Capitolo 1
Dove e quando
“Digli di rimandare qui la Chiesa”.
Una voce sottile e pressante colse di sorpresa la sedicenne Nora Siu Yuen Koot. “Cosa?”, disse lei.
“Digli di rimandare qui la Chiesa”.
Di nuovo Nora udì chiaramente il messaggio. Era come se qualcuno glielo avesse sussurrato all’orecchio destro. Ma non c’era nessuno vicino a lei. Si trovava da sola fuori da un hotel di Hong Kong nel settembre del 1954. Alcuni visitatori provenienti dagli Stati Uniti erano appena saliti su un autobus per raggiungere l’aeroporto e lei li stava salutando con la mano.
I visitatori erano dirigenti de La Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni in viaggio nell’Asia orientale. In quella parte del mondo vivevano più di un miliardo di persone, ma solo un migliaio di loro avevano accettato il vangelo restaurato di Gesù Cristo. Era da diversi anni che la Chiesa non era presente ufficialmente a Hong Kong, in particolare da quando dei disordini sociali in Cina e una guerra nella vicina Corea avevano portato i dirigenti della Chiesa a chiudere la missione nel 1951. Ora però il conflitto era finito e i visitatori erano venuti a controllare come stessero Nora e gli altri diciotto santi che vivevano in città.
A capo del gruppo c’era l’anziano Harold B. Lee, un membro anziano del Quorum dei Dodici Apostoli della Chiesa. Nora sapeva che era una persona importante, ma non conosceva abbastanza bene l’amministrazione della Chiesa da averne chiaro il motivo. Eppure, sapeva che il messaggio che le era stato sussurrato era per lui.
Senza pensarci due volte, tese la mano verso l’autobus, sperando che non si mettesse in marcia. “Apostolo Lee”, disse.
L’anziano Lee porse la mano da un finestrino aperto e Nora la strinse. “Per favore, rimandi qui la Chiesa”, disse piangendo. “Noi santi senza la Chiesa siamo come persone senza cibo. Abbiamo bisogno di essere nutriti spiritualmente”.
Gli occhi dell’apostolo si riempirono di lacrime. “Non spetta a me decidere”, disse, “ma farò rapporto ai fratelli”. Disse a Nora di pregare e di serbare la fede, assicurandola che, finché ci fossero stati santi fedeli come lei, la Chiesa c’era a Hong Kong.
L’autobus quindi ingranò la marcia e cominciò pian piano ad allontanarsi.
Un mese dopo l’altro, Nora non ricevette nessuna notizia dalla Chiesa. A volte si chiedeva se le avrebbe mai ricevute. I missionari santi degli ultimi giorni si erano sempre trovati in difficoltà a Hong Kong. Gli anziani avevano predicato lì per la prima volta negli anni ’50 dell’Ottocento, ma la malattia, le differenze religiose e culturali, la povertà e la barriera linguistica li avevano portati ad abbandonare la missione dopo pochi mesi e senza alcun battesimo. Il gruppo successivo di missionari arrivò nel 1949, ma quella missione durò solo due anni.
In quel periodo, Nora e le sue due sorelle più giovani divennero le primi cinesi a unirsi alla Chiesa a Hong Kong. La loro famiglia era tra le centinaia di migliaia di profughi che si erano recati nella colonia britannica per sfuggire ai disordini che imperversavano nella Cina continentale. La sede della missione si trovava sulla stessa strada di casa loro, e la matrigna di Nora le mandava lì ogni mattina, sperando che imparassero l’inglese e qualsiasi altra cosa insegnassero i missionari.
Nora riusciva ancora a ricordare le lezioni sulla Bibbia che aveva ricevuto dalla sorella Sai Lang Aki, una missionaria hawaiana di origine cinese, che la aiutò a imparare l’inglese. In quel periodo Nora ricevette una testimonianza del vangelo restaurato. La sua testimonianza la aiutò a rimanere forte dopo la chiusura della missione, quando sembrava che il sole fosse ormai tramontato su Hong Kong. Anche in assenza delle ordinanze del sacerdozio, delle riunioni sacramentali, delle case di riunione e di materiale della Chiesa in cinese, si aggrappò tenacemente alla sua fede in Gesù Cristo.
