Attonito resto pensando all’immenso amor
Tratto da un discorso tenuto il 24 novembre 1985 ai lavoranti del Tempio di Salt Lake.
Uno dei nostri inni preferiti inizia con le parole «Attonito resto».1 Quando pensiamo alla vita di Cristo ci stupiamo per ogni suo aspetto. Ci stupiamo dinanzi al Suo ruolo di grande Geova nell’esistenza preterrena, di rappresentante di Suo Padre, creatore della terra, protettore dell’intera famiglia umana. Ci stupiamo della Sua venuta sulla terra e delle circostanze in cui si verificò questo avvenimento.
Ci meravigliamo che a soli dodici anni si dedicasse già all’opera di Suo Padre. Ci stupiamo dinanzi all’inizio ufficiale del Suo ministero, al Suo battesimo e ai Suoi doni spirituali.
Restiamo attoniti nel sapere che scacciò e sconfisse le forze del male ovunque andò, anche quando fece sì che gli storpi camminassero, i ciechi vedessero, i sordi udissero e gli infermi si levassero in piedi. Quando medito sul ministero del Salvatore mi chiedo: «Come riuscì a farlo?»
Egli è pronto a perdonare
Sono più che mai attonito pensando al momento in cui Gesù, oppresso dall’agonia della crocifissione sulla cima del Calvario, poté dire: «Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno» (Luca 23:34).
Se c’è un momento in cui resto davvero attonito è proprio questo. Quando Lo vedo portare il peso di tutti i nostri peccati e perdonare coloro che Lo avevano inchiodato alla croce, non chiedo «come riuscì a farlo?», ma «perché volle farlo?» Quando esamino la mia vita confrontandola con la Sua, piena di misericordia, mi accorgo di non fare tutto ciò che posso per seguire il Maestro.
Per me questo è un motivo ancor più grande di stupore. Sono abbastanza stupito dalla Sua capacità di guarire gli infermi e di resuscitare i morti; ma, sia pure in maniera limitata, ho avuto qualche esperienza nel guarire gli altri. Noi siamo tutti strumenti minori, ma abbiamo visto i miracoli del Signore ripetersi nella nostra vita, nella nostra famiglia e grazie alla nostra piccola porzione di sacerdozio. Ma la misericordia? Il perdono? L’Espiazione? La riconciliazione? Troppo spesso sotto questi aspetti noi siamo completamente diversi.
Come poté Egli perdonare i Suoi torturatori in quel momento? Con tutto il Suo dolore, dopo aver sanguinato da ogni poro, Egli riusciva ancora a pensare agli altri. Questa è per me un’altra stupefacente prova della Sua perfezione; ed Egli vuole che siamo perfetti anche noi. Nel Sermone sul Monte, prima di indicare la perfezione come nostro obiettivo, enunciò quello che potrebbe essere il principale requisito. Egli disse che tutti dobbiamo amare i nostri nemici e pregare per quelli che ci perseguitano» (vedere Matteo 5:44).
Questa è una delle cose più difficili da fare.
Gesù Cristo fu la più pura, l’unica persona perfetta che sia mai vissuta sulla terra. Egli è l’unica persona in tutto il mondo, da Adamo al momento presente, che meriti adorazione, rispetto, ammirazione e amore. Tuttavia Egli fu perseguitato, abbandonato e messo a morte; e nonostante tutto non volle condannare coloro che Lo perseguitavano.
Egli è il sacrificio perfetto
Dopo che i nostri progenitori Adamo ed Eva furono scacciati dal Giardino di Eden, il Signore comandò loro che «adorassero il Signore loro Dio, e offrissero i primogeniti dei loro greggi come offerta al Signore» (Mosè 5:5). L’angelo disse a Adamo: «Ciò è a similitudine del sacrificio dell’Unigenito del Padre, che è pieno di grazia e di verità» (Mosè 5:7).
Questo sacrificio serviva come costante memento delle umiliazioni e delle sofferenze che il Figlio di Dio avrebbe patito per riscattarci. Era un costante memento della mitezza, della misericordia, della gentilezza e, sì, del perdono che dovevano contrassegnare ogni vita cristiana. Per tutti questi motivi e per molti altri, quegli agnelli primogeniti puri e senza macchia, perfetti sotto ogni aspetto, furono offerti su quegli altari di pietra un anno dopo l’altro, una generazione dopo l’altra, per indirizzare la nostra mente verso il grande Agnello di Dio, il Suo Unigenito Figliuolo, il Suo Primogenito, perfetto e senza macchia.
Nella nostra dispensazione dobbiamo prendere il sacramento, un’offerta simbolica che rappresenta il nostro cuore spezzato e il nostro spirito contrito (vedi DeA 59:8). E prendendolo promettiamo di «ricordar[ci] sempre di lui e [di] obbedire ai suoi comandamenti … per poter avere sempre con [noi] il suo Spirito» (DeA 20:77).
