2021
Come tenere i nostri figli vicini al nostro cuore
Giugno 2021


Come tenere i nostri figli vicini al nostro cuore

Non dobbiamo allontanarci dai nostri figli. Dobbiamo continuare a sforzarci, continuare ad agire, continuare a pregare, continuare ad ascoltare.

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father and daughter watching a sunset

Fotografie di Getty Images

Diventa sempre più chiaro che dobbiamo insegnare personalmente il Vangelo ai nostri figli e osservarne gli insegnamenti nella nostra casa o correre il rischio di scoprire troppo tardi che un insegnante della Primaria o un consulente del sacerdozio o un insegnante del Seminario non è in grado di fare per i nostri figli quello che avremmo dovuto fare noi.

Posso darvi qualche incoraggiamento nello svolgere questa responsabilità? Ciò che più mi piace nel mio rapporto con [mio figlio] Matt è il fatto che egli è, insieme a sua madre, a sua sorella e a suo fratello, il mio più intimo e caro amico. Questa sera a questa riunione del sacerdozio preferisco la sua compagnia a quella di qualsiasi altro uomo al mondo. Mi piace stare con lui. Parliamo molto insieme, ridiamo insieme. […] Prego per lui e ho pianto con lui e sono immensamente orgoglioso di lui. […]

All’inizio della vita coniugale, quando i figli erano ancora in tenera età e io faticavo per ottenere il dottorato presso un’università della Nuova Inghilterra, mia moglie Pat era presidentessa della Società di Soccorso del nostro rione. Io facevo parte della presidenza di palo. Di giorno frequentavo l’università, la sera insegnavo. A quel tempo avevamo già due figli, poco denaro e molte spese. In sostanza, posso dire che la nostra vita era più o meno simile alla vostra.

Una sera tornai a casa dopo una giornata particolarmente difficile sentendo, come si suol dire, il peso del mondo sulle spalle. Tutto sembrava troppo impegnativo, scoraggiante, oscuro. Mi chiedevo se sarebbe mai sorta l’alba. Quando entrai nel nostro piccolo appartamento notai un insolito silenzio.

“Cosa c’è?”, chiesi.

“Matthew vuole dirti qualcosa”, disse Pat.

“Cosa hai da dirmi, Matt?”. Il bambino giocava in silenzio in un angolo della stanza, cercando disperatamente di non ascoltarmi. “Matt”, dissi un po’ più ad alta voce, “hai qualcosa da dirmi?”.

Smise di giocare, ma per un momento non alzò lo sguardo. Poi due grandi occhi pieni di lacrime incontrarono i miei e, con il dolore che soltanto un bambino di cinque anni può esprimere, disse: “Stasera non ho obbedito alla mamma e le ho risposto male”. Detto questo, scoppiò in lacrime e il suo corpicino era scosso dai singhiozzi. Un piccolo essere si era reso conto di aver tenuto un comportamento cattivo, aveva fatto una dolorosa confessione e aveva vissuto una delle infinite esperienze che accompagnano la crescita di un essere umano, che si sarebbe dovuta concludere con un’affettuosa riconciliazione.

Sarebbe stato tutto meraviglioso se non fosse stato per causa mia. Mi vergogno terribilmente di raccontarvi come mi comportai allora. Persi la pazienza. Non ero adirato con Matt; era semplicemente perché mille cose mi pesavano nella mente, ma il bambino non lo sapeva e io non avevo ancora imparato a controllarmi a sufficienza per ammetterlo. Sfogai quindi la mia irritazione su di lui.

Gli dissi quanto fossi deluso e che mi aspettavo un comportamento migliore da lui. […] Poi feci ciò che non avevo mai fatto in vita sua: gli dissi di andare a letto e che non sarei andato a trovarlo per dire le preghiere insieme a lui o per raccontargli una storia prima che si addormentasse. Soffocando i singhiozzi, obbedì e andò nella sua stanza, si inginocchiò accanto al letto e tutto solo offrì le sue preghiere. Poi, coricatosi, bagnò il cuscino con le lacrime che suo padre avrebbe già dovuto asciugare da tempo.

Se pensate che il silenzio che mi aveva accolto quando ero entrato nella stanza fosse già profondo, avreste dovuto essere presenti dopo questa scena. Pat non disse una sola parola, non c’era bisogno che lo facesse. Mi sentivo malissimo!

Più tardi, quando ci inginocchiammo accanto al nostro letto, la mia debole preghiera, che invocava le benedizioni del cielo sulla mia famiglia, risuonò vuota, terribilmente vuota alle mie orecchie. Volevo alzarmi immediatamente e andare a chiedere perdono a Matt, ma si era ormai addormentato placidamente.

