Capitolo 22
Più simili al nostro Signore e Maestro
La mattina del 7 aprile 1984, Ardeth Kapp si sedette in prima fila nel Tabernacolo di Salt Lake. Gordon B. Hinckley, che era stato chiamato come ulteriore consigliere della Prima Presidenza quasi tre anni prima, era in piedi al pulpito per chiedere il voto di sostegno delle Autorità generali e dei dirigenti della Chiesa. Annunciò la chiamata di due nuovi apostoli, Russell M. Nelson e Dallin H. Oaks. Propose inoltre il nome di Ardeth come nuova presidentessa generale delle Giovani Donne.
I santi nel Tabernacolo li sostennero all’unanimità. “Viene affidata una responsabilità, viene fatta una chiamata”, rifletté in seguito Ardeth nel suo diario, “e i membri rispondono con amore”.
Quattro mesi dopo, Ardeth e le sue consigliere, Patricia Holland e Maurine Turley, e la sua assistente amministrativa, Carolyn Rasmus, si incontrarono in una baita sulle montagne vicino a Provo, nello Utah. Era la prima domenica del mese e arrivarono durante il digiuno.
L’obiettivo del loro digiuno era il Progresso personale, il programma di miglioramento personale della Chiesa per le giovani donne dalla fine degli anni ’70. Ardeth era stata il membro della presidenza generale delle Giovani Donne che aveva introdotto il Progresso personale, eppure sentiva che molte giovani donne non si stavano impegnando nel programma.
Lei e le sue consigliere credevano che ogni giovane donna avesse bisogno di trovare uno scopo e un’identità divini. Credevano anche che si potesse fare di più per aiutare le giovani donne a sentirsi viste e apprezzate mentre si impegnavano per stringere alleanze con il Signore e tenervi fede.
Nel loro ritrovo in baita, Ardeth, Patricia, Maurine e Carolyn delinearono principi universali che ritenevano essenziali per la vita e il benessere di una giovane donna. Ognuna di loro poi si ritirò in solitudine in un punto diverso del bosco per meditare sull’elenco che avevano stilato e restringerlo ulteriormente ai principi più importanti. Quando fecero ritorno in baita, scoprirono che i loro elenchi erano tutti molto simili tra loro. Una sensazione di calore le avvolse. Sentivano che il Signore le stava guidando nella giusta direzione.
Nella sua forma attuale, il Progresso personale si concentrava sui valori condivisi da tutte le denominazioni cristiane. Ardeth e le sue consigliere pensavano però che dovesse includere anche delle credenze distintive dei Santi degli Ultimi Giorni. Mentre le donne discutevano su cosa mettere in risalto, identificarono cinque valori che avrebbero potuto aiutare ogni giovane donna, indipendentemente dal luogo in cui viveva, ad avvicinarsi a Dio e a comprendere la sua reale identità: fede, natura divina, obbedienza, conoscenza e scelte e responsabilità.
Nei mesi che seguirono, Ardeth e le sue consigliere organizzarono un consiglio generale delle Giovani Donne e decisero i sette valori finali, sostituendo l’obbedienza con il valore personale, le buone opere e l’integrità. Ardeth attaccò lunghi fogli di carta alle pareti della sala riunioni del consiglio delle Giovani Donne, e lei e gli altri membri del consiglio riempirono quello spazio con idee e spunti che avevano tratto da ricerche e discussioni con le giovani donne della Chiesa.
Il consiglio credeva che ogni giovane donna dovesse sapere chi era e quale fosse il suo posto nel piano di Dio. Ogni giovane donna aveva bisogno di vivere esperienze spirituali, stringere alleanze con il Signore e tenervi fede, ricevere riconoscimenti per le opere cristiane svolte e avere il sostegno dei propri dirigenti del sacerdozio.
All’inizio del 1985, Ardeth e il suo consiglio si stavano preparando per presentare le loro idee al Consiglio esecutivo del sacerdozio della Chiesa per l’approvazione. Sotto la guida del presidente Kimball, il processo decisionale tramite i consigli era diventato più frequente nella Chiesa. Il Consiglio esecutivo del sacerdozio era uno dei tre principali consigli esecutivi che formulavano raccomandazioni di tipo direttivo alla Prima Presidenza e al Quorum dei Dodici Apostoli. Questi consigli comprendevano diversi apostoli e altre autorità generali. Durante la riunione della sua presidenza con il Consiglio esecutivo del sacerdozio, Ardeth sperava di presentare con chiarezza la visione del consiglio riguardo alle Giovani Donne. Ma non era sicura di come farlo.
