Storia della Chiesa
13 Con ogni mezzo possibile


“Con ogni mezzo possibile”, capitolo 13 di Santi – La storia della Chiesa di Gesù Cristo negli ultimi giorni, Volume 2, Nessuna mano profana, 1846–1893 (2019)

Capitolo 13: “Con ogni mezzo possibile”

Capitolo 13

Con ogni mezzo possibile

accampamento di tepee

Nell’autunno del 1853 Augusta Dorius viveva a Salt Lake City da circa un anno. La città era molto più piccola di Copenaghen. Gli edifici erano per lo più costituiti da case di tronchi o da strutture di mattoni di un piano o due. Oltre alla grande Council House, dove si tenevano molte riunioni civiche e della Chiesa, i santi avevano costruito un ufficio e un recinto del bestiame per la raccolta delle decime e una sala in cui si tenevano balli, rappresentazioni teatrali e altri eventi della comunità. Nel vicino isolato del tempio c’erano diverse officine che servivano per la costruzione del tempio e un nuovo tabernacolo di mattoni con una capienza di quasi tremila persone.1

Come tante altre giovani donne immigrate nella valle, Augusta lavorava presso una famiglia. Vivere e lavorare con queste persone la aiutò a imparare velocemente l’inglese. Tuttavia, le mancavano la Danimarca e la sua famiglia.2 Suo fratello Johan era stato rilasciato dalla prigione in Norvegia e ora lui e Carl stavano predicando il Vangelo in Danimarca e in Norvegia, a volte come colleghi. Anche suo padre predicava in tutta la Danimarca, quando non si occupava delle tre sorelle più giovani di Augusta. La madre di Augusta viveva a Copenaghen e continuava a non essere interessata alla Chiesa.3

A fine settembre, Augusta gioì quando a Salt Lake City arrivò una compagnia di più di duecento santi danesi. Anche se la sua famiglia non era tra loro, l’arrivo di altri danesi aiutò Augusta a sentirsi maggiormente a casa nello Utah. Tuttavia, subito dopo l’arrivo della compagnia, Brigham Young chiamò i danesi appena arrivati a partecipare alla colonizzazione di un’altra parte del territorio.4

Da quando erano arrivati tra le Montagne Rocciose, i santi avevano stabilito degli insediamenti oltre la Valle del Lago Salato, come Ogden a nord e Provo a sud. Tra queste città, e anche più lontano, ne erano sorte altre. Brigham aveva anche mandato delle famiglie nel sud dello Utah a costruire un’acciaieria per fabbricare prodotti in ferro e per rendere il territorio più autosufficiente.5

Brigham mandò i danesi a rafforzare gli insediamenti nella Valle di Sanpete, situata a circa centocinquanta chilometri a sud-est di Salt Lake City.6 I primi coloni erano arrivati a Sanpete nell’autunno del 1849 su invito di Walkara, un potente capo Ute che aveva ricevuto il battesimo la primavera seguente.7 Circa in quel periodo, però, erano sorti dei problemi quando tre coloni nella vicina Valle dello Utah avevano ucciso un Ute chiamato Old Bishop durante una lite per una camicia.

Quando gli Ute fecero delle rappresaglie, in un primo tempo Brigham esortò i coloni a non reagire. In generale la sua politica era di insegnare ai santi a vivere in pace con i loro vicini indiani. Dopo essersi consigliato con i dirigenti dell’insediamento di Provo, che gli tennero nascosto l’omicidio di Old Bishop, Brigham alla fine ordinò alla milizia di intraprendere una campagna contro gli aggressori Ute. All’inizio del 1850, la milizia attaccò un accampamento di circa settanta Ute lungo il fiume Provo. Dopo due giorni di combattimento, gli abitanti dell’accampamento si dispersero e la milizia ne inseguì la maggior parte fino all’estremità meridionale del lago Utah, dove circondò e uccise i restanti uomini Ute.