Nell’agosto del 1955, quasi un anno dopo la visita dell’anziano Lee, un giovane alto e biondo si avvicinò a Nora nel cinema dove lavorava. Riconobbe subito che si trattava di Grant Heaton, che aveva servito come missionario a Hong Kong prima della chiusura della missione. Lui e sua moglie, Luana, erano appena arrivati a Hong Kong per aprire la Missione dell’Estremo Oriente Meridionale, da poco istituita.
Nora provò un immenso senso di gioia. Come aveva sperato, l’anziano Lee aveva parlato con i dirigenti della Chiesa dei santi di Hong Kong. Infatti, poco dopo essere tornato negli Stati Uniti, aveva raccomandato la riapertura della missione e aveva persino raccontato la storia di Nora alla Conferenza generale della Chiesa. Il presidente della Chiesa David O. McKay aveva poi chiamato Grant a dirigere la nuova missione, che copriva Hong Kong, Taiwan, le Filippine, Guam e altre località di quella regione.
“Il sole sta sorgendo”, pensò Nora. “La mattina è tornata per i santi di Hong Kong!”.
Il 22 settembre 1955, quasi due mesi dopo l’apertura della Missione dell’Estremo Oriente Meridionale, il presidente David O. McKay tornò a Salt Lake City dopo una visita di cinque settimane ai santi in Europa. Pur avendo trascorso una lunga giornata in aereo, lui e sua moglie, Emma Ray, salutarono di buon animo i dirigenti della Chiesa, i familiari e gli amici che erano andati all’aeroporto per dare loro il bentornato.
Fermandosi sull’asfalto per parlare ai giornalisti e ai fotografi, il presidente McKay menzionò prontamente il momento saliente della sua visita: la dedicazione del tempio vicino a Berna, in Svizzera. Ora era uno dei sette templi in funzione nel mondo e il primo ad essere costruito in Europa. La sua dedicazione aveva avuto luogo in più di dieci sessioni in sette lingue diverse, e centinaia di santi europei avevano già ricevuto la loro investitura entro le sue mura.
I cittadini di Berna erano molto lieti del sacro edificio. “Lo chiamano ‘il nostro tempio’”, disse il presidente McKay a un giornalista, “e ora i membri della Chiesa vengono considerati cristiani”.
Il tempio svizzero era un simbolo dell’impegno della Chiesa a stabilire congregazioni forti in tutto il mondo dopo decenni in cui i Santi erano stati incoraggiati a radunarsi nello Utah. Ora, con templi in costruzione in Inghilterra e in Nuova Zelanda, la Chiesa stava cercando di avvicinare i templi ai suoi membri più distanti, rendendo maggiormente disponibili le ordinanze del tempio.
Il presidente McKay sapeva che questi templi erano solo un inizio. Come Joseph Smith aveva profetizzato, la verità di Dio si sarebbe diffusa in ogni paese e sarebbe risuonata in ogni orecchio.
Quel giorno non era ancora arrivato, ma la Chiesa stava progredendo. Sebbene la maggior parte della popolazione mondiale non avesse mai sentito parlare del vangelo restaurato di Gesù Cristo, dalla fine della Seconda guerra mondiale la considerazione della Chiesa era cresciuta sempre di più. Nel mondo c’erano poco più di un milione di Santi degli Ultimi Giorni e molte persone ammiravano la loro vita retta, i loro valori cristiani, il loro impegno verso i poveri e il messaggio gioioso che portavano. Anche il Coro del Tabernacolo della Chiesa era diventato un famoso gruppo musicale nelle trasmissioni radiofoniche in tutto il mondo. All’inizio dell’anno, quando la Chiesa celebrò il suo 125° anniversario, il New York Times, uno dei giornali più importanti degli Stati Uniti, non aveva altro che lodi per i Santi.
Mentre il presidente McKay e i suoi consiglieri, Stephen L Richards e J. Reuben Clark, contemplavano il destino della Chiesa, erano consapevoli degli ostacoli che si trovavano sul cammino di una crescita ancora più imponente.
Un ostacolo consisteva nel fornire ai Santi buone case di riunione e altre strutture. Negli anni ’20 la Chiesa aveva creato un sistema per fornire alle congregazioni progetti architettonici standardizzati e importanti stanziamenti di fondi per aiutare i santi locali a costruire edifici provvisti di elettricità, impianti idraulici e, in seguito, aria condizionata. Tuttavia, nei luoghi in cui la presenza della Chiesa era meno radicata, molti rami non avevano i mezzi o le competenze per portare avanti progetti su larga scala. Di conseguenza, spesso dovevano riunirsi in sale in affitto.