Una mattina di gennaio, Ardeth si svegliò presto e prese un quadernetto giallo che teneva sul comodino. Tutto ciò di cui lei e il consiglio avevano parlato dalla loro chiamata si stava riordinando nella sua mente come un bellissimo mosaico. Iniziò a scrivere fino a quando le parole e l’ispirazione iniziarono a scorrere in un flusso ininterrotto. Quando alla fine annotò la sua ultima parola, si sentì emotivamente prosciugata, ma spiritualmente edificata. Sapeva cosa avrebbe detto al consiglio.
Sei settimane dopo, Ardeth e le sue consigliere si inginocchiarono in preghiera nell’edificio amministrativo della Chiesa. Nel giro di pochi minuti avrebbero presentato il loro piano per il futuro delle Giovani Donne al Consiglio esecutivo del sacerdozio. Chiesero in preghiera che le orecchie dei fratelli fossero aperte all’ascolto del loro piano, se era giusto. Ma nel caso in cui si fosse rivelato errato, chiesero al Signore di chiudere invece le orecchie del consiglio.
Poco dopo, furono invitate in una sala riunioni poco distante dove il presidente del Quorum dei Dodici Apostoli, Ezra Taft Benson, sedeva con altri membri del consiglio.
In piedi davanti alla sala, Ardeth iniziò la sua presentazione. “Non vogliamo focalizzarci tanto sui programmi”, disse, “ma sui principi fondamentali che possono aiutare le giovani donne a giungere alla conoscenza del Vangelo e a metterlo in pratica”.
Parlò dei molti problemi che le giovani donne dovevano affrontare nella società: i mass media e la pubblicità dannosi, il crimine, l’immoralità sessuale, i disturbi alimentari, l’abuso di droghe e alcol, il suicidio. Portò alcuni dati che mostravano come le giovani donne della Chiesa avessero meno risorse, opportunità di riconoscimento e dirigenti adulti rispetto ai giovani uomini. Nel confrontare i programmi delle Giovani Donne e dei Giovani Uomini, Ardeth sottolineò il fatto che questi non dovevano essere identici, ma che dovevano ricevere tutte le risorse e il sostegno necessari per aiutare i giovani ad avere successo.
Alla fine, Ardeth e le sue consigliere proposero di strutturare le Giovani Donne intorno ai sette valori. “Tale struttura”, disse Ardeth, “potrebbe fornire un’identità alle giovani donne cosicché loro stesse e gli altri possano comprendere meglio cosa significhi essere una giovane donna”.
Dopo la presentazione, il presidente Benson invitò il consiglio ad alzarsi per riconoscere l’importanza della presentazione. “Non si sono aperte solo le nostre orecchie”, disse, “ma anche i nostri dotti lacrimali”.
Più tardi, quello stesso giorno, l’anziano Dean L. Larsen, un membro del consiglio, chiamò Ardeth al telefono. “Quanto tempo vi serve per preparare una trasmissione satellitare per le giovani donne”?, chiese.
“Saremo pronte per novembre”, disse Ardeth.
L’anziano Larsen fu sorpreso. “Vi serve così tanto?”
“Abbiamo bisogno di avere tutti i pezzi in ordine” rispose Ardeth. “Non avremo una seconda possibilità”.
Il 14 dicembre 1984 il presidente Gordon B. Hinckley dedicò una casa del Signore a Città del Guatemala. Mentre assisteva, Carmen O’Donnal, la matrona del nuovo tempio, si meravigliava del miracoloso sviluppo della Chiesa in tutto il Centro e Sud America.
Nel 1948, quando fu battezzata in una piccola piscina a sud di Città del Guatemala, Carmen era stata una delle prime persone a unirsi alla Chiesa in Guatemala. Ora il paese contava oltre 30.000 santi degli ultimi giorni e più della metà di loro era stata battezzata negli ultimi quattro anni. Sempre più persone nella regione stringevano alleanze per seguire Gesù Cristo e la costruzione del tempio era al centro di quest’opera.
