della giornata, mentre i responsabili mettevano insieme le scene per far sì che lo spettacolo finale avesse un aspetto curato e professionale.

Quel giorno però ci fu un grosso problema. L’intera produzione dipendeva da segmenti preregistrati che sarebbero stati mostrati su uno schermo gigante chiamato Jumbotron. Questi segmenti preregistrati erano fondamentali per l’intero spettacolo. Non solo tenevano insieme lo spettacolo, ma ogni segmento trasmesso avrebbe introdotto l’esibizione successiva. I segmenti video rappresentavano la cornice da cui dipendeva tutto l’evento. Ma il Jumbotron non stava funzionando.

I tecnici lavoravano in modo frenetico per risolvere il problema mentre centinaia di giovani aspettavano, perdendo tempo prezioso per le prove. La situazione iniziò ad apparire impossibile.

Susan Cooper, autrice e regista dell’evento, ha in seguito spiegato: “Mentre passavamo dal piano A, al piano B, al piano Z, sapevamo che non avrebbe funzionato… Guardando il programma, sapevamo che non saremmo stati in grado di rispettarlo, ma sapevamo di avere al piano di sotto una delle forze più grandi: tremila giovani. Dovevamo scendere al piano inferiore, spiegare [loro] cosa stava accadendo e attingere alla loro fede”.3

Solo un’ora prima che il pubblico entrasse nel centro, 3.000 giovani si inginocchiarono e pregarono insieme. Pregarono affinché coloro che stavano lavorado sul Jumbotron fossero ispirati e capissero come ripararlo; chiesero al loro Padre Celeste di compensare ciò che da soli non potevano fare a causa del poco tempo a disposizione.

Qualcuno ha scritto in seguito: “È stata una preghiera che i giovani non dimenticheranno mai, non perché il pavimento fosse duro, ma perché lo Spirito ha penetrato le loro ossa”.4

Qualche istante dopo uno dei tecnici comunicò loro che il problema era stato scoperto e risolto. Egli attribuì la soluzione alla fortuna, ma tutti quei giovani sapevano cosa era davvero successo.

Quando quella sera entrammo nel centro municipale, non avevamo idea delle difficoltà della giornata. Ne venimmo a conoscenza solo dopo. Ciò che vedemmo, invece, fu uno spettacolo meraviglioso, ben curato, uno dei migliori a cui abbia assistito. I giovani emanavano uno spirito glorioso e possente che è stato avvertito da tutti i presenti. Sembrava che sapessero benissimo da dove entrare, dove fermarsi e come interagire con tutti gli altri sul palco. Quando mi è stato detto che le prove erano state tagliate e che molti numeri non erano stati provati da tutto il gruppo, ero sbalordito. Nessuno l’avrebbe detto. Il Signore aveva davvero compensato ciò che mancava.

Non smetterò mai di stupirmi per come il Signore riesce a far avanzare e a guidare il Suo regno in lungo e in largo, trovando tuttavia il tempo di fornire ispirazione per un solo individuo, un singolo evento culturale o un Jumbotron. Il fatto che Egli riesca a farlo, e che lo faccia, è per me una testimonianza.

Fratelli e sorelle, il Signore è in ciascuna delle nostre vite. Egli ci ama. Vuole benedirci. Desidera che cerchiamo il Suo aiuto. Poiché Egli ci guida e ci dirige, e ci ascolta e risponde alle nostre preghiere, troveremo qui e ora la gioia che Egli desidera per noi. Prego che possiamo essere consapevoli delle Sue benedizioni nella nostra vita. Nel nome di Gesù Cristo, nostro Salvartore. Amen.

Note

  1. 2 Nefi 2:25.

  2. Dottrina e Alleanze 112:10.

  3. Susan Cooper, in Maurine Proctor, “Nothing’s Too Hard for the Lord: The Kansas City Cultural Celebration,” Meridian Magazine, 9 maggio 2012, ldsmag.com.

  4. Proctor, Meridian Magazine, 9 maggio 2012.