In molte parti del mondo c’erano problemi ancor più gravi. Alcuni rami erano in difficoltà perché avevano pochi membri, i dirigenti locali erano inesperti, i contatti con la sede centrale della Chiesa erano poco frequenti e c’era scarsa disponibilità di materiale della Chiesa nelle lingue locali. Alcuni luoghi erano semplicemente troppo lontani dai pali o dai distretti della Chiesa per sostenere delle congregazioni forti.
Inoltre, dal momento che oltre il 90 percento dei Santi degli Ultimi Giorni viveva negli Stati Uniti, la Chiesa era spesso associata all’America. Questa percezione creò problemi nelle nazioni comuniste come l’Unione Sovietica, che erano profondamente sospettose nei confronti degli Stati Uniti e della religione in generale. Nell’ultimo decennio, molte di queste nazioni avevano adottato delle linee di condotta che rendevano difficile — se non impossibile — che la Chiesa operasse entro i loro confini.
L’apertura della Missione dell’Estremo Oriente Meridionale dimostrò che la Prima Presidenza e il Quorum dei Dodici Apostoli erano ansiosi di espandere l’opera missionaria in nuove regioni, in particolare in Asia e sud America. L’Africa, però, presentava un ostacolo unico. Sin dagli inizi degli anni ’50 dell’Ottocento, la Chiesa aveva impedito alle persone di origine nera africana di detenere il sacerdozio o di ricevere l’investitura e le ordinanze di suggellamento del tempio, pertanto la Chiesa non aveva dedicato grandi sforzi all’opera missionaria in quel continente. Eppure, ogni tanto i dirigenti della Chiesa ricevevano lettere da persone dell’Africa occidentale che esprimevano interesse nel vangelo restaurato.
Queste difficoltà e questi successi non erano lontani dalla mente del presidente McKay quando, sei mesi dopo, si recò in California per dedicare il Tempio di Los Angeles. I progetti di costruzione furono avviati sotto la direzione del presidente Heber J. Grant, ma la Grande Depressione e la Seconda guerra mondiale ne avevano ritardato il completamento per quasi vent’anni. Era il tempio più grande che la Chiesa avesse mai costruito e la sua apertura al pubblico ampiamente pubblicizzata aveva dato a settecentomila persone la possibilità di entrare e conoscerne il sacro scopo.
Alla cerimonia di dedicazione, il presidente McKay ringraziò il Signore mentre guardava la congregazione nella sala delle assemblee del tempio.
“Abbiamo sentito la Tua presenza e nei momenti di dubbio e perplessità abbiamo dato ascolto alla Tua voce”, dichiarò nella sua preghiera dedicatoria. “Qui nella Tua santa casa, con umiltà e profonda gratitudine, riconosciamo la Tua guida divina, la Tua protezione e la Tua ispirazione”.
All’incirca in quel periodo, a San Paolo, in Brasile, un aspirante pastore metodista di nome Hélio da Rocha Camargo stava iniziando il suo terzo anno in un’università di teologia. Un giorno, un conoscente della sua congregazione gli disse di aver incontrato i missionari santi degli ultimi giorni e invitò Hélio a partecipare al loro prossimo incontro.
Hélio era incuriosito dai Santi e dai loro insegnamenti, quindi accettò l’invito. La Chiesa era in Brasile da quasi trent’anni, ma nel paese c’erano solo circa milletrecento membri e Hélio non ne aveva mai incontrato uno. Purtroppo, il giorno dell’appuntamento i missionari non si presentarono.
Poco tempo dopo, durante una discussione di classe sulla natura di Dio, Hélio chiese al suo professore se i Santi degli Ultimi Giorni credessero nella Trinità, ossia nell’idea secondo cui Dio Padre, Gesù Cristo e lo Spirito Santo fossero un’unica entità.
“Non ho alcuna informazione a riguardo”, disse il professore. Non sapeva nemmeno se i Santi degli Ultimi Giorni fossero cristiani.
“Beh”, disse Hélio, “credo che si considerino cristiani perché il nome ufficiale della Chiesa è La Chiesa di Gesù Cristo”.
“Vedi se è possibile trovarne uno a San Paolo”, disse il professore. Poi suggerì a Hélio di invitare un santo degli ultimi giorni a parlare al corpo studentesco in occasione del loro dibattito settimanale.
