I classici del Vangelo
Consacra la tua opera
Neal A. Maxwell fu per due anni un Assistente ai Dodici e per cinque nella Presidenza dei Settanta, prima di essere sostenuto il 3 ottobre 1981 come membro del Quorum dei Dodici Apostoli. Il 21 luglio 2004 morì a Salt Lake City, dopo otto anni di battaglia con la leucemia. In occasione della conferenza generale di aprile 2002, l’anziano Maxwell tenne questo sermone senza tempo sulla consacrazione.
Questo discorso è rivolto a coloro che sono imperfetti, ma coscienziosi. Come sempre, il più diretto interessato sono proprio io.
Tendiamo a pensare alla consacrazione soltanto come al dare, sotto direzione divina, le nostre proprietà materiali. Ma la consacrazione per eccellenza è dare se stessi a Dio. Cuore, anima e mente sono le parole che il Cristo ha usato per descrivere il primo comandamento, che è sempre valido, non solo a volte (vedere Matteo 22:37). Se sarà osservato, allora la nostra opera sarà consacrata per il benessere della nostra anima (vedere 2 Nefi 32:9).
Questo richiede la totale convergenza di pensieri, parole e azioni, l’opposto della contraddizione e dell’estraneazione: «Poiché, come conosce un uomo il padrone che non ha servito, e che gli è estraneo e che è lungi dai pensieri e dagli intenti del suo cuore?» (Mosia 5:13).
Molti ignorano la consacrazione perché sembra troppo astratta e scoraggiante. Comunque, coloro che sono coscienziosi provano un senso di inadeguatezza per via del progresso compiuto accompagnato allo stesso tempo da un senso di procrastinazione delle cose che sanno di dover fare. Quindi vi darò alcuni consigli affettuosi per continuare nel vostro progresso, vi incoraggerò a proseguire il viaggio e vi consolerò nelle difficoltà che tutto questo comporta.
Sottomettiamoci completamente
La sottomissione spirituale non si raggiunge in un istante, ma è un processo continuo di miglioramento, un gradino dopo l’altro. I gradini devono essere affrontati, in ogni caso, uno alla volta. Alla fine la nostra volontà sarà «assorbita dalla volontà del Padre» e saremo «dispost[i] a sottometter[ci]… proprio come un fanciullo si sottomette a suo padre» (Mosia 15:7; 3:19). Altrimenti, malgrado i nostri sforzi, continueremo ad essere in parte deviati.
Ci sono importanti esempi che concernono la consacrazione finanziaria da prendere in considerazione. Quando Anania e Saffira vendettero le loro proprietà, trattennero «parte del prezzo» (vedere Atti 5:1–11). Molti di noi si attaccano caparbiamente a una «parte» specifica, considerando anche le nostre ossessioni come se fossero veri e propri beni materiali. Quindi, a prescindere da quanto abbiamo già dato, l’ultima parte è la più difficile da lasciare. Naturalmente, la consacrazione parziale è comunque da lodare, anche se non è considerevole o auspicabile quanto quella totale (vedere Giacomo 1:7–8).
Per esempio, possiamo avere alcune capacità o talenti particolari che pensiamo, erroneamente, siano in qualche modo di nostra proprietà. Se ci attacchiamo ad essi più che a Dio, stiamo fallendo nella consacrazione al primo comandamento. Dato che Dio ci sostiene «prestando[ci] l’alito perché possia[mo] vivere e muover[ci]», non è raccomandabile attaccarci a queste cose o darci delle arie! (Mosia 2:21).
Possiamo anche essere in difetto quando serviamo Dio dedicandoGli generosamente il nostro tempo e i nostri assegni, ma trattenendo parte di noi stessi, dimostrando così di non essere ancora completamente Suoi!
Alcuni si trovano in difficoltà quando dei compiti particolari rovinano il loro divertimento. Giovanni Battista è un buon esempio, quando dice riguardo ai seguaci sempre più numerosi di Gesù: «Bisogna che egli cresca, e che io diminuisca» (Giovanni 3:30). Quando noi riteniamo erroneamente che i nostri incarichi siano il solo indicatore di quanto Dio ci ama, aumentiamo la nostra riluttanza a staccarci da essi. Fratelli e sorelle, il nostro valore personale è già stato definito da Dio come «grande»: non oscilla come la Borsa.
Altri passi avanti non vengono fatti perché, come il giovane ricco, uomo giusto, anche noi siamo privi della volontà di confrontarci con quella cosa che ancora ci manca (vedere Marco 10:21), riflettendo il nostro egoismo residuo.
