L’insegnamento contribuisce a salvare la vita delle persone
Insegnamo la dottrina chiave, invitiamo chi ci ascolta a compiere l’opera che Dio ha per loro e quindi promettiamo che le benedizioni arriveranno per certo.
Un giorno, quando servivo come presidente di missione, parlavo al telefono con il nostro figlio maggiore che si stava recando in ospedale dove lavorava come medico. Arrivato all’ospedale mi disse: «È stato bello parlarti, papà, ma ora devo uscire dalla macchina e andare a salvare qualche vita».
Nostro figlio cura bambini con malattie molto gravi. Se riesce a fare una diagnosi esatta di una malattia e a dare le cure giuste, può salvare la vita di un bambino. Dissi ai nostri missionari che anche il loro lavoro aiuta a salvare delle vite: la vita spirituale delle persone a cui insegnano.
Il presidente Joseph F. Smith disse: «Quando [riconosciamo] la verità sar[emo] salvat[i] da essa. [Noi] non verr[emo] salvat[i] semplicemente perché qualcuno [ce] ne parla, ma perché la riconosc[iamo] e agi[amo] secondo essa» (Conference Report, aprile 1902, 86; vedere anche Insegnare: non c’è chiamata più grande [1999], 49; 1 Timoteo 4:16).
Nostro figlio salva vite umane condividendo la sua conoscenza della medicina; i missionari e gli insegnanti della Chiesa salvano vite condividendo la loro conoscenza del Vangelo. Quando i missionari e gli insegnanti fanno affidamento sullo Spirito, insegnano il principio giusto, invitano chi ascolta a vivere quel principio e rendono testimonianza delle benedizioni promesse che di sicuro arriveranno. L’anziano David A. Bednar, nel corso di una recente riunione di addestramento, ha parlato di tre semplici elementi che fanno parte di un insegnamento efficace: (1) dottrina chiave, (2) invito all’azione e (3) benedizioni promesse.
La guida Predicare il mio Vangelo aiuta i missionari a insegnare la dottrina chiave, a invitare coloro che ascoltano i loro insegnamenti a entrare in azione e a ricevere le benedizioni promesse. La guida Insegnare: non c’è chiamata più grande aiuta i genitori e gli insegnanti a fare la stessa cosa. È adatta per l’insegnamento del Vangelo quanto Predicare il mio Vangelo lo è per il lavoro missionario. Usiamo questi due manuali per prepararci a insegnare, così quando insegnamo possiamo fare affidamento sullo Spirito.
Il presidente Thomas S. Monson racconta la storia di una insegnante della Scuola Domenicale di quando lui era un ragazzo, Lucy Gertsch. Una domenica, nel corso di una lezione sul servizio altruistico, la sorella Gertsch invitò i suoi studenti a donare il fondo che era stato messo via per la festa della classe alla famiglia di un loro compagno che aveva perduto la mamma. Il presidente Monson disse che nel fare quell’invito all’azione, la sorella Gertsch «chiuse il manuale e aprì i nostri occhi, le nostre orecchie e il nostro cuore alla gloria di Dio» (vedere «Esempi di insegnanti grandiosi», [tratto dalla Riunione di addestramento dei dirigenti a livello mondiale, 10 febbraio 2007] Liahona, giugno 2007, 76). La sorella Gertsch aveva ovviamente usato il manuale per preparare la lezione, ma quando sentì l’ispirazione chiuse il manuale ed esortò i suoi studenti a vivere il principio del Vangelo che stava insegnando.
Come ha detto il presidente Monson: «L’obiettivo dell’insegnamento del Vangelo… non è quello di riversare nozioni nella mente dei membri della classe… L’obiettivo è di ispirare l’individuo a pensare, sentire e poi fare qualcosa in merito alle verità e ai principi del Vangelo» (Conference Report, ottobre 1970, 107).
Quando Moroni apparve al profeta Joseph Smith, non solo gli insegnò le dottrine chiave della restaurazione, ma gli disse anche «che Dio aveva un’opera da far[gli] compiere» e gli promise che il suo nome sarebbe stato conosciuto fra tutte le nazioni (vedere Joseph Smith—Storia 1:33). Tutti i genitori e gli insegnanti del Vangelo sono messaggeri di Dio. Non tutti insegnamo a futuri profeti, come fecero sorella Gertsch e Moroni, ma tutti insegnamo a futuri dirigenti della Chiesa. Perciò insegnamo la dottrina chiave, invitiamo chi ci ascolta a compiere l’opera che Dio ha per loro e quindi promettiamo che le benedizioni arriveranno per certo.
Ricordo che una volta quando ero un bambino stavo andando spensierato in chiesa per una riunione della Primaria. Rimasi sorpreso, una volta arrivato, di vedere tutti i genitori che erano là per un programma speciale. Poi a un tratto mi resi conto: avevo una parte in quel programma e avevo dimenticato di imparare a memoria le mie battute. Quando arrivò il turno di recitare la mia parte, mi alzai in piedi davanti alla sieda ma dalla mia bocca non uscì una parola. Non riuscivo a ricordare niente. Così rimasi là in piedi, poi alla fine mi sedetti a fissare il pavimento.
Dopo quell’esperienza, presi la decisione di non parlare mai più a una riunione della Chiesa. Mantenni quell’impegno per un po’ di tempo. Poi una domenica la sorella Lydia Stillman, una dirigente della Primaria, si mise in ginocchio accanto a me e mi chiese di fare un breve discorso la settimana successiva. Le risposi: «Non faccio discor-si». Ma lei replicò: «Lo so, ma questo puoi farlo perché io ti aiuterò». Cercai di resistere, ma mostrava così tanta fiducia in me che fu difficile rifiutare la sua richiesta. Feci quel discorso.