Hélio si recò presso la sede centrale della Chiesa in città e invitò Asael Sorensen, presidente della Missione Brasiliana, a fare un intervento durante il dibattito. Il presidente Sorensen voleva accettare l’invito, ma dato che aveva un altro impegno, si offrì di mandare due giovani missionari al suo posto.
“Vi garantisco che questi giovani uomini sono ben preparati”, disse a Hélio.
Il giorno del dibattito, due missionari provenienti dagli Stati Uniti — gli anziani David Richardson e Roger Call — arrivarono all’università. Hélio accolse i giovani e li presentò a un’aula di circa cinquanta studenti e una dozzina di insegnanti. L’anziano Richardson, che aveva più esperienza nel parlare portoghese, salì sul pulpito e iniziò a parlare della Chiesa. L’anziano Call, nel frattempo, annotava i punti importanti alla lavagna.
Hélio rimase colpito dal coraggio e dalla calma dell’anziano Richardson. Il giovane parlò per prima cosa della Divinità, testimoniando che il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo erano tre esseri distinti. Ben presto i membri del pubblico iniziarono a interromperlo, ponendo una domanda dopo l’altro. “Lasciate che finisca”, disse alla fine l’anziano Richardson, “e poi potrete porre le vostre domande”.
Il pubblico fece silenzio e il missionario continuò il suo messaggio. Usava spesso la Bibbia e ogni volta che citava un versetto, i professori e gli studenti aprivano le loro copie delle Scritture per verificarne l’accuratezza. Hélio sentiva che i suoi colleghi non erano d’accordo con tutto ciò che i missionari stavano insegnando, ma ora stavano ascoltando con più rispetto.
Poi, l’anziano Richardson affrontò l’argomento dell’autorità del sacerdozio e del battesimo. “Se riuscissimo a dimostrarvi che abbiamo l’autorità di battezzare”, disse, “quanti di voi si farebbero battezzare?”.
Uno studente gridò: “Sì!” e il direttore dell’università lo guardò con disgusto.
Dopo aver concluso la sua presentazione, l’anziano Richardson invitò il pubblico a porre domande. Immediatamente, alcuni studenti chiesero informazioni sul massacro di Mountain Meadows e su altre controversie. Sembrava che pochi studenti volessero dimostrarsi interessati alla Chiesa.
Dopo la presentazione, Hélio e altri tre studenti andarono a pranzo con i missionari. Posero agli anziani altre domande, mostrando sincero interesse nel loro messaggio. Hélio voleva saperne di più sulla Chiesa, ma il suo tempo era prezioso. Lui e sua moglie, Nair, avevano quattro figli piccoli e un altro era in arrivo. Tra gli impegni scolastici e familiari, era molto occupato.
In breve tempo mise da parte il suo interesse per i Santi e perse i contatti con i missionari.
Un giorno, nel maggio del 1956, Mosese Muti e il suo amico e fratello della Chiesa ‘Atonio ‘Amasio, stavano percorrendo una strada appena fuori dalla città di Nukuʻalofa, in Tonga, nelle Isole del Pacifico. Mentre chiacchieravano, un’auto passò vicino a loro e si fermò bruscamente. Entrambi sapevano che la macchina apparteneva a Fred Stone, il presidente della Missione tongana. Il presidente Stone aveva circa cinquant’anni, solo pochi anni più di Mosese. Lui e sua moglie Sylvia stavano servendo nel paese da circa sei mesi.
Mosese e ʻAtonio corsero verso l’auto e il presidente Stone li salutò. “Conoscete qualcuno che vorrebbe andare in missione?”, chiese. In tutto il Pacifico meridionale, la Chiesa stava chiamando dozzine di “missionari edili” per affrettare la costruzione delle cappelle nella zona. Il presidente McKay aveva recentemente approvato la costruzione di ventuno nuove cappelle in Tonga e il presidente Stone era autorizzato a chiamare i santi locali per eseguire i lavori.
Mosese guardò il suo amico ʻAtonio, che alzò le spalle. In Tonga c’erano più di quattromila membri della Chiesa, ma non veniva loro in mente nessun potenziale missionario. Le missioni edili fornirono a molti santi una valida formazione lavorativa come muratori, elettricisti, idraulici e falegnami, che poteva aiutarli a trovare lavoro dopo la missione. Tuttavia, i lavori erano spesso estenuanti.