Questa campagna rapida e sanguinosa aveva posto fine ai combattimenti intorno a Provo.8 Tuttavia, le tensioni che generò si diffusero rapidamente nella Valle di Sanpete, dove i coloni avevano reclamato la terra migliore e avevano impedito agli indiani di pescare e di cacciare in quei territori. Spinti dalla fame e dalla disperazione, alcuni indiani cominciarono a depredare il bestiame dei coloni o a chiedere da mangiare.9

I dirigenti territoriali avevano anche fatto arrabbiare Walkara e il suo popolo per aver regolamentato il commercio nella zona, inclusa l’antica pratica indiana di fare prigionieri tra le altre tribù e di venderli come schiavi. Sebbene le leggi dello Utah proibissero agli indiani di vendere i loro prigionieri ai mercanti di schiavi spagnoli e messicani, Walkara e gli altri indiani potevano tuttavia venderli ai santi come servitù debitoria. Molti di quei prigionieri erano donne e bambini, e i santi spesso li compravano credendo di liberarli dalla tortura, dalla trascuratezza o dalla morte. Alcuni santi assumevano gli ex prigionieri come lavoratori, mentre altri li trattavano come membri della famiglia.

La perdita del mercato spagnolo e messicano fu un duro colpo per il sostentamento degli Ute, soprattutto da quando, a causa della perdita della loro terra a favore dei nuovi insediamenti, dovevano dipendere di più dal commercio degli schiavi.10

Nel luglio del 1853 le tensioni si tramutarono in violenza quando un uomo nella Valle dello Utah uccise un indiano Ute durante una lite e Walkara ripagò con la stessa moneta.11 I dirigenti della milizia di Salt Lake City ordinarono alle unità della milizia di stare sulla difensiva e di evitare di uccidere gli Ute, ma alcuni coloni agirono contrariamente agli ordini ed entrambe le fazioni si attaccarono brutalmente.12

Anche se trasferendosi nella Valle di Sanpete si sarebbe trovata in mezzo a questo conflitto, Augusta scelse di unirsi ai santi danesi. Viaggiando verso sud, videro che i coloni avevano cautamente abbandonato le fattorie e le città più piccole e avevano costruito dei forti.13

Nella Valle di Sanpete, la compagnia si stabilì in un luogo chiamato Spring Town. Le quindici famiglie della città avevano disposto le loro case in un cerchio stretto. Poiché non c’erano casette libere, Augusta e i nuovi coloni vissero nei loro carri. Ogni mattina e ogni sera il suono di un tamburo ordinava agli abitanti dell’insediamento di presentarsi all’appello dove il vescovo Reuben Allred designava chi era di guardia e affidava altri incarichi. Poiché Augusta aveva imparato l’inglese mentre lavorava presso la famiglia nella Valle del Lago Salato, il vescovo la assunse come sua interprete per comunicare con i santi danesi.14

Col tempo, la colonia si ritrovò senza cibo e il vescovo mandò degli uomini a cavallo che andarono velocemente a chiedere aiuto nella città di Manti. Quando tornarono, gli uomini riferirono che Walkara si era trasferito a sud e non rappresentava più una minaccia.15 In altre parti del territorio sembrava che la guerra stesse giungendo al termine.16

Tuttavia, le forti nevicate e le temperature gelide di quell’inverno resero sia i coloni sia gli Ute più disperati che mai, man mano che le provviste diventavano sempre più scarse. Temendo un attacco imminente, i dirigenti di Spring Town decisero che tutti dovevano trasferirsi a Manti per motivi di sicurezza. A dicembre, Augusta e gli altri coloni abbandonarono la città mentre una tempesta di neve infuriava attorno a loro.17


Mentre Augusta si stabiliva a Manti e il conflitto con il popolo di Walkara rimaneva irrisolto, la trentacinquenne Matilda Dudley incontrava diversi amici a Salt Lake City per discutere che cosa si potesse fare per le donne e i bambini indiani.18

Dall’inizio del conflitto con Walkara, Brigham Young e altri dirigenti della Chiesa avevano esortato i santi a cessare le ostilità verso gli Ute e gli altri popoli nativi. “Cercate con ogni mezzo possibile di mandare agli indiani un messaggio di pace”, li supplicò.

Alla conferenza generale di ottobre del 1853, Brigham osservò che i missionari stavano viaggiando in tutto il mondo per radunare Israele mentre gli indiani, che erano un residuo del casato d’Israele, vivevano già tra di loro. Egli quindi chiamò più di venti missionari perché trascorressero l’inverno a studiare le lingue degli indiani per poter servire tra loro in primavera.