I simboli del sacrificio del Signore, al tempo di Adamo come al nostro tempo, servono per ricordarci di vivere in pace nell’obbedienza e nella misericordia. Queste ordinanze ci ricordano che dobbiamo dimostrare che siamo convertiti al vangelo di Gesù Cristo usando tolleranza e generosità gli uni verso gli altri, come Egli le ebbe per noi su quella croce.
Ma nel corso dei secoli pochi di noi hanno usato queste ordinanze nella giusta maniera. Caino fu il primo ad offrire un sacrificio inaccettabile. Come ha fatto notare il profeta Joseph Smith, «Abele offrì a Dio un sacrificio che fu a Lui gradito, e cioè i primogeniti del gregge. Caino offrì i frutti della terra, dono che non fu accolto perché egli… non poteva esercitare una fede contraria al disegno del cielo. L’espiazione per l’uomo doveva avvenire mediante lo spargimento del sangue del Figlio Unigenito, perché questo era il disegno di redenzione, e senza lo spargimento di sangue non c’era remissione; e poiché il sacrificio fu istituito come simbolo mediante il quale l’uomo doveva discernere il grande Sacrificio preparato da Dio, nessuna fede poteva essere esercitata nell’offrire un sacrificio contrario a quello perché la redenzione non poteva essere acquistata in quel modo, né il potere dell’espiazione stabilito secondo quell’ordine… Certamente lo spargimento del sangue di un animale non poteva essere di utilità a nessun uomo, a meno che non fosse fatto ad imitazione o come simbolo di quello che sarebbe stato offerto attraverso il dono di Dio stesso».2
Così alcuni ai nostri giorni, un po’ simili a Caino, tornano a casa dopo aver ricevuto il sacramento per poi litigare con una persona di famiglia o mentire o imbrogliare o adirarsi con il prossimo.
Samuele, profeta in Israele, commentò sulla futilità di offrire un sacrificio senza onorarne il significato. Quando Saul, re d’Israele, trasgredì le istruzioni del Signore portando indietro dal paese degli Amalechiti «il meglio delle pecore e de’ buoi per farne de’ sacrifizi all’Eterno», Samuele esclamò: «L’Eterno ha egli a grado gli olocausti e i sacrifizi come che si ubbidisca alla sua voce? Ecco, l’ubbidienza val meglio che il sacrifizio, e dare ascolto val meglio che il grasso dei montoni» (1 Samuele 15:15, 22).
Saul offriva i suoi sacrifici senza comprenderne il significato. I Santi degli Ultimi Giorni che partecipano alla riunione sacramentale, ma dopo averlo fatto non sono più misericordiosi, più pazienti o più pronti a perdonare, sono molto simili a lui. Essi compiono i gesti richiesti dalle ordinanze senza comprendere gli scopi per i quali dette ordinanze furono istituite. Questi scopi devono aiutarci ad essere obbedienti e gentili mentre cerchiamo di meritarci il perdono per i nostri peccati.
Ricordiamo il Suo sacrificio
Molti anni fa l’anziano Melvin J. Ballard (1873–1939) insegnò che «il nostro Dio è un Dio geloso, geloso perché non vuole che ci permettiamo di ignorare o dimenticare o considerare di poca importanza il più grande dono che Egli ci ha dato»3, ossia la vita del Suo Unigenito Figliuolo.
Quindi come possiamo fare in modo di non ignorare, offendere o dimenticare mai il più grande fra tutti i doni che Egli ci ha dato?
Lo facciamo dimostrando il nostro desiderio di ottenere la remissione dei peccati e la nostra eterna gratitudine per la più coraggiosa di tutte le preghiere: «Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno». Lo facciamo quando anche noi da parte nostra perdoniamo gli altri.
«“Portate i pesi gli uni degli altri, e così adempirete la legge di Cristo” (Galati 6:2) [comanda Paolo]… La legge di Cristo che abbiamo il dovere di osservare ci ordina di portare la croce. Il fardello di mio fratello che devo portare non riguarda soltanto la sua situazione [e le sue condizioni esteriori]… ma in senso letterale anche i suoi peccati. E l’unico modo di portare il fardello di questi peccati consiste nel perdonarli… Il perdono è la sofferenza, simile a quella di Cristo, che è dovere del cristiano sopportare».4
Sicuramente il motivo per cui Cristo disse «Padre perdona loro» è perché anche in quella terribile ora Egli sapeva che questo era il messaggio che Egli era venuto a comunicare all’uomo per tutta l’eternità. L’intero piano di salvezza sarebbe diventato inutile se Egli avesse dimenticato che non malgrado l’ingiustizia, la brutalità, la crudeltà e la disobbedienza, ma proprio a causa di esse Egli era venuto a portare il perdono alla famiglia umana. Tutti sono capaci di essere cordiali, pazienti e pronti a perdonare quando si trovano in una buona giornata. Il cristiano deve essere cordiale, paziente e pronto a perdonare tutti i giorni.
C’è qualcuno che voi conoscete che forse ha bisogno di essere perdonato? C’è qualcuno nella vostra casa, qualcuno nella vostra famiglia, qualcuno nel vostro quartiere che ha fatto una cosa ingiusta o crudele o non cristiana? Tutti noi siamo colpevoli di queste trasgressioni, per cui sicuramente deve esserci qualcuno che ha bisogno del vostro perdono.