Possiamo ritrarci in molti diversi modi. Il regno terrestre, ad esempio, comprende gli uomini «onorevoli», coloro che chiaramente non portano falsa testimonianza, ma «che non sono coraggiosi nella testimonianza di Gesù» (DeA 76:75, 79). Il modo migliore di essere coraggiosi nella testimonianza di Cristo è diventare più simili a Lui, ed è proprio la consacrazione che scolpisce il nostro carattere emulativo (vedere 3 Nefi 27:27).
Non anteponiamo altri dèi all’Onnipotente
Nel superare le prove citate, ci può essere di grande aiuto la sottomissione spirituale, spingendoci a volte a «lasciar andare» le cose materiali, persino la nostra vita terrena, a volte a «tenerci stretti», e altre volte ancora ad avanzare e affrontare la prossima prova (vedere 1 Nefi 8:30).
Eppure se ci manca la visione, i passi successivi possono apparire estremamente difficili. I miopi Laman e Lemuele sapevano che Dio aveva benedetto l’antico popolo d’Israele aiutandolo a sfuggire al potente Faraone e al suo esercito, eppure essi non avevano fede nella capacità di Dio di aiutarli contro un insignificante personaggio come Labano.
Possiamo anche ritrarci perché siamo troppo ansiosi di piacere ai superiori della nostra attività professionale o ai nostri amici, violando in questo modo il primo comandamento, mettendo «altri dii» prima del vero Dio (Esodo 20:3).
A volte difendiamo le caratteristiche più irritanti del nostro carattere, come se queste costituissero la nostra personalità. Ma in qualche modo, essere discepoli a volte può essere doloroso, come testimoniò il profeta Joseph:
«Io sono come una grossa, ruvida pietra… e la cui unica levigatura è quella prodotta dall’urto contro altri massi… Perciò io diverrò una freccia liscia ed aguzza nella faretra dell’Onnipotente».1
Le ginocchia spesso si piegano prima della mente. Trattenere «una parte» dell’intelletto priva l’opera di Dio di alcune delle migliori menti umane. È molto meglio diventare umili come Mosè che apprese cose che non avrebbe «mai supposto» (Mosè 1:10). Eppure, a causa del complicato intreccio tra libero arbitrio e identità, si esita ad arrendere e consacrare la mente a Dio, ]»anche se questa è effettivamente una vittoria, perché ci conduce alle «più alt[e]» vie di Dio (Isaia 55:9).
Purtroppo, un’attenzione disordinata, seppur verso cose buone, può diminuire la nostra devozione a Dio. Ad esempio, ci si può dedicare troppo allo sport e alla cura del proprio corpo; si può rispettare la natura, eppure dimenticare il Dio che l’ha creata. Ci si può dedicare troppo alla musica, oppure allo stesso modo alla propria degna professione. In tali circostanze vengono spesso trascurate le «cose più gravi» (Matteo 23:23; vedere anche 1 Corinzi 2:16). Solo l’Altissimo può guidarci al bene «più alto» che possiamo fare.
Gesù ha dichiarato che tutto dipende dai due grandi comandamenti, non viceversa! (Vedere Matteo 22:40). Il primo comandamento non viene lasciato in sospeso soltanto a causa della ricerca costante di un bene minore, poiché noi non adoriamo un Dio minore.
Riconosciamo la mano divina
Prima di godere dei frutti del nostro retto lavoro dobbiamo riconoscere la mano di Dio, piuttosto che razionalizzare e dire: «La mia forza e la potenza della mia mano m’hanno acquistato queste ricchezze» (Deuteronomio 8:17). Oppure, vantarci di noi stessi, come avrebbe fatto l’antica Israele (ad eccezione del deliberatamente piccolo esercito di Gedeone), che avrebbe detto: «La mia mano è quella che m’ha salvato» (Giudici 7:2). Vantarsi del successo della propria mano rende doppiamente difficile riconoscere la mano di Dio in tutte le cose! (Vedere Alma 14:11; DeA 59:21).
Mosè, uno dei più grandi uomini mai esistiti, quando si trovava a Meriba era stanco delle lamentele del popolo che chiedeva acqua. Per un momento «egli parlò sconsigliatamente», dicendo: «Vi farem noi uscir dell’acqua da questo sasso?» (Salmi 106:33; Numeri 20:10; vedere anche Deuteronomio 4:21). Il Signore istruì Mosè che aveva usato il pronome sbagliato, e lo rese grande. Faremmo bene ad essere mansueti come Mosè (vedere Numeri 12:3).
Gesù non perse mai di vista il Suo obiettivo! Benché andasse intorno a fare continuamente del bene, era sempre cosciente che Lo attendeva l’Espiazione: «Padre, salvami da quest’ora! Ma è per questo che son venuto incontro a quest’ora» (Giovanni 12:27; vedere anche 5:30; 6:38).
