2010
Che cosa hai fatto con il mio nome?
novembre 2010


Che cosa hai fatto con il mio nome?

Un giorno ciascuno di noi dovrà rispondere al Salvatore e Redentore, Gesù Cristo, di cosa abbiamo fatto con il Suo nome.

Elder Mervyn B. Arnold

Quando il presidente George Albert Smith era giovane, suo nonno, che era morto, gli apparve in un sogno e gli chiese: “Vorrei sapere che cosa hai fatto con il mio nome”. Il presidente Smith rispose: “Non ho mai fatto nulla del tuo nome di cui tu possa vergognarti”.1

Ogni settimana, quando prendiamo il sacramento, facciamo alleanza e promettiamo che siamo disposti a prendere su di noi il nome di Cristo, a ricordarci sempre di Lui e a obbedire ai Suoi comandamenti. Se siamo disposti a farlo, ci viene fatta la grande promessa che avremo sempre con noi il Suo Spirito.2

Proprio come il presidente George Albert Smith dovette rispondere a suo nonno di cosa aveva fatto del suo nome, così ciascuno di noi dovrà rispondere al Salvatore e Redentore, Gesù Cristo, di cosa abbiamo fatto con il Suo nome.

L’importanza di avere un buon nome viene chiarita in Proverbi, dove leggiamo: “La buona riputazione è da preferirsi alle molte ricchezze; e la stima, all’argento e all’oro”3 e “[Il nome] del giusto è in benedizione”.4

Meditando su questi passi delle Scritture e sull’importanza di avere una buona reputazione, un’ondata di ricordi ha riempito la mia mente circa la buona reputazione e il retaggio che i miei genitori hanno lasciato a me, ai miei quattro fratelli e due sorelle. I miei genitori non avevano né le ricchezze del mondo, né oro o argento. Nove di noi sono cresciuti in una casa con due sole stanze, un solo bagno e una veranda nel retro dove dormivano le mie sorelle. Quando i miei genitori morirono, io e i miei fratelli e sorelle ci incontrammo per dividerci i loro beni terreni, che erano davvero pochi. Mia madre lasciò alcuni vestiti ben stirati, dei mobili usati e pochi altri oggetti personali. Mio padre lasciò alcuni strumenti da falegname, dei vecchi fucili da caccia e poco altro. Le uniche cose che avessero un certo valore economico erano una modesta casa e qualche risparmio.

Assieme piangemmo apertamente di gratitudine, sapendo che ci avevano lasciato qualcosa di molto più prezioso dell’argento o dell’oro. Ci avevano dato il loro amore e il loro tempo; ci avevano spesso reso testimonianza della veridicità del Vangelo, che ora possiamo leggere nei loro preziosi diari. Non tanto con le parole, ma piuttosto tramite l’esempio, ci avevano insegnato a lavorare sodo, a essere onesti e a pagare la decima per intero. Inoltre, hanno instillato in noi il desiderio di portare a termine i nostri studi, andare in missione e, soprattutto, di trovare un compagno eterno, sposarci nel tempio e perseverare fino alla fine. Ci hanno realmente lasciato il retaggio di una buona reputazione per la quale saremo sempre grati.

Quando il beneamato profeta Helaman e sua moglie ricevettero la benedizione di avere due figli, li chiamarono Lehi e Nefi. Helaman spiegò ai suoi figli perché furono chiamati con il nome di due dei loro antenati, che avevano vissuto sulla terra quasi 600 anni prima della loro nascita. Egli disse:

“Ecco, figli miei… vi ho dato il nome dei nostri primi genitori [Lehi e Nefi]… e ho fatto ciò affinché quando ricorderete il vostro nome, possiate… ricordare le loro opere; e che quando ricorderete le loro opere, possiate sapere, come è stato detto, e anche scritto, che furono buoni.

Perciò, figli miei, io vorrei che faceste ciò che è bene, affinché possa essere detto e anche scritto di voi proprio quanto è stato detto e scritto di loro… 

che possiate avere quel dono prezioso della vita eterna”.5

Fratelli e sorelle, come sarà ricordato il nostro nome tra 600 anni?

Parlando di come possiamo prendere su di noi il nome di Cristo e così proteggere il nostro buon nome, Moroni insegnò:

“E vorrei ancora esortarvi a venire a Cristo, a tenervi stretti a ogni buon dono, e a non toccare i doni malvagi, né le cose impure… 

Sì, venite a Cristo, e siate perfetti in Lui, e rifuggite da ogni empietà”.6

Nell’ispirato opuscolo Per la forza della gioventù, si legge che: “La libertà di scegliere è un principio eterno dato da Dio che comporta responsabilità morali per le decisioni prese. Sebbene [siamo liberi] di scegliere da [noi stessi], non [siamo liberi] di scegliere le conseguenze delle [nostre] azioni. Quando [prendiamo] una decisione, [subiremo] le conseguenze che quella scelta implica”.7

Poco dopo che io e la mia amata Devonna ci sposammo, lei condivise con me la storia di come avesse imparato in gioventù quest’importante dottrina secondo la quale siamo liberi di scegliere, ma non siamo liberi di scegliere le conseguenze delle nostre azioni. Con l’aiuto di mia figlia Shelly, desidero raccontarvi l’esperienza della sorella Arnold:

“Quando avevo 15 anni, spesso avevo l’impressione che ci fossero troppe regole e comandamenti. Non ero ben convinta che una normale adolescente cui piaceva divertirsi potesse godersi la vita con così tante restrizioni. Inoltre, le numerose ore di lavoro nella fattoria di mio padre stavano sottraendo molto tempo da passare con i miei amici.