“Sicuramente conoscerete qualcuno”, insistette il presidente Stone. “E lei, Muti?”.
“Se è una chiamata che giunge dal Signore, andrò con gioia”, disse Mosese. Lui e sua moglie, Salavia, erano membri della Chiesa da più di vent’anni. Avevano già svolto diverse missioni, tra cui una per contribuire alla costruzione del Liahona College, la nuova scuola superiore della Chiesa in Tonga. Tuttavia, Mosese in quel momento stava lavorando come responsabile delle forniture di materiali edili per il governo tongano e aveva una famiglia numerosa da mantenere. Non voleva sconvolgere la sua vita semplicemente perché il presidente aveva bisogno di un missionario ben disposto.
“Il Signore la vuole”, lo rassicurò il presidente Stone. “Ha dei soldi, dei risparmi?”.
“Questa è la ragione della mia precedente risposta”, disse Mosese. “Lui sa quanto siamo poveri e conosce le benedizioni che avremmo bisogno di ricevere per poter sopravvivere svolgendo una missione”.
“Perché non ne parla con Salavia”, suggerì il presidente Stone. “Mi faccia sapere come si sente lei all’idea di svolgere questa missione”.
“Tutto quello che voglio sapere è dove e quando”, disse Mosese.
Il presidente gli disse che avrebbe servito a Niue, una piccola nazione insulare a circa seicentoquaranta chilometri a nord-est di Tonga. Quattro missionari stavano già predicando il Vangelo e si stavano preparando a costruire una cappella nella zona, ma i progressi erano lenti.
“Mia moglie e la mia famiglia saranno felici di andarci”, disse Mosese. Raccontò al presidente Stone di un sogno che aveva fatto di recente in cui lui e Salavia stavano camminando insieme su un’altra isola. “Era un luogo in cui tutti i villaggi si trovano attorno all’isola, lungo la riva del mare”, disse Mosese. “Non avevo mai visto un’isola come quella. Dev’essere Niue!”.
“Bene”, disse il presidente. “Ha due settimane e mezzo per prepararsi prima che arrivi la barca”.
Salavia gioì quando Mosese le parlò della chiamata in missione e insieme ringraziarono il Signore per questa occasione. Sin dall’inizio del loro matrimonio nel 1933, lei non lo aveva mai visto rifiutare un’opportunità di servire nella Chiesa. Inoltre, lei condivideva la sua dedizione all’opera missionaria, confidando nel fatto che Dio li avrebbe benedetti per i sacrifici che facevano per Lui.
Più di ogni altra cosa, i Muti desideravano ricevere le benedizioni del tempio. Il tempio più vicino si trovava nelle Hawaii, a quattromilaottocento chilometri di distanza, e il costo del viaggio era sempre stato un impedimento per loro. Una volta terminato il tempio in Nuova Zelanda, il viaggio per raggiungere questo obiettivo sarebbe stato molto più breve. Anche allora, però, il costo sarebbe stato superiore a quello che potevano permettersi, soprattutto ora che stavano per svolgere un’altra missione.
Eppure, avevano motivo di sperare che un giorno sarebbero entrati nel tempio. Nel 1938, mentre Mosese stava svolgendo una missione, l’apostolo George Albert Smith aveva visitato Tonga e gli aveva conferito il Sacerdozio di Melchisedec. “Se continui la tua opera missionaria”, aveva promesso l’apostolo, “entrerai nel tempio senza dover spendere un centesimo di tasca tua”.
Il 29 maggio 1956, Mosese e Salavia salirono su una nave diretti verso Niue con i loro quattro figli più piccoli. La famiglia aveva appena i soldi sufficienti per prenotare il viaggio in barca. Tuttavia, la maniera in cui avrebbero provveduto al loro sostentamento sul campo di missione era nelle mani del Signore. Mentre Tonga si allontanava dalla loro vista, sostituita da onde spumeggianti e da un orizzonte infinito, i Muti erano pieni di fede nelle promesse di Dio.