Brigham inoltre consigliò ai santi di non cercare la vendetta se gli indiani avessero sottratto loro i cavalli, il bestiame o altri beni. “Dovreste vergognarvi al pensiero di volerli uccidere”, disse. “Invece di ammazzarli, predicate loro il Vangelo”19. Inoltre, Parley Pratt esortò i santi a fornire cibo e abiti alle donne e ai bambini indiani.20

Queste parole avevano ispirato Matilda, una madre sola con un figlio. Quand’era bambina negli Stati Uniti orientali, gli indiani avevano ucciso suo padre e avevano rapito lei e la madre. Un indiano anziano aveva tuttavia mostrato compassione intervenendo per salvare loro la vita. Da allora aveva apprezzato i valori come l’unità, l’umiltà e l’amore, e riteneva che fosse importante che lei e le sue amiche organizzassero un’associazione di donne che facesse dei vestiti per gli indiani.21

Una delle sue amiche, Amanda Smith, accettò di aiutarla. Amanda era sopravvissuta al massacro di Hawn’s Mill ed era stata membro della Società di Soccorso femminile di Nauvoo. Anche se Brigham Young aveva sospeso le riunioni della Società di Soccorso nove mesi dopo la morte di Joseph Smith, Amanda e altre donne della Chiesa avevano continuato a servire le loro comunità e sapevano quanto bene potesse fare la Società di Soccorso.22

Il 9 febbraio 1854, Matilda convocò la prima riunione ufficiale della sua nuova organizzazione di soccorso. Donne provenienti da diverse parti della città si incontrarono a casa sua ed elessero le dirigenti del gruppo. Matilda divenne la presidentessa e la tesoriera e chiese che ogni membro pagasse venticinque centesimi per entrare a far parte dell’associazione. Propose, inoltre, che insieme confezionassero dei tappeti di stracci per venderli e raccogliere il denaro per comprare il materiale necessario a fare i vestiti per le donne e i bambini indiani.23

Le donne cominciarono a incontrarsi ogni settimana per il resto dell’inverno e durante la primavera per cucire gli stracci per realizzare i tappeti e per godere della compagnia reciproca. “Lo spirito del Signore era con noi”, scrisse Amanda Smith, “e prevaleva l’unità”24.


Quando nella Valle del Lago Salato giunse la primavera, gli uomini chiamati a servire nella Missione indiana si diressero a sud, accompagnati da un gruppo di venti missionari assegnati alle isole Hawaii. Circa nello stesso periodo, anche Brigham Young e diversi altri dirigenti della Chiesa lasciarono Salt Lake City per andare a visitare gli insediamenti meridionali e per incontrare Walkara. Il capo Ute aveva recentemente promesso di porre fine al conflitto in cambio di doni e dell’impegno del governo territoriale di smettere di opporsi alla tratta degli schiavi.25

Sapendo che il conflitto sarebbe continuato se i coloni e gli Ute non avessero rispettato le leggi territoriali e i diritti reciproci, Brigham fissò un incontro con Walkara in un luogo chiamato Chicken Creek, non lontano dall’insediamento di Salt Creek, dove l’autunno precedente dei coloni avevano ucciso nove Ute.26

La comitiva di Brigham arrivò a Chicken Creek l’11 maggio. Nell’accampamento Ute circa una dozzina di persone, tra cui la figlia di Walkara, erano malate. Diversi guerrieri facevano la guardia alla tenda di Walkara. Con il permesso degli Ute, Brigham e altri dirigenti della Chiesa entrarono nella tenda e trovarono Walkara avvolto in una coperta e disteso per terra. Altri capi Ute delle valli vicine erano seduti lì accanto.

Walkara sembrava malato e irascibile. “Non voglio parlare. Voglio sentir parlare il presidente Young”, disse. “Non ho né cuore né spirito e ho paura”.

