2020
Sostenere mia madre nel suo viaggio verso la sobrietà
Ottobre 2020


Solo digitale: Giovani Adulti

Sostenere mia madre nel suo viaggio verso la sobrietà

Percorrere la strada verso il recupero con coloro che combattono una dipendenza non è facile, ma ne vale la pena.

Prima di essere grande abbastanza per capire cosa sono gli alcolici, sapevo che mia madre aveva un problema con l’alcol. I familiari cercavano di nascondere il suo problema a me e a mia sorella, ma riuscirono a tenere segrete le sbronze e i loro postumi mattutini solo per un po’.

Nostra madre era alcolizzata e nessuna scusa né storia elaborata avrebbe potuto cambiare questo fatto.

Da ragazza credevo che la dipendenza fosse una scelta. Perciò mi sentivo ferita ogniqualvolta mia madre varcava la porta con l’alito che odorava di alcol dopo aver promesso di smettere. Era come se lei non volesse cambiare. Ma anni di sue lacrime di dolore, tentativi falliti e ricadute rovinose mi hanno fatto cambiare idea.

Quando ero alle medie iniziai a rendermi conto che la dipendenza di mia madre non se ne sarebbe andata “mite in quella buona notte”, come scrisse una volta il poeta Dylan Thomas1 — e non perché lei non volesse cambiare. Non si trattava di mancanza di forza di volontà da parte sua o del fatto che preferisse l’alcol alla sua famiglia. Era intrappolata nella sua dipendenza.

Come ha spiegato il presidente Russell M. Nelson: “La tossicodipendenza […] ci priva della libertà di scegliere. A causa di queste sostanze si verifica un distacco tra il comportamento e la volontà dell’individuo”.2 Guarire sarebbe stata una battaglia tra il suo corpo e il suo spirito per gli anni a venire.

Resistere al ciclo delle ricadute

Iniziai a riconoscere di nuovo mia madre dopo sei mesi di sobrietà, la mamma che era solita danzare in macchina e scrivere belle poesie e raccontare storielle imbarazzanti a tutti i miei amici. Era come se qualcuno da dietro le quinte avesse riacceso all’improvviso la luce nei suoi occhi e stesse facendo gli straordinari per tenerla accesa. Da anni non era sobria per un periodo così lungo ed era bello riaverla.

Ma non durò. Una sera, prima ancora che lei avesse l’opportunità di parlare, io e mia sorella lo sapevamo. I suoi occhi annebbiati e le guance rosse dicevano tutto: dopo sei mesi e quattro giorni aveva avuto una ricaduta. Per un attimo pensammo di andarcene via, lontano dalla preoccupazione e dalla paura, ma sapevamo che lei voleva cambiare. Non potevamo farlo per lei, ma potevamo sostenerla mentre percorreva la strada del recupero.

Rompere il silenzio intorno alla dipendenza

Nei mesi che seguirono, io e mia sorella cercammo dei modi per aiutare mia madre a continuare a proseguire verso la sobrietà prolungata. Non sarebbe stato facile, ma lo aveva fatto una volta e sapevamo che poteva farlo ancora.

Essendo state in passato testimoni delle ricadute di mia madre, sapevamo cosa aspettarci, perciò recuperammo tutte le bottiglie di alcolici e di vino che riuscimmo a trovare e le svuotammo nello scarico. Poi facemmo scorta di Gatorade al supermercato e pulimmo a fondo la casa; era il nostro tentativo migliore di rimuovere mia madre dall’ambiente in cui si trovava quando aveva avuto la ricaduta.

Dopo alcuni giorni, mia madre stava abbastanza bene da tornare al lavoro, ma sapevamo che la battaglia non era finita. Fino a quel momento, la gravità della sua dipendenza era rimasta nascosta alla maggior parte della nostra famiglia e dei nostri amici. Negli anni era diventata una sorta di segreto, una fonte di vergogna, qualcosa che secondo la ricercatrice sociale Brené Brown “trae il suo potere dall’essere indicibile”3. Se volevamo che rimanesse sobria, dovevamo rompere il silenzio.

Decidere di aprirci con la nostra famiglia e con alcuni amici fidati fu difficile, ma fu anche liberatorio. La vergogna “corrode proprio la parte di noi che crede che possiamo cambiare e fare meglio”4, perciò l’atto stesso di parlare della sua dipendenza ridiede speranza a mia madre (e a me). Non eravamo sole e per la prima volta in anni iniziammo a immaginarci una vita libera dalla sua dipendenza.

Aggrapparsi alla speranza

Non cercherò di addolcire la pillola: mantenere viva la speranza non è sempre facile. Per anni ho sostenuto mia madre mentre cercava di rimanere sobria, ma mentirei se dicessi di non aver provato tristezza, delusione e frustrazione lungo la strada. Parlando del difficile viaggio che una persona affronta per superare la dipendenza, il presidente Nelson ha spiegato: “Ognuno di noi che decida di iniziare il lungo ed erto cammino che porta alla guarigione deve prepararsi a un’epica lotta. Ma la vita è un premio che vale certamente il prezzo che siamo chiamati a pagare”.5

Se hai mai amato qualcuno che lotta con una dipendenza, sai quanto difficile sia guardarlo autodistruggersi. Ma persino nella scia delle ricadute, la speranza non viene mai meno. Grazie al Suo sacrificio espiatorio, il Salvatore sa “come [soccorrerci] nelle [nostre] infermità” (Alma 7:12). “Con la guarigione nelle ali” (3 Nefi 25:2), Egli ci solleva quando ci sentiamo troppo stanchi per continuare, “tenendoci stretti a Lui e incoraggiandoci, rifiutandosi di lasciarci andare finché saremo al sicuro a casa”6.

