2022
La dottrina dell’appartenenza
Novembre 2022


14:41

La dottrina dell’appartenenza

Pe ognuno di noi la dottrina dell’appartenenza è in sostanza questo: “Io sono uno con Cristo nell’alleanza del Vangelo”.

Vorrei parlare di quella che io chiamo la dottrina dell’appartenenza ne La Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni. Questa dottrina è composta da tre parti: 1) il ruolo dell’appartenenza nel raduno del popolo dell’alleanza del Signore, 2) l’importanza del servizio e del sacrificio nell’appartenenza e 3) la centralità di Gesù Cristo nell’appartenenza.

Ai suoi albori, La Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni era composta in gran parte da santi bianchi del Nord America e del Nord Europa, e da un piccolo gruppo di nativi americani, afro-americani e abitanti delle isole del Pacifico. Oggi, a soli otto anni dal 200° anniversario della sua fondazione, la Chiesa nel Nord America è cresciuta moltissimo in numeri e diversità, e ancora di più nel resto del mondo.

Man mano che il raduno del popolo dell’alleanza del Signore, da lungo tempo profetizzato, accelererà negli ultimi giorni, la Chiesa sarà davvero costituita da membri di ogni nazione, tribù, lingua e popolo.1 Non è una diversità calcolata o forzata, ma il fenomeno naturale che ci si aspetterebbe, riconoscendo che nella rete del Vangelo vengono radunate persone da ogni nazione e da ogni popolo.

Quanto siamo benedetti nel poter vedere il giorno in cui Sion viene stabilita simultaneamente in ogni continente e nel nostro quartiere. Come disse il profeta Joseph Smith, in ogni epoca il popolo di Dio ha atteso questo giorno con letizia, e “noi siamo il popolo privilegiato che Dio ha scelto per portare a compimento la gloria degli ultimi giorni”2.

Avendo ricevuto questo privilegio, non possiamo permettere che nella Chiesa di Cristo degli ultimi giorni esistano razzismo, pregiudizi tribali o altre divisioni. Il Signore ci ha comandato: “Siate uno; e se non siete uno non siete miei”3. Dobbiamo essere diligenti nello sradicare il pregiudizio e la discriminazione dalla Chiesa, dalla nostra casa e, soprattutto, dal nostro cuore. Man mano che la nostra popolazione della Chiesa cresce diventando sempre più variegata, il nostro benvenuto deve diventare sempre più spontaneo e caloroso. Abbiamo bisogno gli uni degli altri.4

Nella sua Prima epistola ai Corinzi, Paolo dichiara che tutti coloro che sono battezzati nella Chiesa sono uno nel corpo di Cristo:

“Poiché, siccome il corpo è uno ed ha molte membra, e tutte le membra del corpo, benché siano molte, formano un unico corpo, così ancora è di Cristo.

Infatti noi tutti abbiam ricevuto il battesimo di un unico Spirito per formare un unico corpo, e Giudei e Greci, e schiavi e liberi; e tutti siamo stati abbeverati di un unico Spirito.

“Affinché non ci fosse divisione nel corpo, ma le membra avessero la medesima cura le une per le altre.

E se un membro soffre, tutte le membra soffrono con lui; e se un membro è onorato, tutte le membra ne gioiscono con lui”5.

Il senso di appartenenza è importante per il nostro benessere fisico, mentale e spirituale. Tuttavia, è abbastanza probabile che a volte ognuno di noi possa sentirsi fuori posto. Nei momenti di scoraggiamento, possiamo pensare che non saremo mai all’altezza delle elevate norme del Signore o delle aspettative degli altri.6 Possiamo inconsapevolmente imporre sugli altri, o persino su noi stessi, delle aspettative che non sono le aspettative del Signore. Possiamo comunicare in modi sottili che il valore di un’anima si basa su determinati conseguimenti o chiamate, ma non è questa la misura della nostra posizione agli occhi del Signore. “L’Eterno guarda al cuore”.7 Egli si cura dei nostri desideri, delle nostre aspirazioni e di ciò che stiamo diventando.8

A proposito della sua esperienza degli anni passati, la sorella Jodi King ha scritto:

“Mi sono sempre sentita parte integrante della Chiesa fino a che io e mio marito Cameron non abbiamo avuto problemi di fertilità. I bambini e le famiglie che di solito mi dava gioia vedere in chiesa ora mi causavano dolore e sofferenza.

