2021
Quando non sapete cosa dire
Febbraio 2021


Solo digitale: Inclusione

Quando non sapete cosa dire

Quando nostro figlio si è suicidato, siamo stati consolati da persone che erano lì per confortarci.

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due donne sedute una accanto all’altra

Sette anni fa, nostro figlio Daniel si è tolto la vita.

Il giorno della sua morte, non sapevamo dove fosse. Abbiamo chiamato tutti i suoi amici, gli ospedali e la polizia, ma nessuno l’aveva visto. Daniel lottava contro depressione e pensieri suicidi da cinque anni, quindi io e mia moglie presagivamo cosa potesse essere accaduto. Alla fine mia moglie, Celi, si è messa in contatto con i coinquilini di Daniel, che l’hanno trovato nella sua stanza.

Includere coloro che soffrono

Penso che perdere un figlio sia la cosa peggiore che possa capitare a un genitore. Nulla può alleviare quel dolore, ma chi ti è intorno può fare molto per aiutarti a elaborare il lutto. Durante quel periodo terribile, non ci sono mai mancati né la famiglia né gli amici né l’aiuto. Sin dalla prima notte in cui abbiamo scoperto che Daniel non c’era più, abbiamo iniziato a essere contattati da molte persone. Ci sono venuti a trovare i nostri vicini, gli amici di Daniel e i dirigenti della Chiesa. Le sorelle della Società di Soccorso ci hanno portato da mangiare e alcuni donatori anonimi hanno coperto le nostre necessità.

Tempo dopo, il nostro vescovo ci ha detto che molte persone avrebbero voluto aiutarci, ma non sapevano come. Gli chiedevano: “Cosa possiamo fare per gli Hunt?”.

Non succede spesso, ma a volte quando la gente sente parlare di Daniel, non sa cosa dire o come trattarci. Secondo me, è un po’ come quando non sappiamo come comunicare con qualcuno che parla una lingua diversa dalla nostra. Non sappiamo cosa dire o abbiamo paura di dire la cosa sbagliata, quindi restiamo zitti. Non lo fate: parlate con quelle persone. Una perdita può portare con sé solitudine e isolamento. Il fatto di essere stati circondati da così tante persone che si sono messe in contatto con noi ha fatto la differenza.

Non siamo preoccupati per Daniel

Abbiamo apprezzato tanto le numerose storie che ci sono state riportate su nostro figlio. Non siamo preoccupati per Daniel. Sappiamo che tipo di ragazzo era. Sappiamo che era malato e sappiamo che “l’Eterno riguarda al cuore”(1 Samuele 16:7). E Daniel aveva un grande cuore. Lo sappiamo. Tuttavia, sentire gli altri che ci raccontavano una loro esperienza con Daniel è stato meraviglioso.

Nate Olsen era un amico di Daniel. Erano amici fin dalla prima elementare. Quando Nate fu costretto a tornare a casa in anticipo dalla sua missione per motivi di salute, Daniel lo invitò immediatamente a pranzo. Nate ci ha raccontato come Daniel fosse stato pronto ad ascoltarlo, dimostrargli il suo affetto e incoraggiarlo in un momento in cui si sentiva perso e solo. Come ha detto Nate, Dan era il tipo di persona che si preoccupava veramente per gli altri.

Possiamo aprirci con gli altri

È importante essere noi stessi e ammettere di essere umani. A volte abbiamo bisogno di chiedere aiuto, di metterci in contatto con gli altri, anche se siamo noi quelli che stanno soffrendo. Possiamo aprirci con gli altri e farci conoscere per davvero.

Sono passati sette anni, ma è ancora dura. A volte Celi scoppia improvvisamente a piangere, dicendo: “Mi manca il mio bambino. Mi manca il mio bambino”. Celi ha riconosciuto di avere ricevuto conforto spirituale in questi momenti. Il conforto spirituale è una comunicazione perfetta. Cercare il conforto spirituale è il modo migliore per sentirsi perfettamente inclusi. E questo conforto spirituale è dato anche da persone, che sono come gli angeli, che si sentono ispirate ad aiutare.

Sheri L. Dew, ex seconda consigliera della Presidenza generale della Società di Soccorso, una volta ha raccontato la storia di un’Autorità generale che aveva chiesto come sapere se qualcuno è un vero seguace di Gesù Cristo. Inizialmente, la risposta mi aveva lasciato perplesso, ma ora sono pienamente d’accordo: “Il modo per capire se qualcuno si è veramente convertito a Gesù Cristo è guardare come quella persona tratta gli altri”1. Il modo cristiano di trattare gli altri prevede rispetto, amore e compassione, indipendentemente da chi siamo o da che cosa stiamo attraversando.

Note

  1. Sheri Dew, If Life Were Easy, It Wouldn’t Be Hard: And Other Reassuring Truths (2005), 31.

  2. M. Russell Ballard, “Questions and Answers” (riunione della Brigham Young University, 14 novembre 2017), 3, speeches.byu.edu.

  3. Henry B. Eyring, “Ministrare in modo ispirato”, Liahona, maggio 2018, 64.

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