“Il Signore mi ha permesso di vivere per vedere questo miracolo con i miei occhi”, disse durante la dedicazione.
Prima della sua chiamata come matrona del tempio, Carmen e suo marito, John, avevano lavorato nel Tempio di Città del Messico, che era stato dedicato nel dicembre del 1983. Era la prima casa del Signore in Messico, stato con più di 360.000 membri; più di qualsiasi altro paese di lingua spagnola al mondo. Tra coloro che parteciparono alla sua dedicazione c’erano Isabel Santana e Juan Machuca, ex insegnanti del Centro Escolar Benemérito de las Américas, che si erano sposati più di dieci anni prima. Ora vivevano a Tijuana, in Messico, dove Juan lavorava per il Sistema Educativo della Chiesa.
Più a sud, la Chiesa continuava a prosperare in Brasile. Quando nel 1978 fu dedicato il Tempio di San Paolo, il paese contava 56.000 santi suddivisi in dodici pali. All’inizio del 1985, i membri erano cresciuti fino a raggiungere circa 200.000 persone in quarantasette pali. E mentre la Chiesa cresceva, crescevano anche le responsabilità di Hélio da Rocha Camargo. Dopo aver servito come vescovo del Rione di San Paolo 2, servì come presidente di palo a San Paolo, presidente di missione a Rio de Janeiro e rappresentante regionale dei Dodici. Poi, il 6 aprile 1985, venne sostenuto come membro del Primo Quorum dei Settanta: la prima autorità generale del Brasile.
“Questa è un’esperienza che non avevo mai desiderato avere”, disse ai santi nel Tabernacolo di Salt Lake. Ma la sua fede nel Vangelo restaurato era salda, come quella di molti altri dirigenti in tutto il mondo. “Io so che il Signore vive”, testimoniò. “So che sono un figlio di Dio e che [questo] Vangelo è il piano per la felicità a tutti i figli di Dio in questo mondo”.
Nel frattempo, in Cile i santi erano oltre 130.000 in quaranta pali. Poco prima della dedicazione del Tempio di Città del Messico, i santi cileni si erano rallegrati della dedicazione del Tempio di Santiago del Cile, la prima casa del Signore in un paese di lingua spagnola. Migliaia di santi si riunirono per l’occasione, alcuni dei quali avevano intrapreso un viaggio di centinaia di chilometri in pullman.
Carlos ed Elsa Cifuentes si trovavano nel tempio per la dedicazione. Carlos era uno dei primi membri in Cile. Nel 1958, due missionari lo avevano avvicinato mentre si trovava in garage, sul retro di casa sua. Si erano presentati come rappresentanti di Gesù Cristo e gli avevano chiesto se volesse conoscere la Chiesa. Poco tempo dopo fu battezzato. Nel 1972, quando si formò il primo palo in Cile, Carlos fu chiamato a esserne il presidente.
Al momento della dedicazione del Tempio di Santiago, in Cile, il corpo di Carlos era indebolito dal cancro. Egli trovò comunque la forza di alzarsi e di portare una fervente testimonianza. “So senza dubbio che questa è l’opera del Signore”, affermò. “So che Dio vive. So che Gesù Cristo, Suo figlio, vive”. Carlos morì un mese dopo.
Nella vicina Argentina, era in corso la costruzione di una casa del Signore a Buenos Aires. Betty Campi, di cinquantaquattro anni, stava servendo come presidentessa della Primaria di palo in una città rurale chiamata Mercedes. Durante la sua vita, aveva visto la Chiesa in Argentina crescere come una piccola ghianda che si trasforma in possente quercia, proprio come aveva predetto l’apostolo Melvin J. Ballard. Nel 1942, anno del suo battesimo, in Argentina c’erano circa settecento membri della Chiesa. Ora erano quasi ottantamila. Betty deteneva fedelmente una raccomandazione per il tempio, e aspettava con impazienza il giorno in cui avrebbe potuto usarla nel suo paese d’origine.
E l’Argentina non era la sola. In altre parti del Sud America, i progetti per i templi in Colombia, Perù ed Ecuador stavano andando avanti velocemente. Brigham Young e Joseph F. Smith avevano profetizzato che i templi sarebbero stati edificati su tutta la terra. Ora tutti ciò stava per avverarsi.
