Trovare aiuto
L’autrice vive nello Utah, USA.
Mezzanotte era già passata, ma Tate sapeva che era il momento di parlare.
“Padre Celeste, ora Ti prego, guidami e custodiscimi ogni giorno” (“Heavenly Father, Now I Pray”, Children’s Songbook, 19).
Tate era a letto, sveglio, al buio, e tratteneva le lacrime. Aveva pregato in cerca di aiuto, ma era come se una pesante nuvola nera fosse sopra di lui, bloccando lo Spirito.
“E se non riuscissi più a dimenticare quell’orribile programma televisivo?”, si domandava preoccupato.
Qualche giorno prima aveva finito in anticipo di fare i compiti e aveva acceso la TV. Ma non si aspettava di vedere qualcosa di quel genere sullo schermo. Tate rimase talmente scioccato da dimenticare di spegnere subito la televisione come, invece, avrebbe dovuto.
Era stato un incidente. Non aveva intenzione di vedere scene del genere, ma adesso non riusciva a dimenticarle. A volte, ripensava a quell’immagine mentre era a scuola, a cena e persino in Chiesa. In quei momenti, era felice che mamma e papà non potessero leggere nella sua mente. I genitori di Tate gli avevano insegnato a non guardare immagini di persone non vestite. Sapeva che loro si aspettavano che evitasse programmi televisivi, film e videogiochi violenti.
“Adesso so perché”, disse Tate a se stesso.
Tate si alzò dal letto e si rimise in ginocchio. Che cosa poteva fare?
“Padre Celeste”, sospirò Tate. “Aiutami a smettere di pensare a quello che ho visto”. Si asciugò le lacrime che continuavano a riempirgli gli occhi e ascoltò. Il suo cuore batté più velocemente. Gli sembrava di aver sentito i suggerimenti dello Spirito Santo, ma non era la risposta che voleva.
Doveva dirlo ai suoi genitori.
“Perché?”, si chiese Tate. Si sarebbe sentito come un bambino piccolo che va nella camera dei genitori nel mezzo della notte. E per dirlo a loro? Si sentiva di nuovo imbarazzato e disgustato.
Poi, un pensiero chiaro si fece strada nella sua mente: il Padre Celeste voleva che lui fosse felice. Il Padre Celeste voleva che lui sentisse di nuovo lo Spirito, che pensasse a cose belle e che fosse onesto con la sua famiglia. Soprattutto, voleva che Tate diventasse un degno detentore del Sacerdozio di Aronne quando, qualche mese dopo, avrebbe compiuto dodici anni. Tate capì che se avesse tenuto segreto quello che aveva visto, sarebbe rimasto infelice.
Sapeva di avere bisogno d’aiuto e lo Spirito Santo gli aveva appena detto dove poteva trovarlo.
Tate rivolse lo sguardo sui numeri luminosi dell’orologio digitale accanto al suo letto. Era l’una di notte. Si alzò e attraversò il corridoio buio che portava alla camera dei suoi genitori. Deglutendo nervosamente, bussò alla loro porta.
“Mamma? Papà?”
“Tate, sei tu?”, disse la mamma, con voce assonnata.
“C’è qualcosa che non va?”, chiese il papà.
“Sì”, aggiunse Tate. “Possiamo parlare? E potrei avere una benedizione?”
Il papà accese la lampada accanto al suo lato del letto e invitò Tate a entrare. Per la prima volta da giorni, Tate sentì calore, speranza e luce.