Quella brava sorella era un messaggero di Dio, che aveva un lavoro da farmi fare. Mi insegnò che quando arriva una chiamata, la accettiamo, non ha importanza quanto ci sentiamo inadatti. Come Moroni aveva fatto con Joseph, si accertò che fossi preparato quando arrivò il momento di fare il discorso. Quell’insegnante ispirata contribuì a salvare la mia vita.
Quando ero un adolescente, l’insegnante della nostra classe della Scuola Domenicale era un missionario da poco ritornato di nome Peterson. Ogni domenica tracciava una grande freccia dall’angolo inferiore sinistro della lavagna fino all’angolo superiore destro. In cima alla lavagna scriveva: «Puntate in alto».
Qualsiasi dottrina insegnasse, ci chiedeva di ingegnarci per arrivare un po’ più in alto di quanto pensavamo fosse possibile. La freccia e quelle parole Puntate in alto erano un invito costante per tutta la lezione. Il fratello Peterson fece nascere in me il desiderio di servire una buona missione, di fare meglio a scuola, di fissare obiettivi più alti per la mia carriera.
Il fratello Peterson aveva un lavoro da farci fare. Il suo obiettivo era di aiutarci «a pensare, sentire e poi fare qualcosa in merito alle verità e ai principi del Vangelo». I suoi insegnamenti contribuirono a salvare la mia vita.
All’età di diciannove anni fui chiamato a servire una missione a Tahiti, dove dovevo imparare due lingue straniere: il francese e il tahitiano. All’inizio della missione ero molto scoraggiato dalla mancanza di progressi nelle due lingue. Ogni volta che cercavo di parlare francese, le persone rispondevano in tahitiano. Quando cercavo di parlare tahitiano, mi rispondevano in francese. Ero sul punto di rinunciare.
Poi un giorno mi trovavo alla casa della missione e stavo camminando vicino alla lavanderia quando udii una voce che mi chiamava. Mi voltai e vidi una donna tahitiana con i capelli grigi in piedi vicino all’ingresso che mi faceva segno di tornare indietro. Si chiamava Tuputeata Moo. Parlava solo tahitiano e io parlavo solo inglese. Persi molto di quanto stava cercando di dirmi, ma capii che voleva che tutti i giorni andassi nella sala lavanderia così poteva aiutarmi a imparare il tahitiano.
Facevo un salto da lei ogni giorno per fare pratica mentre stirava. All’inizio pensavo che i nostri incontri non sarebbero stati di grande aiuto, ma piano piano iniziai a capirla. Ogni volta che ci vedevamo mi trasmetteva la sua completa fiducia che avrei potuto imparare entrambe le lingue.
Sorella Moo mi aiutò a imparare il tahitiano. Ma contribuì a farmi imparare molto di più. Ciò che realmente faceva era insegnarmi il primo principio del Vangelo: la fede nel Signore Gesù Cristo. Mi insegnò che se confidavo in Lui, il Signore mi avrebbe aiutato a fare qualcosa che pensavo fosse impossibile. Non solo contribuì a salvare la mia missione, contribuì a salvare la mia vita.
La sorella Still, il fratello Peterson e la sorella Moo insegnarono «per persuasione, per longanimità, per gentilezza e mitezza, e con amore non finto; Con benevolenza e conoscenza pura, che allargheranno grandemente l’anima» (DeA 121:41–42). Insegnarono con i pensieri adorni della virtù e, grazie a ciò, lo Spirito Santo era il loro compagno costante (vedere DeA 121:45–46).
Questi grandi insegnanti sono stati l’ispirazione a pormi delle domande sul mio modo di insegnare:
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Come insegnante, mi considero un messaggero di Dio?
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Mi preparo e poi insegno in modo da contribuire a salvare la vita delle persone?
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Mi concentro su una dottrina chiave della Restaurazione?
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I miei studenti possono sentire l’amore che ho per loro, per il mio Padre celeste e per il Salvatore?
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Quando giunge l’ispirazione, chiudo il manuale e apro i loro occhi, le loro orecchie e il loro cuore alla gloria di Dio?
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Li incoraggio a compiere il lavoro che Dio ha in mente per loro?
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Dimostro così tanta fiducia in loro che trovano difficile rifiutare il mio invito?
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Li aiuto a riconoscere le benedizioni promesse che derivano dal vivere la dottrina che sto insegnando?
Nel regno di Dio apprendimento e insegnamento non sono attività facoltative. Sono i mezzi tramite i quali il Vangelo è stato restaurato sulla terra e per mezzo dei quali raggiungeremo la vita eterna. Ci forniscono il sentiero che porta alla testimonianza personale. Nessuno può «essere salvato nell’ignoranza» (DeA 131:6).
So che Dio vive. Rendo testimonianza che Gesù è il Cristo. Testimonio che il profeta Joseph Smith ha aperto questa dispensazione imparando la verità e poi insegnandola. Il Profeta pose una domanda dopo l’altra, ricevette risposte divine, quindi insegnò ai figli di Dio quello che aveva appreso. So che il presidente Monson è il portavoce del Signore sulla terra oggi e che continua ad apprendere e a insegnare a noi come fece Joseph Smith, perché l’insegnamento contribuisce a salvare le vite. Nel nome di Gesù Cristo. Amen.