Alcuni mesi dopo la partenza della famiglia Muti verso Niue, Hélio da Rocha Camargo si sentiva pieno di dubbi sul battesimo dei neonati, una pratica comune tra i metodisti e altre confessioni cristiane. All’inizio voleva semplicemente fare chiarezza. Perché queste Chiese battezzavano i neonati? In che modo il battesimo era di beneficio al bambino? La Bibbia sembrava non dire nulla su questa pratica, quindi pose queste domande ai suoi professori e agli altri studenti della facoltà di teologia. Nessuno riusciva a dargli una risposta soddisfacente.
“Come usanza storica, dev’essere preservata”, suggerì una persona.
Hélio non riusciva a capirne la logica. “Perché è di beneficio?”, chiedeva. “Le tradizioni storiche sono necessariamente vere?”.
Più pensava al battesimo dei neonati, più la questione lo turbava. Sua moglie, Nair, aveva appena dato alla luce il loro quinto figlio, un maschio di nome Josué. Perché un neonato come Josué doveva essere battezzato? Quale peccato aveva commesso?
Altri studenti dell’università si unirono a Hélio nel mettere in dubbio questa pratica. Allarmati, gli amministratori scolastici convocarono un consiglio di facoltà e interrogarono Hélio e gli altri studenti. Hélio fu sincero con i professori. “Non trovo una giustificazione accettabile per il battesimo dei neonati”, disse loro. “È una pratica che non è supportata dalla dottrina che posso comprendere o trovare nel Nuovo Testamento”. Come pastore, disse, non poteva battezzare in tutta coscienza un neonato.
Dopo l’incontro, Hélio e tre dei suoi amici furono sospesi per un semestre in modo che cercassero le risposte alle loro domande. Quando Hélio diede la notizia a Nair, lei si turbò. Condivideva la devozione di Hélio per Gesù Cristo e lo studio della Bibbia, e non le piaceva il modo in cui l’università lo stava trattando. Qualora le ricerche di Hélio non lo portassero a essere d’accordo con il loro punto di vista, il consiglio di facoltà avrebbe semplicemente posto fine ai suoi studi universitari, se non anche alla sua carriera nel ministero.
Hélio cercò ancora una volta di capire il battesimo dei neonati. Chiese ad alcuni dei suoi amici e professori di aiutarlo a trovare le risposte. Si rifiutarono. “A cosa serve?”, dissero. “Non cambierai mai idea”.
“Ma io voglio cambiare idea”, insistette Hélio. “Voglio trovare un buon motivo per cambiarla”.
Un professore alla fine accettò di esaminare la questione insieme a lui. Studiarono ogni passo del Nuovo Testamento sul battesimo, consultando di tanto in tanto i commentari e il testo originale greco per ulteriori approfondimenti. “Hai ragione”, disse il professore dopo alcune settimane. “Questa dottrina non ha alcun fondamento scritturale”.
Al termine della sua sospensione, Hélio si incontrò nuovamente con il consiglio di facoltà e li informò che la sua posizione sul battesimo dei neonati non era cambiata. Rendendosi conto che non c’era altro che potessero fare per fargli cambiare idea, il consiglio pose fine ai suoi studi universitari.
Hélio iniziò a lavorare in banca, ma continuò ad approfondire l’argomento del battesimo, cercando di scoprire che cosa insegnassero le altre Chiese. Nair sosteneva la sua ricerca di ulteriore verità, ma la sua famiglia pensava che fosse strano e un po’ immaturo da parte sua lasciare l’università. Hélio non prestò loro attenzione. Pregava spesso per ricevere guida, non solo per se stesso, ma per il bene di Nair e della loro famiglia. Come padre, sentiva l’obbligo di guidare i suoi figli verso la luce e la verità.
Un giorno, Hélio ricordò i missionari santi degli ultimi giorni che erano venuti a scuola. A quel tempo aveva comprato un libro sulla loro Chiesa intitolato Un’opera meravigliosa e un prodigio, ma non ne aveva letto granché. Trovò il libro su uno scaffale e lo aprì. L’autore, LeGrand Richards, era un apostolo santo degli ultimi giorni che aveva servito due volte come presidente di missione. Ogni capitolo delineava un principio del vangelo restaurato, punto dopo punto, facendo grande affidamento sulla Bibbia per sostenere ogni affermazione.
Ben presto Hélio perse interesse nelle altre Chiese. Un’opera meravigliosa e un prodigio aveva catturato completamente la sua attenzione. “Questo libro”, pensò, “contiene delle risposte che nessun altro ha”.
Sapeva di dover cercare la Chiesa. C’era altro da imparare sui Santi.