Invecchiare con fede
“Sai quanto sono grata?”
L’autrice vive nello Utah, USA.
Una sera, mentre mi prendevo cura di una sorella anziana, ho imparato una lezione intramontabile sul rendere grazie.
Dorothy sapeva che la sua vita stava per giungere al termine. Perdeva qualcosa ogni giorno; non cose tangibili, ma capacità. La capacità di farsi la doccia. La capacità di cucinare i propri pasti. La capacità di andare fino al bagno senza cadere. La capacità di aprire la porta sul retro e raccogliere il giornale. La capacità di scrivere un biglietto a un proprio caro.
Alcune cose, però, non le aveva ancora perse. Il suo coraggio. Il suo umorismo. La sua gratitudine. Grazie a tutte queste cose, stare con Dorothy era una gioia. Sembrava che la sua casa accogliesse ospiti da entrambi i lati del velo.
Una sera, io ero l’ospite della Società di Soccorso del rione che stava con lei, in teoria per aiutarla. Scoppiò un temporale e l’elettricità saltò all’incirca alle 23:00. Scoprimmo che non c’era elettricità quando io cercai di accendere la luce per aiutarla ad andare in bagno. Premetti l’interruttore, ma non accadde nulla. Tuttavia, Dorothy era preparata. Estrasse una piccola torcia da una tasca del suo deambulatore e in qualche modo con quella luce fioca riuscimmo a percorrere a tentoni il corridoio. Dopo essere tornate lentamente alla sua sedia, lei sorrise e disse: “Sai quanto sono grata?”.
Quella stessa sera, verso mezzanotte e mezza, qualcosa mi svegliò. Sentii questo suggerimento: “Dorothy ha bisogno del suo ossigeno portatile”. Notai che il gorgoglio della macchina per l’ossigeno di Dorothy si era fermato. L’elettricità mancava ancora. Corsi a prenderle l’ossigeno portatile. Glielo sistemai, cercando di non svegliarla. Mentre le facevo passare i tubi attorno al viso, alzò lo sguardo e disse di nuovo: “Sai quanto sono grata?”.
Fortunatamente, quando le mandai un SMS all’una del mattino, la nostra presidentessa della Società di Soccorso rispose. “A casa mia l’elettricità c’è”, disse. “Chiamo la compagnia elettrica”. La sua telefonata doveva avere avuto effetto, perché all’una e mezza arrivò un furgoncino e degli uomini iniziarono a sistemare l’elettricità a casa di Dorothy. Quando lei si svegliò, verso le due e mezza, per fare un’altra lenta camminata verso il bagno illuminata dalla torcia, guardò attraverso le finestre della cucina. Vide tutti gli operai e disse. “Spero che sappiano quanto sono grata”.
Gli operai se ne andarono alle cinque e mezza quella mattina, proprio quando la batteria dell’ossigeno portatile si esaurì. L’elettricità però era tornata. Dopo un altro lento viaggio al bagno, vedemmo che la sua macchina dell’ossigeno aveva ripreso a gorgogliare. La aiutai a rimettersi in sicurezza sulla sedia. Prima di chiudere gli occhi, mi raccontò di altri tre visitatori che aveva visto durante la notte: familiari che erano venuti a portarle conforto e pace. Poi sussurrò di nuovo: “Sai quanto sono grata?”.
Lasciai la casa di Dorothy alle 8:00 del sabato mattina, quando arrivò un’altra sorella del nostro rione per stare con lei. Come mi sedetti in macchina, iniziai a piangere. Provavo molto amore per Dorothy, molta gratitudine per i momenti di affetto vissuti con lei.
Mi ritrovai a offrire una preghiera di grazie mentre le sue parole mi sgorgavano dal cuore: “Padre Celeste sai quanto sono grata?”.
Anche se Dorothy era avanti con gli anni e aveva bisogno di assistenza, quella notte il suo esempio semplice di gratitudine mi ha benedetto e continua a benedirmi. Sebbene sia morta, spesso mi ritrovo a pensare: “Le persone sanno quanto sono grata?”. E quando mi capita, cerco di esternare la mia gratitudine.