Perciò, che tu abbia appena fatto il primo passo o che tu abbia già percorso un lungo tratto con una persona nel suo viaggio verso il recupero, ecco alcune cose che ho imparato negli anni:

  1. Aiutala a evitare le situazioni scatenanti.

    Sia che la persona che sostieni sia un amico, il coniuge, un familiare o un coetaneo, aiutarla a evitare le situazioni scatenanti è fondamentale! Ogni volta che la mia famiglia mangia fuori con mia madre, per esempio, chiediamo di sederci a un tavolo lontano dal bar. Se il tavolo non è disponibile, chiacchieriamo finché non se ne libera uno.

  2. Sostienila in situazioni sociali.

    Solo perché la persona che sostieni si è aperta con te parlandoti della sua dipendenza, non significa che sia pronta a dirlo al mondo. Nelle prime fasi del recupero può essere estremamente difficile spiegare il motivo per cui una persona evita certe situazioni o prende certe decisioni, specialmente agli estranei. In queste circostanze, se le cose si fanno imbarazzanti, rendile la vita più semplice aiutandola a spiegare.

  3. Aiutala a trovare altre risorse di supporto.

    Indipendentemente da quanto tu sia coinvolto nel processo di recupero, è impossibile che tu riesca a fare tutto. A volte mia madre ha solo bisogno di parlare con qualcuno che ci è passato, qualcuno che capisce, e va bene! Le risorse specialistiche e i gruppi di sostegno (come il Programma di recupero dalle dipendenze della Chiesa, i gruppi di recupero, gli specialisti delle dipendenze e del comportamento) cambiano letteralmente la vita, perciò non esitare a incoraggiare la persona che stai sostenendo ad approfittarne.

  4. Se cade, aiutala a rialzarsi.

    Se vivessimo in un mondo perfetto le ricadute non esisterebbero, ma questa è la vita terrena. Se la persona che sostieni ha una ricaduta, ricordale quanta strada ha fatto. Incoraggiala a non “[arrendersi] mai, anche dopo una serie di insuccessi, e [a non considerarsi incapace] di abbandonare i peccati e di vincere la dipendenza”7. Come ha dichiarato l’anziano Ulisses Soares del Quorum dei Dodici Apostoli: “[Non può permettersi] di smettere di provarci”8 (e neppure tu). Le ricadute non la riportano alla linea di partenza. Non cancellano tutto il lavoro fatto e lo slancio ottenuto. Ha sempre un’altra possibilità di rimettersi in carreggiata, di rivolgersi al Salvatore e di continuare ad avanzare.

  5. Aggrappati alla speranza

    Vedere qualcuno che ami combattere per superare la sua dipendenza a volte può portarti a domandarti se guarirà mai del tutto. (Credimi, io lo so. Ci sono passata più volte di quanto voglia ammettere). Persino Mormon chiese: “E in che cosa dovete sperare?”. Tuttavia, a prescindere da quanto difficile diventi, la “speranza tramite l’espiazione di Cristo” è sempre alla nostra portata (Moroni 7:41).

Nel corso della mia vita, mia madre ha avuto più ricadute di quante io ne possa contare, ma sono fiera di dire che sono passati sei anni dal suo ultimo bicchiere. Benché mi ci siano voluti anni per imparare e reimparare come sostenerla al meglio, vederla guarire mi ha insegnato che nessuno è mai troppo perso. Indipendentemente da quante ricadute abbia avuto la persona che ami, non mollare — continua a cercare di sostenerla in ogni modo possibile. Il recupero è un impegno che dura tutta la vita, un viaggio fatto di lacrime, vittorie, fallimenti e trionfi, per cui vale la pena combattere.

Note

  1. Dylan Thomas, “Non andartene mite in quella buona notte”, (1951), traduzione di Gabriele Frasca.

  2. Russell M. Nelson, “Tossicomania o libertà”, La Stella, gennaio 1989, 6.

  3. Brené Brown, Daring Greatly: How the Courage to Be Vulnerable Transforms the Way We Live, Love, Parent, and Lead (2012), 58.

  4. Brené Brown, Dare to Lead: Brave Work. Tough Conversations. Whole Hearts (2018), 129.

  5. Russell M. Nelson, “Tossicomania o libertà”, 6.

  6. Jeffrey R. Holland, “Voi dunque siate perfetti, alla fine”, Liahona, novembre 2017, 42.

  7. Ulisses Soares, “Prendere la nostra croce”, Liahona, novembre 2019, 114.

  8. Ulisses Soares, “Prendere la nostra croce”, 114.

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