Mi sentivo vuota senza un bambino tra le braccia o una borsa per i pannolini a portata di mano. […]

La domenica in cui siamo andati per la prima volta in un rione nuovo è stata la più difficile. Visto che non avevamo bambini, ci hanno chiesto se eravamo sposati da poco e quando avevamo intenzione di creare una famiglia. Ero diventata abbastanza brava a rispondere a queste domande senza lasciare che mi turbassero — sapevo che non erano poste allo scopo di farmi del male.

Tuttavia, quella particolare domenica rispondere a quelle domande è stato particolarmente difficile. Avevamo appena scoperto, dopo averci sperato, che ancora una volta non ero rimasta incinta.

[Ero] andata alla riunione sacramentale col morale a terra, e rispondere [alle] tipiche domande fatte per conoscersi [fu] difficile per me. […]

Ma è stato durante la Scuola Domenicale che il mio cuore si è davvero spezzato. La lezione, che doveva essere sul ruolo divino delle madri, in breve tempo [aveva] preso un’altra piega ed [era] diventata una sessione di lamentele sull’essere madri. Il mio cuore [sprofondò] e le lacrime mi rigavano silenziosamente le guance mentre sentivo delle donne lamentarsi riguardo a una benedizione per cui io avrei dato qualunque cosa.

[Uscii] di corsa dalla chiesa. All’inizio non volevo tornare. Non volevo provare ancora una volta quella sensazione di isolamento. Ma quella sera, dopo aver parlato con mio marito, [capimmo] che avremmo continuato a frequentare la Chiesa non solo perché ce l’ha richiesto il Signore, ma anche perché entrambi sapevamo che la gioia che deriva dal rinnovare le nostre alleanze e dal sentire lo Spirito in chiesa sovrasta la tristezza che [avevo] provato quel giorno. […]

Nella Chiesa ci sono persone vedove, divorziate o non sposate; persone con familiari che si sono allontanati dal Vangelo; persone con malattie croniche o difficoltà economiche; membri che sono attratti da persone dello stesso sesso; membri che lavorano per superare dipendenze o dubbi; nuovi convertiti; persone trasferite in città da poco; genitori che non hanno più i figli a casa; e la lista potrebbe continuare all’infinito. […]

Il Signore ci invita a venire a Lui a prescindere dalle nostre circostanze. Andiamo in Chiesa per rinnovare le nostre alleanze, per accrescere la nostra fede, per trovare pace e per fare ciò che Egli fece perfettamente nella Sua vita: ministrare alle persone che si sentono fuori posto”9.

Paolo spiegò che la Chiesa e i suoi funzionari sono dati da Dio “per il perfezionamento dei santi, per l’opera del ministerio, per la edificazione del corpo di Cristo,

finché tutti siamo arrivati all’unità della fede e della piena conoscenza del Figliuol di Dio, allo stato d’uomini fatti, all’altezza della statura perfetta di Cristo”10.

È un triste paradosso, quindi, che qualcuno, sentendo di non raggiungere l’ideale in tutti gli aspetti della vita, concluda di essere fuori posto proprio nell’organizzazione che Dio ha creato per aiutarci a progredire verso l’ideale.

Lasciamo il giudizio nelle mani del Signore e di coloro che Egli ha incaricato, e troviamo soddisfazione nell’amarci e trattarci gli uni gli altri al meglio delle nostre possibilità. ChiediamoGli di mostrarci la via, giorno dopo giorno, per invitare “i poveri, gli storpi, i ciechi e gli zoppi”11, ossia tutti quanti, alla grande cena del Signore.

Un secondo aspetto della dottrina dell’appartenenza ha a che fare con il contributo che diamo noi. Anche se ci pensiamo raramente, gran parte del nostro senso di appartenenza deriva dal servizio che rendiamo e dai sacrifici che facciamo per gli altri e per il Signore. Concentrarci eccessivamente sulle nostre necessità personali o sulle nostre comodità può frustrare questo senso di appartenenza.

Cerchiamo di seguire l’ammonimento del Salvatore:

“Chiunque vorrà esser grande fra voi, sarà vostro servitore; […]

Poiché anche il Figliuol dell’uomo non è venuto per esser servito, ma per servire, e per dar la vita sua come prezzo di riscatto per molti”12.

Il senso di appartenenza non giunge quando lo aspettiamo, ma quando ci facciamo avanti per aiutarci a vicenda.