Dopo il suo battesimo, Olga Kovářová era ansiosa di condividere la sua felicità con la sua famiglia e i suoi amici. Tuttavia, poiché il governo della Cecoslovacchia non riconosceva la Chiesa, sapeva che le sue opportunità sarebbero state limitate. Inoltre, la sua generazione era cresciuta in una società atea e sapeva molto poco di religione. Se avesse cercato di parlare alla gente della Chiesa, probabilmente non avrebbero capito quello che stava dicendo.
Mentre pregava e rifletteva su come condividere ciò in cui credeva, parlò a Otakar Vojkůvka del suo dilemma. “Potresti diventare un insegnante di yoga”, le disse. Il governo non limitava l’insegnamento dello yoga e Otakar lo considerava un buon modo per incontrare nuove persone e compiere l’opera di Dio.
All’inizio Olga pensò che fosse uno strano suggerimento. Ma riflettendoci meglio, si rese conto che lui doveva aver intuito qualcosa.
Il giorno dopo Olga si iscrisse a un corso per insegnanti di yoga. Poco dopo il termine della sua formazione, iniziò a insegnare in una palestra a Uherské Hradiště, la sua città natale, nella Cecoslovacchia centrale. Rimase sorpresa da quanto fossero popolari questi corsi. Le classi accoglievano dai 60 ai 120 iscritti. Alle sue lezioni partecipavano persone di tutte le età, ansiose di saperne di più sulla salute fisica e mentale.
Durante ogni lezione, Olga insegnava esercizi di yoga seguiti da una semplice lezione basata su principi autentici. Usava un linguaggio non religioso, attingendo a citazioni edificanti di poeti e filosofi dell’Europa orientale a sostegno di ciò che insegnava.
Insegnando, Olga si rese conto di quanto i suoi studenti fossero desiderosi di ricevere messaggi più positivi nella loro vita. Alcune persone sembravano frequentare le sue lezioni di yoga solo per quegli insegnamenti.
Qualche tempo dopo, lei e Otakar parlarono della Chiesa ad alcuni dei loro studenti e molti di loro scelsero di essere battezzati.
I corsi vennero accolti così bene che Olga e Otakar organizzarono dei campi yoga per gli studenti che erano interessati. Durante l’estate, gruppi di cinquanta persone trascorrevano una vacanza di una settimana per seguire gli insegnamenti di Olga e Otakar.
Olga desiderava che i suoi genitori, Zdenĕk e Danuška, potessero provare la stessa felicità che i suoi studenti erano riusciti a scoprire attraverso il campo e pregava spesso per loro. Ma la religione non era una parte importante della vita quotidiana dei suoi genitori e non c’erano rami nella loro città. Olga avrebbe dovuto affrontare questa conversazione con attenzione.
Sapendo che sua madre aveva problemi di mal di testa, Olga un giorno disse: “Mamma, voglio insegnarti come rilassarti e rafforzare alcuni muscoli del collo. Potrebbe aiutarti”.
“Sai che mi fido sempre di te”, rispose sua madre.
Olga le mostrò alcuni semplici esercizi e raccomandò a sua madre di continuare a svolgerli da sola. Nel giro di pochi mesi, i mal di testa se ne andarono. Lei e il padre di Olga iniziarono a interessarsi allo yoga e parteciparono uno dei campi. Nel giro di pochi giorni, suo padre si immerse completamente nella vita del campo e non l’aveva mai visto così felice. Sua madre abbracciò anche le abitudini e le idee che venivano condivise nelle lezioni. Presto Olga iniziò a condividere con loro anche ciò in cui credeva.
I suoi genitori amarono immediatamente il Libro di Mormon e i suoi insegnamenti. Ricevettero anche una testimonianza di Joseph Smith come profeta di Dio. Poco dopo, sia sua madre che suo padre decisero di unirsi alla Chiesa.
Furono battezzati nello stesso bacino idrico in cui Olga aveva ricevuto l’ordinanza. Dopo, Olga e i suoi genitori tornarono a casa e si sedettero attorno al tavolo della cucina, tenendosi per mano e piangendo di gioia. “Oggi dobbiamo festeggiare”, disse sua madre.