Una particolare estate, uno dei miei compiti era assicurarmi che le mucche al pascolo sulla montagna non abbattessero il recinto e andassero nel campo di grano. Una mucca che pasce il grano che sta crescendo può gonfiarsi fino a soffocare e morire. C’era una mucca, tuttavia, che cercava sempre di mettere la testa fuori dal recinto. Una mattina, cavalcando lungo il perimetro del recinto per controllare il bestiame, scoprii che quella mucca si era aperta un varco ed era uscita nel campo di grano. Purtroppo, mi resi conto che era già da un po’ che stava pascolando in quanto si era già gonfiata come un pallone. Pensai: ‘Stupida mucca! Il recinto era lì per proteggerti, eppure l’hai abbattuto e hai mangiato così tanto grano che ora rischi la vita’.

Tornai rapidamente alla fattoria per chiamare mio padre. Tuttavia, quando ritornammo, la trovai che giaceva morta al suolo. Mi sentii triste per la perdita di quella mucca. Le avevamo dato una bellissima pastura in montagna dove pascolare e un recinto per tenerla lontana dal grano pericoloso; nonostante tutto aveva stupidamente abbattuto il recinto e causato la propria morte.

Nel considerare il ruolo del recinto, mi resi conto che era una protezione, proprio come lo erano i comandamenti e le regole dei miei genitori. I comandamenti e le regole erano per il mio bene. Mi resi conto che l’obbedienza ai comandamenti poteva salvarmi dalla morte fisica e spirituale. Questa comprensione costituì un momento fondamentale nella mia vita”.

La sorella Arnold imparò che il nostro benevolo, saggio e amorevole Padre Celeste ci ha dato dei comandamenti non per limitarci, come vorrebbe farci credere l’avversario, ma per benedire la nostra vita e proteggere la reputazione e il retaggio che lasceremo alle generazioni future, proprio come nel caso di Lehi e Nefi. Proprio come la mucca che ha subito le conseguenze della sua scelta, ognuno di noi deve imparare che l’erba non è mai più verde dall’altra parte del recinto e non lo sarà mai, poiché “la malvagità non fu mai felicità”.8 Ognuno di noi subirà le conseguenze delle proprie scelte al termine di questa vita. I comandamenti sono chiari e ci proteggono, non sono una restrizione, mentre le meravigliose benedizioni che derivano dall’obbedienza sono innumerevoli!

Il nostro Padre Celeste sapeva che tutti avremmo fatto degli errori. Sono estremamente grato per l’Espiazione, che permette a ognuno di noi di pentirci e operare i cambiamenti necessari affinché possiamo una volta ancora essere uno con il Salvatore e provare la dolce pace del perdono.

Il nostro Salvatore ci invita quotidianamente a ripulire il nostro nome e a ritornare alla Sua presenza. Il Suo incoraggiamento è pieno di amore e tenerezza. Immaginate assieme a me l’abbraccio del Salvatore mentre leggo le Sue parole: “Non volete ora ritornare a me, pentirvi dei vostri peccati e essere convertiti, affinché io possa guarirvi?”9

Oggi, vorrei lanciare a ciascuno di noi la medesima sfida che i miei buoni genitori, che saranno sempre ricordati grazie alla loro buona reputazione, hanno proposto a me. Prima di agire, immaginate il Salvatore al vostro fianco e chiedetevi: “Penserei, direi o farei questa cosa, sapendo che Egli è qui?” Egli è davvero qui. Il nostro amato presidente Thomas S. Monson, che io attesto essere un profeta, cita spesso questo versetto quando parla del nostro Signore e Salvatore: “Poiché andrò davanti al vostro volto. Sarò alla vostra destra e alla vostra sinistra, e il mio Spirito sarà nel vostro cuore”.10

Mi auguro che, in quel giorno glorioso in cui staremo davanti al nostro amato Salvatore per fare rapporto di quello che abbiamo fatto con il Suo nome, potremo dichiarare: “Io ho combattuto il buon combattimento, ho finito la corsa, ho serbata la fede”.11 “Ho fatto onore al Tuo nome”. Rendo testimonianza che Gesù è il Cristo. Egli morì affinché noi potessimo vivere. Nel nome di Gesù Cristo. Amen.