Oggi, purtroppo, consacrarsi a una causa o sacrificare qualsiasi cosa per chicchessia sta diventando controculturale. In un articolo del Deseret Magazine l’anno scorso, l’autore Rod Dreher ha raccontato una conversazione avuta con una giovane madre a Budapest:

“Sono su un tram di Budapest con […] un’amica sui trent’anni — chiamiamola Kristina — mentre stiamo andando a intervistare un’anziana donna [cristiana] che resistette alle persecuzioni dello stato comunista insieme al suo ormai defunto marito. Mentre sobbalziamo lungo le strade della città, Kristina parla di quanto sia difficile essere onesta con gli amici della sua età riguardo alle difficoltà che affronta come moglie e madre di bambini piccoli.

Quelle di Kristina sono difficoltà del tutto ordinarie per una giovane donna che sta imparando a essere mamma e moglie, eppure l’atteggiamento prevalente nella sua generazione è che le difficoltà della vita sono una minaccia per il proprio benessere e dovrebbero essere evitate. A volte lei e suo marito litigano? Allora le dicono che dovrebbe lasciarlo. I suoi figli la fanno innervosire? Allora dovrebbe mandarli all’asilo nido.

Kristina è preoccupata che i suoi amici non colgano che le prove, e persino la sofferenza, sono una parte normale della vita — e forse anche una parte di una vita bella, se quella sofferenza ci insegna come essere pazienti, gentili e amorevoli. […]

Nel suo studio su degli adulti in età compresa tra i 18 e i 23 anni, Christian Smith, sociologo delle religioni della University of Notre Dame, ha scoperto che la maggior parte di loro crede che la società non sia nulla più di ‘un insieme di individui autonomi che vogliono godersi la vita’”13.

Secondo questa filosofia, tutto ciò che qualcuno considera difficile “è una forma di oppressione”14.

Al contrario, i nostri antenati pionieri trassero un profondo senso di appartenenza, unità e speranza in Cristo dai sacrifici che fecero per svolgere missioni, costruire templi, abbandonare case comode sotto coercizione e cominciare daccapo, e per consacrare in molti altri modi se stessi e i loro mezzi alla causa di Sion. Furono disposti a sacrificare anche la loro vita, se necessario. E tutti noi siamo i beneficiari della loro perseveranza. Lo stesso vale oggi per le molte persone che, poiché si sono battezzate, possono perdere parenti e amici, rinunciare a opportunità lavorative oppure subire discriminazioni o essere vittime di intolleranza. La loro ricompensa, tuttavia, è un possente senso di appartenenza tra il popolo dell’alleanza. Qualsiasi sacrificio compiamo nella causa del Signore ci aiuta a confermare il nostro posto insieme a Colui che ha dato la Sua vita come prezzo di riscatto per molti.

L’elemento finale e più importante della dottrina dell’appartenenza è il ruolo centrale di Gesù Cristo. Non ci uniamo alla Chiesa solo per fare amicizia, per quanto importante sia. Ci uniamo ad essa per la redenzione mediante l’amore e la grazia di Gesù Cristo. Ci uniamo ad essa per ottenere le ordinanze di salvezza e di Esaltazione per noi stessi e per coloro che amiamo da entrambi i lati del velo. Ci uniamo ad essa per partecipare al grande progetto di stabilire Sion in preparazione al ritorno del Signore.

La Chiesa custodisce le alleanze di salvezza ed Esaltazione che Dio ci offre tramite le ordinanze del santo sacerdozio.15 È osservando queste alleanze che otteniamo il più alto e più profondo senso di appartenenza. Di recente il presidente Russell M. Nelson ha scritto:

“Una volta che voi ed io abbiamo stretto un’alleanza con Dio, il nostro rapporto con Lui diventa molto più forte rispetto a prima della nostra alleanza. Ora siamo legati. Grazie alla nostra alleanza con Dio, Egli non allenterà mai i Suoi sforzi per aiutarci e noi non esauriremo mai la pazienza misericordiosa che Egli ha nei nostri confronti. Ciascuno di noi ha un posto speciale nel cuore di Dio. […]

Gesù Cristo è il garante di quelle alleanze (vedere Ebrei 7:22; 8:6)”16.

Se lo ricorderemo, le grandi speranze che il Signore nutre nei nostri confronti saranno per noi fonte di ispirazione, non di scoraggiamento.