Io invece non riuscii ad addormentarmi per lungo tempo. Quando alla fine sopravvenne il sonno cominciai a sognare, cosa che faccio raramente. Sognai che io e Matt stavano caricando le nostre cose su due automobili per trasferirci in un’altra casa. Per qualche motivo, sua madre e la sorellina non erano presenti. Quando finimmo di caricare, mi voltai verso di lui e dissi: “Va bene, Matt, tu guida questa macchina, io guiderò l’altra”.

Quel bambino di cinque anni obbedendo salì in automobile e cercò di afferrare con le manine il grosso volante. Mi avviai alla mia macchina e misi in moto. Mentre cominciavo ad allontanarmi, mi voltai per vedere cosa stesse facendo mio figlio. Si stava sforzando, si stava veramente sforzando, cercava di raggiungere i pedali, ma non ci riusciva. Stava anche girando manopole e spingendo bottoni nel tentativo di avviare il motore. Potevo appena vederlo spuntare al di sopra del cruscotto, ma fissi nei miei c’erano di nuovo quegli enormi occhi pieni di lacrime. Mentre mi allontanavo lo udii gridare: “Papà non lasciarmi. Non so guidare questa macchina. Sono troppo piccolo”. Ma io andai via.

Dopo un po’, nel sogno, improvvisamente mi resi conto con terribile evidenza di quanto avevo fatto. Pigiai con forza sul freno, aprii la portiera e cominciai a correre il più velocemente possibile. Abbandonai macchina, chiavi, bagagli e tutto il resto, e presi a correre. La superficie della strada era rovente e mi bruciava i piedi. Le lacrime mi impedivano di vedere, malgrado i miei sforzi, il mio bambino all’orizzonte. Continuai a correre, a pregare, a implorare perdono e a chiedere di trovare mio figlio sano e salvo.

Quando arrivai alla curva, ormai sul punto di cadere a terra per la stanchezza e l’emozione, vidi la macchina che avevo lasciato a Matt perché la guidasse. Era ben parcheggiata a un lato della strada e il bambino era lì vicino che rideva e giocava in compagnia di un uomo anziano che si occupava affettuosamente di lui. Matt mi vide e mi chiamò dicendo: “Ciao, papà! Vieni. Ci stiamo divertendo”. Era evidente che aveva già dimenticato e perdonato la mia terribile colpa nei suoi confronti.

Ma temevo lo sguardo del vecchio, che seguiva ogni mio movimento. Cercai di dire grazie, ma i suoi occhi erano pieni di dolore e di delusione. Borbottai con imbarazzo le mie scuse, ma lo sconosciuto disse semplicemente: “Non avresti dovuto lasciarlo tutto solo a fare una cosa così difficile. A te non sarebbe stato richiesto”.

Con questo il sogno ebbe termine e mi rizzai bruscamente sul letto. Adesso era il mio cuscino a essere bagnato, di lacrime e di sudore. Mi liberai delle coperte e corsi al lettino da campo sul quale dormiva mio figlio. Là in ginocchio e con gli occhi pieni di lacrime lo presi tra le braccia e gli parlai mentre dormiva. Gli dissi che ogni padre commette errori, anche senza averne l’intenzione. Gli dissi che non era colpa sua se avevo avuto una giornata tanto difficile, gli dissi che quando i bambini hanno cinque o quindici anni i padri qualche volta lo dimenticano e pensano che ne abbiano cinquanta. Gli dissi che volevo che rimanesse un bambino per tanto, tanto tempo, perché troppo presto sarebbe cresciuto, sarebbe diventato un uomo e al mio ritorno a casa non l’avrei più trovato a giocare sul pavimento. Gli dissi che volevo più bene a lui, a sua madre e a sua sorella che a chiunque altro al mondo e che, qualsiasi difficoltà avessimo incontrato nella vita, l’avremmo affrontata insieme. Gli dissi che mai più gli avrei rifiutato il mio affetto o il mio perdono e pregai che mai mi avrebbe negato i suoi. Gli dissi che ero onorato di essere suo padre e che mi sarei sforzato con tutto il cuore di essere degno di una così grande responsabilità.

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father and son on their family farm

Ebbene, non ho dimostrato di essere il padre perfetto che quella notte promisi di diventare, ma desidero ancora oggi esserlo e ci sto ancora provando. Credo in questi saggi consigli che ci ha dato il presidente Joseph F. Smith: “Se terrete i vostri [figli] vicini al vostro cuore, dentro la stretta delle vostre braccia, [se] farete sentire loro che li amate […] e che voi li volete tenere vicino, [essi non si allontaneranno] da voi”.1

Non dobbiamo allontanarci dai nostri figli. Dobbiamo continuare a sforzarci, continuare ad agire, continuare a pregare, continuare ad ascoltare. Dobbiamo tenerli nella “stretta delle nostre braccia”.

Nota

  1. Insegnamenti dei presidenti della Chiesa – Joseph F. Smith (1999), 253.

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