“Ti ho portato dei buoi”, disse Brigham. “Ne farò uccidere uno cosicché possiate festeggiare mentre siamo qui”. Aiutò Walkara a sedersi e prese posto accanto a lui.27

“Fratello Brigham, imponi le mani sul mio capo”, disse Walkara, “poiché il mio spirito se ne è andato e io voglio che ritorni”. Brigham gli impartì una benedizione e sebbene Walkara sembrasse migliorare, rifiutava ancora di parlare.28

“Lasciamo che Walkara dorma e si riposi un po’, poi magari parlerà”, disse Brigham agli altri uomini nella tenda.29 Fece dono agli Ute di bestiame, tabacco e farina e quella notte tutto l’accampamento festeggiò.30

La mattina seguente, Brigham benedisse la figlia di Walkara e il medico della compagnia somministrò una medicina a lei e agli altri malati dell’accampamento. Brigham quindi promise di continuare a mantenere la sua amicizia con gli Ute e offrì di fornire loro cibo e vestiti se avessero promesso di non combattere. Egli tuttavia non rimosse il divieto di commerciare gli schiavi.31

Walkara accettò di non attaccare più i coloni. “Ora ci capiamo”, disse. “Ora tutti potranno circolare in pace senza temere”. I due uomini si strinsero la mano e fumarono la pipa della pace.32

Quando proseguì verso sud con il suo gruppo di dirigenti della Chiesa e di missionari, Brigham parlò degli indiani in un insediamento dopo l’altro.33 “Il Signore mi ha detto che è dovere di questo popolo salvare i superstiti del casato d’Israele, che sono nostri fratelli”, disse Brigham a una congregazione.

Rammentò loro che molti santi, prima di andare a Ovest, avevano profetizzato o visto in visione che avrebbero proclamato il Vangelo agli indiani e avrebbero insegnato loro abilità quali il cucito e l’agricoltura. Ora quelle stesse persone non volevano avere più niente a che fare con gli indiani. “È giunto il momento”, dichiarò, “di mettere in pratica ciò che avete visto anni fa”34.

Dopo aver fatto visita a Cedar City, l’insediamento dei santi più a sud del territorio, Brigham si separò dagli uomini diretti in missione presso gli indiani o alle Hawaii. Dopo aver fatto ritorno a nord, dedicò la sua prima domenica a casa per parlare con le donne di Salt Lake City affinché ogni rione organizzasse una associazione di soccorso come quella di Matilda Dudley per aiutare a rivestire le donne e i bambini indiani.35

Subito i rioni nella Valle del Lago Salato organizzarono più di venti associazioni di soccorso per gli indiani. Le donne visitavano le singole case e chiedevano donazioni di stoffe o stracci, articoli per il cucito e altri oggetti che potevano vendere per denaro.36


Tra i missionari che avevano viaggiato a sud con Brigham Young c’era il quindicenne Joseph F. Smith, il figlio più giovane di Hyrum Smith, il patriarca morto martire. La notte del 20 maggio 1854, a Cedar City, dopo che Brigham era partito per fare ritorno a casa, Joseph aveva disteso a terra una coperta per dormire. Aveva viaggiato tutto il pomeriggio lungo la strada che lo avrebbe portato sulla costa della California. Eppure non riusciva a dormire. Alzò lo sguardo al cielo, vide le innumerevoli stelle che formavano la Via Lattea e sentì nostalgia di casa.

Joseph era il più giovane dei venti missionari diretti alle Hawaii. Anche se due cugini di suo padre erano stati chiamati insieme a lui, egli si sentiva separato da tutti coloro che amava e onorava.37 I giovani della sua età di solito non venivano chiamati in missione. Joseph era un’eccezione.

Per quasi dieci anni aveva mostrato un carattere “irascibile” — da quando suo padre e suo zio erano stati assassinati. E a mano a mano che cresceva era peggiorato perché era giunto a credere che le persone non avessero mostrato il dovuto rispetto a sua madre Mary Fielding Smith. Joseph riteneva che fosse stata spesso trascurata dopo la morte del marito, specialmente durante il viaggio verso ovest.38

Ricordava che il capitano della loro compagnia si era lamentato del fatto che Mary e la sua famiglia rallentassero la loro carovana. Mary aveva giurato che lei e la sua famiglia avrebbero battuto il capitano arrivando prima di lui nella valle, e Joseph aveva voluto aiutarla a mantenere la sua promessa. Anche se a quell’epoca aveva solo nove anni, guidava il carro, si occupava del bestiame e faceva qualsiasi cosa sua madre gli chiedesse di fare. Alla fine la sua forza di volontà e la sua fede avevano condotto la sua famiglia nella valle prima del capitano, proprio come si era riproposta di fare.39

La famiglia si era stabilita a sud di Salt Lake City e Mary era morta nell’autunno del 1852 per un’infezione ai polmoni. Quando aveva saputo della sua morte, Joseph era svenuto.40 Per un certo periodo lui e sua sorella minore, Martha Ann, avevano vissuto in una fattoria con una donna gentile, ma anch’ella era morta. Poi la zia, Mercy Thompson, si era presa cura di Martha Ann mentre l’apostolo George A. Smith, cugino del loro padre, aveva preso Joseph sotto la sua ala.

