C’è speranza ad Haiti
Lo spirito missionario è vivo e vegeto in questa nazione insulare e i giovani intendono mantenerlo così com’è.
Dieuveut Demosthène, diciotto anni, e Robenson Marcel Laroque Jean, diciannove anni, sono ottimi amici e intendono restare tali per sempre.
«Eravamo vicini e giocavamo insieme a pallacanestro», spiega Robenson. «Mi unii alla Chiesa quando avevo sedici anni e dopo un po’ suggerii a Dieuveut di fare altrettanto. Pregai molto e insistetti. Ora guardalo, è diventato un membro della Chiesa molto forte. Sono fiero di lui.
«Robenson mi ha invitato molte volte», racconta Dieuveut, «e alla fine ho accettato. Ha sempre parlato molto bene, come se comprendesse tutto. I suoi inviti, pertanto, non mi hanno intimorito. È stata una cosa straordinaria. Dopo un po’ ho iniziato a seguire le lezioni missionarie e mi sono unito alla Chiesa quando avevo diciassette anni».
L’ideale
Questo è il modo ideale in cui andrebbe svolto il lavoro missionario: gli amici parlano del Vangelo con gli amici e passano i nomi ai missionari, affinché questi possano insegnar loro le lezioni previste. «Partendo da me, che ero solo nella Chiesa, ora siamo in due e continuano a fare insieme la stessa cosa», spiega Robenson. Come risultato, anche uno dei fratelli maggiori di Dieuveut e un amico si sono uniti alla Chiesa. Da uno a due, da due a quattro.
Robenson e Dieuveut, del Rione Centrale del Palo nord di Port-au-Prince, Haiti, esemplificano quello che sta accadendo al lavoro missionario da quando nel 2005 i missionari stranieri furono evacuati da Haiti per via di agitazioni politiche. La Missione Haitiana di Port-au-Prince ha cercato la forza in sé stessa, e l’ha trovata. Oggi soltanto gli haitiani servono ad Haiti e ci si aspetta che i giovani svolgano una missione quando raggiungo l’età necessaria. Anche prima di essere chiamati come missionari a tempo pieno, si danno da fare con i vicini e con gli amici.
«Ovunque vedi la Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni ad Haiti, sai che i fedeli sono locali», spiega Farah Jean-Baptiste, diciottenne, anche lei del Rione Centrale. «Per i giovani è una vera e propria motivazione vedere che sono responsabili del futuro della Chiesa qui».
«I ragazzi e le ragazze locali della Chiesa sono motivati a seguire il Salvatore», racconta Nathalie LaGuerre, amica diciassettenne di Farah, anche lei dello stesso rione. «Vorremmo calcare le Sue orme per vedere la Sua opera avanzare. Siamo così pieni di gioia quando vediamo i missionari di Haiti lavorare ad Haiti. Essi sono felici e pieni d’entusiasmo. Dopo la missione ci raccontano quanto meravigliosa sia stata l’esperienza che hanno vissuto. C’invitano quindi a vivere la stessa emozione iniziando oggi a parlare del Vangelo agli amici».
Racconta che sebbene le ragazze non abbiano lo stesso obbligo sacerdotale di svolgere una missione a tempo pieno, «vediamo anche noi che coloro che servono ricevono molte benedizioni. Sei in grado di aiutare il prossimo, e questo ti edifica. Ti rafforza per le difficoltà che affronterai e ti ancora al Vangelo. Mostra che sei veramente un discepolo di Gesù Cristo, che sei un Suo testimone e che segui il Suo esempio».
La speranza
«C’è molta speranza per il regno di Dio qui ad Haiti», commenta il presidente Gh. Ghammald Francillon del Palo nord di Port-au-Prince, Haiti. «I giovani sono veramente motivati a svolgere la missione. Fa parte della loro crescita naturale includere la missione tra le priorità, persino prima del college. Se vedi i missionari per strada, ti basta chiedere e ti risponderanno che hanno messo gli studi da parte perché sono chiamati all’opera del Signore».
Egli nota le benedizioni di cui gode in famiglia grazie al fatto che la moglie è una missionaria ritornata. Afferma che famiglie e dirigenti più forti sono il diretto risultato del servizio missionario. «Immaginate», continua, «tra quindici o vent’anni, se tanti haitiani svolgeranno la missione sull’isola, che Chiesa avremo qui!» Afferma che i fedeli «sentono l’amore e il sostegno di tante persone, tra cui il profeta e le Autorità generali, come pure dei missionari stranieri ritornati che svolsero la missione da noi. Ora, invece, i missionari sono al cento percento haitiani, incluso il presidente di missione, Fouchard Pierre-Nau, un missionario ritornato che servì circa dieci anni fa ad Haiti».
Il futuro
Alcuni pensavano che qui la Chiesa avrebbe avuto problemi, senza un aiuto esterno. «Io, però, non mi sono mai preoccupato», dichiara l’anziano J. Henry Michel, che attualmente sta servendo nella Missione Haitiana di Port-au-Prince. «La Chiesa non verrà mai meno. È la chiesa di Gesù Cristo, pertanto non può cadere».
Piuttosto, sostiene Dieuveut, quando ad Haiti le persone si renderanno conto della felicità che il Vangelo porta, la Chiesa continuerà a crescere. «Sono veramente grato a Robenson per avermi parlato del Vangelo», racconta, «ed ecco perché voglio condividere il Vangelo con il prossimo. La settimana scorsa mi sono chiesto: nel passato sapevo che cosa fosse la gioia? Poiché oggi, anche se non ho tutte le cose materiali che vorrei, mi sento sempre in pace con me stesso. Nutro grande speranza di trovarmi un giorno vicino al Padre celeste».
«Sto già cercando di essere un missionario», spiega Robenson. «Ogni giorno porto nello zaino diverse copie del Libro di Mormon per regalarle. Molti sanno che sono un membro della Chiesa e sono desideroso di rendere testimonianza. Andare in missione a tempo pieno sarà una grandissima occasione di servire Dio servendo i Suoi figli. È il mio più grande desiderio».
Dieuveut racconta che spesso parla con i missionari ritornati. «Mi hanno raccontato come il Signore ha potuto aiutare le persone attraverso i missionari e vorrei avere parte in ciò. Mi hanno spiegato come vivevano sul campo di missione e quanto piacesse loro. Dopo la missione, inoltre, sono degni, buoni esempi. Voglio diventare anch’io così».
Che cosa riserverà il futuro? «Il Padre celeste ha un piano per Haiti», afferma Dieuveut. «Sta fornendo ai fedeli del luogo la possibilità di rafforzarsi. Gli haitiani insegnano agli haitiani e questo ci benedirà».
Robenson tra poco riceverà la chiamata in missione e spera di essere destinato ad Haiti. Anche a Dieuveut non manca molto e anche lui spera di servire nella sua terra natale. Ovunque saranno chiamati, in patria o all’estero, sanno che stringeranno molte amicizie nella Chiesa e che la loro continuerà nel tempo, perché quando sei un amico nel Vangelo, questa amicizia è eterna.