2009
La voce del Buon Pastore
Aprile 2009


La voce del Buon Pastore

Da buon cowboy, padrone di un ranch nel Montana, per la maggior parte dei miei settant’anni mi è stata molto cara la parabola del buon pastore, che si trova in Giovanni 10:1–18, poiché l’ho vissuta. Le esperienze seguenti sono state particolarmente efficaci nel dar vita alla parabola.

Nei tempi biblici, i pastori chiamavano a voce le proprie pecore in mezzo ai molti greggi che per la notte venivano raggruppati in un ovile (vedi versetti 3–4). Similmente, quando sposto le pecore, io le chiamo e loro mi seguono.

Anni fa la mia attiva vicina di novantasei anni, Alice, che allevava anch’ella pecore, si ammalò nella stagione degli agnelli, così mi offrii di seguire il parto durante la notte. Quando entrai per la mia prima notte «di servizio» nel riparo dove sarebbero nati gli agnelli, le quasi cento pecore femmine di Alice erano pacificamente coricate. Nel momento però in cui apparvi, immediatamente percepirono in mezzo a loro la presenza di uno sconosciuto. Terrorizzate, istantaneamente cercarono di salvarsi stringendosi insieme nell’angolo lontano (vedi versetto 5).

Ciò accadde per diverse notti. A prescindere da quanto silenziosamente entrassi, le pecore si spaventavano e fuggivano. Mentre mi prendevo cura degli agnellini appena nati e delle pecore parlavo loro con dolcezza. Alla quinta notte non si agitavano più quando le aiutavo: avevano imparato a riconoscere la mia voce e si fidavano di me.

Un po’ di tempo dopo dissi ad Alice che avrei nutrito la sua dozzina di agnelli in difficoltà (che erano rimasti orfani o la cui madre non produceva abbastanza latte). Imitando Alice, li chiamavo: «Venite, BaBa! Venite, BaBa!» Mi aspettavo che gli agnelli corressero affamati verso di me, come facevano con lei. Neppure un solo agnello però alzò lo sguardo per guardarmi. Alice poi uscì dalla porta della cucina e li chiamò. Udendo la sua voce, si affrettarono con entusiasmo da lei, belando per ricevere il latte.

Affascinati, io e Alice conducemmo un esperimento. Stando dentro il mio recinto, Alice imitò il mio richiamo: «Qui, pecorelle, pecorelle! Qui, pecorelle, pecorelle!», senza però ricevere alcuna attenzione. Quando però io le chiamai usando esattamente le stesse parole, le mie pecore velocemente mi circondarono. Anche se le parole che avevamo usato per richiamare gli animali erano identiche, le nostre voci sconosciute furono ignorate. Le pecore ascoltano fedelmente soltanto il loro vero pastore (vedi versetto 4).

Giovanni 10 distingue un pastore da un mercenario. Un pastore, che possiede le pecore, si preoccupa con amore della loro incolumità. Al contrario, un pecoraio è soltanto un «mercenario» e «non si cura» di loro (versetto 13). La parabola insegna inoltre che mentre i mercenari scappano e abbandonano le pecore (vedi versetto 12), il pastore è pronto a sacrificare la vita per le pecore (vedi versetto 11). Questo è certamente vero del nostro Buon Pastore, il nostro Salvatore Gesù Cristo, che con amore ha offerto la vita per noi (vedi versetti 15, 17–18).

Queste esperienze mi hanno confermato uno dei messaggi fondamentali della parabola: se cerchiamo di conoscere personalmente il nostro Buon Pastore e prontamente riconosciamo la Sua voce, questo c’impedirà di sbagliarci e di seguire il mercenario. Ascoltando fedelmente la voce del Buon Pastore e di nessun altro, saremo guidati alla salvezza eterna.

L’Eterno è il mio pastore, di Simon Dewey, pubblicato per gentile concessione di Altus Fine Art, American Fork, Utah, USA

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