Joseph aveva anche potuto contare sul sostegno dei suoi fratelli maggiori. Sebbene sua sorella maggiore, Lovina, fosse rimasta nell’Illinois con il marito e i figli, suo fratello maggiore, John, e le sue sorelle più grandi, Jerusha e Sarah, vivevano nelle vicinanze.

Come molti giovani della sua età, Joseph lavorava come mandriano, vegliando sui bovini e sugli ovini della sua famiglia.41 Nonostante questo lavoro lo tenesse occupato, egli divenne sempre più turbolento e irascibile. Quando aveva ricevuto la sua chiamata in missione avrebbe potuto rifiutarla, come avevano fatto alcuni uomini, e lasciare che la sua rabbia lo conducesse su un’altra strada. Però l’esempio dei suoi genitori significava molto per lui. Nel giro di qualche settimana era stato ordinato al Sacerdozio di Melchisedec, aveva ricevuto l’investitura ed era stato messo a parte per predicare il vangelo di Gesù Cristo.42

Mentre si trovava sotto le stelle a Cedar City, non sapeva molto di dove stesse andando o che cosa aspettarsi una volta arrivato lì. Dopo tutto, aveva solo quindici anni. A volte si sentiva forte e importante, ma altre volte si sentiva debole e insignificante.

Che cosa ne sapeva del mondo o della predicazione del Vangelo?43.


Nell’estate del 1854 nella Valle di Sanpete si instaurò una pace incerta. A quel tempo, Augusta Dorius si era unita al vescovo Reuben Allred e a una compagnia di quindici famiglie che stavano costruendo un forte undici chilometri a nord di Manti. Le persone della compagnia erano per lo più danesi di Spring Town, ma con loro c’erano anche un santo canadese di nome Henry Stevens, sua moglie, Mary Ann, e i loro quattro figli. Henry e Mary Ann erano membri della Chiesa da tanti anni ed erano tra gli ultimi pionieri giunti nella Valle di Sanpete.44

Il vescovo Allred stabilì la compagnia lungo un ruscello vicino a un basso rilievo. Il sito sembrava ideale per la colonizzazione, sebbene il timore degli attacchi da parte degli indiani che sfruttavano le risorse di quel territorio avesse tenuto lontano da quella zona la maggior parte delle persone.

I santi iniziarono subito a costruire il forte. Estraendo pietra calcarea dalle montagne vicine, costruirono delle mura alte quasi tre metri, intervallate ogni sei metri da feritoie per potersi difendere. Davanti alla struttura, che chiamarono Fort Ephraim, costruirono una torre e un portone massiccio da cui le guardie avrebbero potuto osservare eventuali pericoli. All’interno, il forte era abbastanza grande da custodire i cavalli, i bovini e gli ovini dei coloni durante la notte. Attorno alle mura interne del forte c’erano delle case per i coloni fatte di fango e di tronchi.

Augusta viveva con il vescovo Allred e con sua moglie, Lucy Ann. Gli Allred avevano sette figli che vivevano con loro, tra cui Rachel, una giovane donna indiana che avevano adottato. Sebbene i coloni di Ephraim fossero poco equipaggiati, erano pieni di speranza per il futuro del loro nuovo insediamento. Durante il giorno, i bambini giocavano nel forte, mentre le donne e gli uomini lavoravano.45

Erano trascorsi più di due anni da quando Augusta aveva lasciato la Danimarca. Tante famiglie l’avevano accolta e si erano prese cura di lei, ma Augusta voleva una famiglia tutta sua. A sedici anni aveva raggiunto l’età in cui alcune donne di frontiera si sposavano. Aveva ricevuto qualche proposta di matrimonio, ma aveva rifiutato perché si sentiva troppo giovane.