Prepararono lo spuntino preferito di Olga e condivisero la loro testimonianza. Con un grande sorriso suo padre disse: “I grandi inizi avvengono dentro piccole mura!”.
“Vorrei che poteste provare quello che sento io dentro”, disse Henry Burkhardt. “Vorrei anche potervi dire quanta gratitudine ho nel cuore in questo momento”.
Era il 29 giugno 1985. Henry era in piedi sul pulpito dell’appena terminato Tempio di Freiberg, nella Repubblica Democratica Tedesca, e si rivolgeva a una stanza piena di santi che erano venuti per la dedicazione del tempio. Il presidente Gordon B. Hinckley aveva aperto le riunioni quella mattina ed era intervenuto anche l’anziano Thomas S. Monson.
Henry non era più il presidente della Missione di Dresda, ma ebbe l’onore di rivolgersi ai santi come nuovo presidente del Tempio di Freiberg.
“Per più di trent’anni”, disse, “ho desiderato fare qualcosa per far sì che i santi di questo paese entrassero in una casa del Signore”. Raccontò di quando lui e sua moglie, Inge, erano stati suggellati nel Tempio Svizzero nel 1955, prima che il confine tra la Germania dell’Est e quella dell’Ovest venisse chiuso. Ora era felicissimo che i santi della RDT e di altri paesi sotto l’influenza politica dell’Unione Sovietica avessero un tempio a Freiberg.
“Questa è stata la volontà del Signore”, disse. “Il Signore ha reso possibile la costruzione di questa casa, una casa in cui possiamo ricevere benedizioni che non possono essere date in nessun altro luogo se non qui, nella Sua casa”.
Henry era ancora stupito del fatto che, dopo tanti anni di opposizione alla Chiesa da parte del governo, il tempio fosse stato costruito in modo relativamente semplice. Dopo che Henry era riuscito ad assicurarsi il terreno sul quale costruire, l’architetto della Chiesa Emil Fetzer aveva collaborato con funzionari, architetti e ingegneri della RDT per mettere a punto il progetto del tempio. Ispirandosi all’architettura tradizionale tedesca, decisero di realizzare una struttura semplice e moderna, con vetrate e un’unica torre ad arco svettante sopra l’ingresso.
La cerimonia di avvio dei lavori era stata organizzata poco tempo dopo. Con grande sorpresa di Henry, la maggior parte dei funzionari governativi che parteciparono alla cerimonia avevano chinato il capo durante la preghiera. L’appaltatore dell’edificio era una società di proprietà del governo, quindi il progetto non ebbe problemi a reperire gli operai o a ottenere i permessi. l governo permise inoltre alla Chiesa di allacciarsi a un vicino gasdotto di gas naturale, in modo che il tempio non dovesse essere riscaldato dal carbone. Henry ed Emil riuscirono anche a trovare tre lampadari di cristallo per la sala celeste e le sale dei suggellamenti, una rarità nella RDT.
Forse la più grande sorpresa, però, fu la disponibilità del governo a rispettare la sacralità dell’edificio. Sebbene i funzionari fossero legalmente autorizzati a monitorare qualsiasi riunione religiosa in qualsiasi momento nel Paese, il governo aveva accettato di non farlo all’interno del tempio. Difatti, durante tutto il processo di costruzione, i funzionari avevano mostrato grande rispetto nei confronti della Chiesa, dei suoi insegnamenti e delle sue pratiche. Quando arrivò il momento dell’apertura al pubblico, quasi novantamila persone andarono a visitare l’edificio.
“Fratelli e sorelle, io e mia moglie siamo grati di potervi servire qui in questa casa”, disse Henry ai santi che partecipavano alla dedicazione. “E lo facciamo con immenso piacere”.
Dopo il discorso di Henry, Inge si alzò e diede la sua testimonianza in veste di matrona del tempio. “Voglio dirvi che non ho mai provato una gioia più grande di quella che provo quando sono nella casa del Signore”, dichiarò. “Quando penso ai nostri giovani fratelli e sorelle che avranno la possibilità, nel prossimo futuro, di iniziare la loro vita in comune qui nel tempio, suggellati insieme e che anche i loro figli nasceranno con questo spirito dentro, il mio cuore si riempie ancora una volta di gratitudine”.