Possiamo provare gioia se perseguiamo, individualmente e come gruppo, l’“altezza della statura perfetta di Cristo”17. Nonostante le delusioni e le battute d’arresto lungo il cammino, è una ricerca grandiosa. Ci eleviamo e ci incoraggiamo a vicenda nel percorrere il sentiero verso l’alto, sapendo che, a prescindere dalle tribolazioni e a prescindere dal ritardo delle benedizioni promesse, possiamo farci “animo, [poiché Cristo ha] vinto il mondo”18 e noi siamo con Lui. Essere uno con il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo è senza dubbio l’aspetto più eccelso dell’appartenenza.19

Pertanto, la dottrina dell’appartenenza è in sostanza questo, che ognuno di noi possa affermare: “Gesù Cristo è morto per me; mi ha ritenuto degno del Suo sangue. Egli mi ama e può fare davvero la differenza nella mia vita. Quando mi pento, la Sua grazia mi trasforma. Io sono uno con Lui nell’alleanza del Vangelo; appartengo alla Sua chiesa e al Suo regno; e appartengo alla Sua causa di portare la redenzione a tutti i figli di Dio”.

Rendo testimonianza che voi fate parte di tutto questo. Nel nome di Gesù Cristo. Amen.

Note

  1. Vedere Apocalisse 5:9; vedere anche 1 Nefi 19:17; Mosia 15:28; Dottrina e Alleanze 10:51; 77:8, 11.

  2. Insegnamenti dei presidenti della Chiesa – Joseph Smith (2007), 192.

  3. Dottrina e Alleanze 38:27.

  4. Un acuto osservatore ha notato:

    “La religione intesa come solo una questione privata, è stata fino ad oggi sconosciuta negli annali dell’umanità — e per un buon motivo. Questo tipo di religione si riduce rapidamente a un piacere a porte chiuse, una specie di hobby di una o più persone, come leggere un libro o guardare la televisione. Quindi non sorprende che la ricerca della spiritualità sia diventata così alla moda. È ciò che le persone, liberate dalla religione, cercano disperatamente come surrogato.

    La spiritualità è invero parte integrante di tutte le religioni, ma è una parte marginale che non può sostituire l’insieme. La religione non è un qualche tipo di esercizio psichico che occasionalmente offre un’esperienza trascendentale. O plasma la vita dell’uomo — tutta la vita — o svanisce, lasciandosi alle spalle anime ansiose e vuote che nessuna psicoterapia può raggiungere. Affinché possa forgiare la vita, la religione deve essere pubblica e comunitaria; deve essere collegata a chi è morto e a chi non è ancora nato” (Irving Kristol, “The Welfare State’s Spiritual Crisis”, Wall Street Journal, 3 febbraio 1997, A14).

  5. 1 Corinzi 12:12–13, 25–26.

  6. Vedere Russell M. Nelson, “Perfezionamento in corso”, La Stella, gennaio 1996, 98–101; Jeffrey R. Holland, “Voi dunque siate perfetti, alla fine”, Liahona, novembre 2017, 40–42.

  7. 1 Samuele 16:7.

  8. Come detto dall’anziano Jeffrey R. Holland: “‘Vieni così come sei’, dice un Padre amorevole a ciascuno di noi, per poi aggiungere ‘ma non pensare di rimanere così come sei’. Noi sorridiamo e ricordiamo che Dio è determinato a fare di noi molto più di quello che pensiamo di poter essere” (“Canti espressi e inespressi”, Liahona, maggio 2017, 51).

  9. Jodi King, “L’appartenenza alla Chiesa vista attraverso le lenti dell’infertilità”, Liahona, marzo 2020, 46, 48–49.

  10. Efesini 4:12–13.

  11. Luca 14:21.

  12. Marco 10:43–45; enfasi aggiunta.

  13. Rod Dreher, “A Christian Survival Guide for a Secular Age”, Deseret Magazine, aprile 2021, 68.

  14. Dreher, “A Christian Survival Guide for a Secular Age”, 68.

  15. Vedere Dottrina e Alleanze 84:19–22.

  16. Russell M. Nelson, “L’alleanza eterna”, Liahona, ottobre 2022, 6, 10.

  17. Efesini 4:13.

  18. Giovanni 16:33.

  19. Vedere Giovanni 17:20–23. “Ed ora, vorrei raccomandarvi di cercare questo Gesù del quale hanno scritto i profeti e gli apostoli, affinché la grazia di Dio Padre, e anche del Signore Gesù Cristo, e dello Spirito Santo, che porta testimonianza di Essi, sia e rimanga in voi per sempre” (Ether 12:41).