Quando Henry Stevens chiese la sua mano, lei ci pensò seriamente. Alcune donne prosperavano nel matrimonio plurimo, ma altre trovavano la pratica difficile e talvolta solitaria. Spesso, le donne che sceglievano di osservare quel principio lo facevano più per fede che per un sentimento di amore romantico. Dal pulpito e in privato, i dirigenti della Chiesa spesso consigliavano a coloro che praticavano il matrimonio plurimo di coltivare l’altruismo e il puro amore di Cristo nelle loro case.46

Nella Valle di Sanpete, circa un quarto dei coloni apparteneva a famiglie che praticavano il matrimonio plurimo.47 Quando rifletteva sul principio, Augusta sentiva che era giusto. Anche se conosceva a malapena Henry e Mary Ann, che era delicata e spesso ammalata, riteneva che fossero brave persone che volevano prendersi cura di lei e provvedere a lei. Tuttavia, unirsi alla loro famiglia sarebbe stato un atto di fede.

Alla fine Augusta decise di accettare la proposta di matrimonio di Henry e presto si recarono a Salt Lake City per essere suggellati nella Council House. Quando tornarono a Fort Ephraim, Augusta prese il suo posto in famiglia. Come la maggior parte delle donne sposate, mungeva le mucche, faceva le candele, il burro e il formaggio; filava la lana e tesseva; faceva abiti per la famiglia e a volte abbelliva i capi d’abbigliamento femminili con dei bei lavori all’uncinetto.

La famiglia non disponeva di una stufa, quindi Augusta e Mary Ann cucinavano nel camino che serviva anche a riscaldare e a illuminare la loro semplice casa. La sera, a volte partecipavano ai balli e ad altre attività con i loro vicini.48


Il 26 settembre la pioggia oscurò le Hawaii dalla vista di Joseph F. Smith e degli altri missionari che erano diretti al porto di Honolulu. Nel tardo pomeriggio, le piogge cessarono e i raggi del sole, filtrando attraverso la foschia, rivelarono una splendida vista dell’isola più vicina. Dal ponte della nave, i missionari riuscirono a vedere una cascata che si riversava nell’oceano Pacifico attraverso uno stretto canyon.49

I missionari arrivarono a Honolulu il giorno seguente, e Joseph fu inviato a casa di Francis e Mary Jane Hammond sull’isola di Maui. La maggior parte dei missionari destinati originariamente alle Hawaii, incluso George Q. Cannon, era già tornata negli Stati Uniti. Sotto la guida di Francis, l’opera missionaria continuava a prosperare sull’isola, anche se molti santi si stavano preparando a trasferirsi nel nuovo luogo di raduno a Lanai, dove i santi avevano stabilito un insediamento nella Valle di Palawai.50

Subito dopo essere arrivato a casa degli Hammond, Joseph fu colpito da quella che i missionari chiamavano “la febbre di Lahaina”. Mary Jane, che gestiva una scuola per gli hawaiani mentre suo marito predicava, cominciò a curare Joseph per rimetterlo in forze e lo presentò ai membri locali della Chiesa.51

L’8 ottobre 1854, la prima domenica di Joseph a Maui, lo accompagnò a una riunione domenicale con sei santi hawaiani. Avendo sentito dire che Joseph era il nipote del profeta Joseph Smith, i santi erano ansiosi di sentirlo predicare. Sembrarono provare un affetto immediato nei suoi confronti, anche se egli non riuscì a dire loro una sola frase nella loro lingua.

Nei giorni successivi, la salute di Joseph peggiorò. Dopo aver insegnato a scuola, Mary Jane diede a Joseph un tè alle erbe e gli bagnò i piedi per aiutarlo a far scendere la febbre. Egli sudò tutta la notte e al mattino si sentì meglio.

Francis lo portò presto a fare un giro di Lanai. Ospitava solo un centinaio di santi ma i missionari si aspettavano che più di un migliaio di persone si sarebbero radunate lì nei mesi successivi. Per preparare il loro arrivo, alcuni missionari avevano cominciato ad arare i campi, a seminare e ad abbozzare una città.52

Dopo la sua visita a Lanai, Joseph tornò a Maui dove vivevano Jonathan e Kitty Napela. Joseph voleva essere un bravo missionario, quindi si dedicò all’opera studiando la lingua e incontrando spesso i santi hawaiani.

“Sono felice di poter dire che sono pronto ad affrontare ogni difficoltà per questa causa nella quale sono impegnato”, scrisse a George A. Smith, “e spero sinceramente e prego di poter rimanere fedele fino alla fine”53.