Più sviluppiamo amore, pazienza e umiltà, più dobbiamo dare a Dio e agli altri. Inoltre, nessun altro è nelle nostre stesse circostanze con le medesime opportunità.
Naturalmente i gradini che portano alla consacrazione possono condurci in nuovi territori che possiamo essere riluttanti a esplorare. Coloro che hanno già salito il gradino con successo, possono dare a tutti gli altri una forte motivazione, visto che di solito prestiamo più attenzione a coloro che ammiriamo. Il figliol prodigo, in preda alla fame, ha certamente ricordato le buone pietanze di casa sua, ma sicuramente fu spinto anche da altri ricordi, quando disse: «Io mi leverò e me n’andrò a mio padre» (Luca 15:18).
La consacrazione restituisce a Dio ciò che è Suo
Per essere completamente sottomessi, il nostro volere è tutto quello che dobbiamo veramente cedere a Dio. Gli altri doni e la fonte da cui derivano che possiamo mettere a Sua disposizione potrebbero essere giustamente etichettati con l’espressione «restituire al Mittente» con la M maiuscola. Ma anche quando Dio riceve in restituzione questo, coloro che sono totalmente fedeli riceveranno «tutto quello che… ha» (DeA 84:38): quale scambio vantaggioso!
Nel frattempo ricordiamoci sempre che: Dio ci ha donato la vita, il libero arbitrio, i talenti e le opportunità. Ci ha dato tutto ciò che possediamo e ci ha concesso il tempo che abbiamo da vivere e l’alito per farlo (vedere DeA 64:32). Con tale visione possiamo evitare di fare errori di calcolo, alcuni dei quali sono senza dubbio molto meno divertenti dello scambiare un doppio quartetto per il Coro del Tabernacolo!
Non sorprende quindi che il presidente [Gordon B.] Hinckley ci abbia tanto parlato di diventare un popolo dell’alleanza, indicando l’importanza del sacramento, della decima e del tempio, descrivendo il sacrificio come «la vera essenza dell’Espiazione».2
L’esempio di sottomissione dato da Gesù
Il Salvatore ha raggiunto una sottomissione senza confronto, patendo il dolore e l’agonia dell’Espiazione, tanto da farGli desiderare «di non bere la coppa amara» e ritrarsi (DeA 19:18). Pur in minor misura, anche noi affrontiamo delle prove e desideriamo che in qualche modo ci vengano tolte.
Pensiamo a questo: a cosa sarebbe servito il ministero di Gesù se Egli avesse operato più miracoli, senza compiere il maggiore di tutti nel Getsemani e sul Calvario? Nei Suoi altri miracoli Egli estese la vita e diminuì la sofferenza di alcuni; ma come si possono paragonare questi al miracolo della resurrezione universale? (Vedere 1 Corinzi 15:22). La moltiplicazione dei pani e dei pesci nutrì la moltitudine affamata. Ma nonostante ciò, coloro che mangiarono ebbero presto nuovamente fame, mentre coloro che prendono del Pane della vita non avranno mai più fame (vedere Giovanni 6:51, 58).
Nel ricercare la consacrazione, comprensibilmente tremiamo al pensiero di ciò che potrebbe esserci richiesto. Ma il Signore ha detto consolandoci: «La mia grazia vi è sufficiente» (DeA 17:8). Crediamo davvero in Lui? Egli ha anche promesso di rendere forti le cose deboli (vedere Ether 12:27). Siamo veramente disposti a sottometterci a quel processo? Tuttavia se vogliamo la pienezza di ciò che Dio ha, non possiamo trattenere una parte di ciò che Gli dobbiamo.
Lasciare che la nostra volontà sia sempre più sovrapponibile alla volontà del Padre favorisce lo sviluppo di una personalità più completa, che ci rende maggiormente in grado di ricevere «tutto quello che [Dio] ha» (DeA 84:38). Come possiamo pensare che ci venga affidato «tutto» quello che Egli ha se la nostra volontà non è molto più simile alla Sua? Né quel «tutto» potrebbe essere apprezzato appieno da chi si impegna solo in parte.
A dire il vero noi tradiamo il nostro potenziale «io» trattenendo «una parte» di noi stessi. Non c’è bisogno di chiedere: «Sono io quello, Signore?» (Matteo 26:22), ma piuttosto: «È questo che vuoi?» Potremmo conoscere la risposta già da lungo tempo e aver bisogno di deciderci piuttosto che del Suo responso.
La più grande felicità nel generoso piano di Dio è alla fine riservata a coloro che sono disposti a sforzarsi e a pagare il prezzo del viaggio verso il Suo regno. Fratelli e sorelle, «venite, riprendiamo questo viaggio».3
Nel nome di Colui che ha il braccio teso verso di noi (vedere DeA 103:17; 136:22), Gesù Cristo. Amen.