“Credo che tutti noi stiamo cercando di diventare più simili al nostro Signore e Maestro”, continuò, “e vi do la mia testimonianza che quando veniamo qui nel Suo santo tempio e quando siamo preparati a servire, allora saremo in grado di farlo”.
Il 18 luglio 1985 migliaia di ebrei ortodossi, nei loro tradizionali cappotti neri e cappelli a falda larga, si radunarono per protestare presso il muro occidentale di Gerusalemme. Con il supporto dei rabbini capi della città, si prostravano e recitavano le preghiere di solito riservate per giorni di lutto. Sopra di loro c’era un enorme stendardo rosso con un chiaro messaggio: “Mormoni, fermate subito il vostro progetto missionario”..
Dalla cerimonia di avvio lavori avvenuta un anno prima, la Chiesa aveva fatto progressi costanti nella realizzazione del Centro per gli studi sul Vicino Oriente della BYU a Gerusalemme. Ma in quel periodo, la popolazione ortodossa della città era arrivata a vedere il centro come una minaccia per l’ebraismo. Erano molto allarmati dalla reputazione che la Chiesa aveva in merito all’opera missionaria. Dopo l’Olocausto, quando il regime nazista aveva sterminato sistematicamente milioni di ebrei, molti ebrei ortodossi erano diventati particolarmente sensibili verso i cristiani che, presenti tra la loro gente, cercavano di convertirli. Temevano che il Centro di Gerusalemme sarebbe diventato il centro operativo dell’attività missionaria dei Santi degli Ultimi Giorni in Israele.
Il fatto che gli ebrei ortodossi si opponessero così strenuamente al progetto turbarono la Prima Presidenza, spingendola a inviare a Gerusalemme gli apostoli Howard W. Hunter e James E. Faust. La Chiesa aveva ottenuto in affitto il terreno per il Centro di Gerusalemme in modo totalmente lecito e non c’erano state manifestazioni pubbliche durante le prime fasi del progetto. Il centro continuava sempre a godere del sostegno del sindaco di Gerusalemme, Teddy Kollek, e di altri leader ebrei della città e un quarto della sua costruzione era già stata completata.
Il giorno dopo la protesta al Muro occidentale, l’anziano Hunter e l’anziano Faust incontrarono il rabbino Menachem Porush, un membro ortodosso del parlamento israeliano, nel suo ufficio a Gerusalemme. Nella stanza erano presenti anche molti altri leader ortodossi.
“Vorremmo invitarvi come amici a ritirarvi silenziosamente dal progetto”, disse il rabbino Porush agli apostoli. Era un uomo grande e imponente, ma parlò con voce umile e cortese. “Non so se avete compreso appieno il significato di ciò che è accaduto al Muro Occidentale”, continuò. “Si sono riuniti lì i rabbini di tutta Israele per esprimere la loro opposizione al progetto”.
“Sentiamo di non aver fatto nulla di male nel voler edificare qui il nostro Centro”, gli disse l’anziano Faust. Gli studenti della BYU venivano a Gerusalemme da oltre quindici anni, senza causare alcun problema. Il loro scopo era quello di studiare la storia e la cultura locali, non di svolgere opera missionaria. Così come il sindaco Kollek, anche i dirigenti della Chiesa credevano che la Terra Santa potesse essere condivisa pacificamente da fedi diverse.
“Sappiamo bene quanto siano forti i vostri programmi missionari per i giovani”, disse un altro rabbino nella stanza. “E qui non possono essere tollerati”.
“Vi chiediamo di fermare i lavori di costruzioni per due settimane”, disse il rabbino Porush. “Mi recherò personalmente a Salt Lake City per spiegare ai dirigenti competenti la necessità di fermare quest’opera”.
“Non possiamo interrompere i lavori”, disse l’anziano Hunter. “Abbiamo stipulato un contratto”.
“Ho costruito molti edifici”, commentò il rabbino Porush, “e so che è possibile prendere accordi per mettere in pausa i lavori”.
“Non possiamo fermare il cantiere”, ripeté l’anziano Hunter, “ma possiamo continuare a discutere per risolvere le nostre divergenze”.
“Per favore, vi chiedo di rifletterci”, insistette il rabbino.
La sera seguente, gli apostoli chiamarono il rabbino per informarlo che non avevano cambiato idea. I lavori sarebbero continuati.