E, per favore, non chiedetemi se è giusto che la persona offesa debba portare il fardello del perdono per chi l’ha offesa. Non chiedetemi se la «giustizia» non prescrive che accada invece l’opposto. Quando si tratta dei nostri peccati, non chiediamo giustizia, bensì invochiamo la misericordia e questo è esattamente ciò che dobbiamo essere disposti a dare.
Riusciamo a vedere la tragica ironia insita nel non concedere agli altri ciò di cui abbiamo tanto bisogno noi stessi? L’azione forse più nobile, più santa e più pura che potete fare è quella che vi permette di dire, di fronte alla crudeltà e all’ingiustizia, che voi tuttavia veramente e sinceramente «amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano». Questa è la difficile via che porta alla perfezione.
La gioia nel rivedersi
Ricordo che alcuni anni fa all’aeroporto di Salt Lake City assistetti a uno spettacolo memorabile. Quel particolare giorno ero sceso dall’aereo ed ero entrato nel terminal. Vidi immediatamente che c’era un missionario che stava tornando a casa, poiché l’aeroporto era pieno di amici e parenti vestiti a festa che richiamavano senza dubbio l’attenzione dei presenti.
Cercai di individuare i parenti più stretti del missionario. Quello era certamente suo padre, che non appariva particolarmente a suo agio in un vestito mal fatto e assai fuori moda. Aveva l’aspetto di un uomo che coltiva la terra, dal volto abbronzato e con grandi mani callose.
C’era la madre, piccola e magra, con l’aspetto della persona che ha lavorato duramente per tutta la vita. Teneva in mano un fazzoletto che ritengo in origine fosse di lino, ma che ora sembrava di carta, spiegazzato dalle mani della donna in preda a quell’agitazione che soltanto la madre di un missionario che torna a casa può conoscere.
Due o tre fratelli e sorelle più piccoli correvano qua e là, piuttosto indifferenti alla scena che si svolgeva sotto i loro occhi.
Mi chiesi chi sarebbe stato il primo del gruppo a farsi avanti per salutare il giovane al suo arrivo. Uno sguardo al fazzoletto della madre mi convinse che probabilmente sarebbe stata lei la prima.
Mentre ero seduto lì, vidi comparire il missionario. Capii subito che era lui dagli strilli eccitati dei suoi parenti. Sembrava un altro comandante Moroni, alto, robusto, bello e tirato a lustro. Indubbiamente era consapevole del sacrificio che la sua missione aveva imposto alla famiglia.
Mentre si avvicinava al gruppo, qualcuno non riuscì più a trattenersi. Ma non fu la madre, né uno dei fratelli o delle sorelle. Fu il padre, quell’uomo grande e grosso, un po’ goffo, calmo e abbronzato, che corse incontro al figlio e lo abbracciò.
Il missionario era alto probabilmente un metro e novanta, ma quel gigante di suo padre lo prese per i fianchi, lo sollevò da terra e lo tenne su in alto per un lungo momento. Lo tenne senza dire nulla. Il ragazzo abbracciò suo padre e rimase stretto a lui per qualche tempo. Fu come se l’eternità si fosse fermata. Fu come se il mondo avesse taciuto per un attimo in segno di rispetto per un momento tanto sacro.
Poi pensai a Dio, Padre Eterno, che vide Suo Figlio andare a servire, andare a sacrificarsi pur non avendo l’obbligo di farlo, per così dire a Sue spese, dando ogni cosa che aveva risparmiato e che aveva da dare. In quel meraviglioso momento non era difficile immaginare che il Padre parlasse in preda all’emozione a coloro che erano in grado di udirLo: «Questo è il mio diletto Figliuolo, nel quale mi sono compiaciuto» (Matteo 3:17). Ed era anche possibile immaginare quel Figlio che tornava trionfante dicendo: «È compiuto» (Giovanni 19:30). «Padre, nelle tue mani rimetto lo spirito mio» (Luca 23:46).
Meraviglioso è il suo amor per me
Anche con la mia limitata immaginazione riesco a vedere quella riunione nei cieli, e prego che ce ne possa essere una simile anche per me e per voi. Prego perché nella nostra vita ci sia riconciliazione, perdono, misericordia, progresso cristiano e quelle virtù cristiane che dobbiamo acquisire se vogliamo godere pienamente di un simile momento.
Resto attonito perché anche per un uomo come me esiste una possibilità. Ma se ho compreso bene «la buona novella», esiste davvero una possibilità per me, per voi, per chiunque sia disposto a continuare a sperare e a continuare a sforzarsi, concedendo agli altri la stessa possibilità.
Quaggiù in umiltà Ei discese dal sommo ciel,
salvando così un indegno qual io son…
In croce Ei morì per potere ognun salvar;
non posso, non posso tal grande mercé scordar.
Con tutto me stesso per sempre Lo adorerò,
finché alle Sue alte dimore non giungerò…
Meraviglioso è il Suo amor per me!5