Una volta tornati a Salt Lake City, l’anziano Hunter e l’anziano Faust si consultarono con la Prima Presidenza e il Quorum dei Dodici Apostoli su cosa potevano fare ancora per ottenere la fiducia di coloro che si opponevano al progetto.
Per dimostrare che la Chiesa si impegnava a non svolgere alcuna opera missionaria attraverso il Centro di Gerusalemme, la Prima Presidenza e il Quorum dei Dodici chiesero all’anziano Hunter, all’anziano Faust e al presidente della BYU Jeffrey R. Holland di scrivere un accordo formale di non-proselitismo per rassicurare i capi religiosi e politici in Israele.
Il comitato terminò l’accordo l’1 agosto. Il giorno dopo, il presidente Holland partì per Gerusalemme con il documento in mano.
Come presidentessa della Società di Soccorso a Soweto, in Sudafrica, Julia Mavimbela voleva che ogni donna del suo ramo si sentisse rispettata e accettata. Nel corso della sua vita, aveva visto donne maltrattate per mancanza di denaro o per una posizione sociale di svantaggio. Desiderava che tutte le persone di cui si occupava fossero trattate con dignità.
A quel tempo, le donne della Chiesa tenevano lezioni mensili di “economia domestica” in cui venivano trattati i principi dell’autosufficienza, della gestione del denaro, del primo soccorso, della nutrizione e della prevenzione delle malattie. Sapendo che molti a Soweto erano in difficoltà economiche, Julia insegnò alle donne della Società di Soccorso come far correttamente scorte di cibo e conservare l’acqua, come risparmiare denaro e come riuscire a vivere con poche risorse. Consigliò loro di rammendare i loro vecchi vestiti invece di comprarne di nuovi.
Un giorno il ramo ricevette una donazione di abiti e altri beni di consumo. Quasi tutte nella Società di Soccorso erano persone bisognose e Julia pregò per sapere come distribuire tutte quelle cose in modo equo. Il Signore la spinse a consegnare a ogni membro della Società di Soccorso un foglietto con sopra un numero. Poi estrasse dei numeri a caso, in modo che ogni donna avesse la possibilità di scegliere qualcosa dalle donazioni ricevute.
Sebbene la maggior parte delle lezioni della Società di Soccorso erano in inglese, Julia preparò lezioni anche in sotho e zulu per le donne che non parlavano bene l’inglese. Quando incaricava le sorelle della Società di Soccorso di ministrare l’una all’altra come insegnanti visitatrici, si affidava all’ispirazione per ricevere guida. “Ecco chi il Signore vuole che visitiate”, diceva alle sorelle appena chiamate. “Valutate i bisogni di quella casa e poi potremo discutere insieme cosa fare per loro come famiglia”.
Mentre Julia dirigeva la Società di Soccorso a Soweto, seguiva i progressi del tempio in costruzione a Johannesburg. Non vedeva l’ora di vedere la statua dell’angelo Moroni posta in cima alla guglia più alta del tempio. Ma quando arrivò quel giorno, gli attivisti anti-apartheid di Soweto misero in atto un così detto “stayaway”, uno sciopero di tutta la comunità per bloccare il lavoro e lo shopping nelle aree bianche di Johannesburg.
Julia appoggiava la causa degli attivisti, ma era determinata ad assistere a questa pietra miliare nella costruzione del tempio. Accompagnata dal nipote, si diresse a Johannesburg. Nessuno li fermò o li interrogò lungo la strada. Arrivati al tempio, riuscirono ad assistere alla posa della statua.
Un anno dopo, il 14 settembre 1985, Julia ricevette la sua investitura nella casa del Signore. Per la prima volta sentì un senso di piena appartenenza; una salda unità nell’alleanza con i suoi fratelli e sorelle nel Vangelo, nonostante le differenze di razza e di lingua. E, alla fine, fu suggellata sia al suo defunto marito, John, che ai suoi genitori.
“Che giorno meraviglioso è stato”!, disse con gioia. “Mi sono state date talmente tante benedizioni”.
“Oggi mi impegno con gioia a vivere, in modo da essere sempre degna di venire alla casa del Signore e servire Lui, il mio Salvatore e Redentore”, aggiunse. “Oh, quanto apprezzo sapere chi sono e perché sono qui”.