Il rientro anticipato dalla missione
L’autrice vive nello Utah, USA.
Quando entrai nel centro di addestramento dei missionari, ignoravo che la mia missione sarebbe stata molto diversa da come me l’ero aspettata.
Ricevere la chiamata in missione fu uno dei momenti più intensi e gloriosi della mia vita. Avevo pensato alla missione molte volte da quando avevo acquisito una testimonianza del Vangelo all’età di diciotto anni. Mi ricordo di quando ricevetti la chiamata per servire nella Missione di Taiwan Taichung; sapevo che era la cosa giusta ed ero così emozionata per il fatto di servire.
Leggevo le Scritture ogni giorno, frequentavo i corsi di preparazione per i missionari e per il tempio e cercai anche di imparare da sola il cinese mandarino. Essendo figlia unica in famiglia, sapevo che la mia missione avrebbe portato onore non soltanto a me, ma anche ai miei genitori e al Padre Celeste. Il giorno in cui entrai nel centro di addestramento per i missionari (MTC), mi sentivo come se nulla potesse andare storto nei successivi diciotto mesi. Tutto mi emozionava, dall’assistere ai battesimi, all’assaggiare la cucina taiwanese di cui avevo sentito tanto parlare. Quando entrai nel centro di addestramento dei missionari, ignoravo che la mia missione sarebbe stata molto diversa da come me l’ero aspettata.
La malattia
Circa quattro mesi dopo l’inizio della missione, iniziai ad avere dei dolori, non soltanto durante le attività fisiche, come andare in bicicletta o fare esercizio la mattina, ma anche quando dormivo o mi dedicavo allo studio personale. Cominciai rapidamente a perdere peso. Anche bere acqua mi faceva stare male. Dalle analisi, i medici non riuscivano a capire cos’era che non andava, non avevo parassiti né virus. Io, il presidente di missione e i miei compagni missionari eravamo tutti molto disorientati dal peggioramento del mio stato di salute.
Nel mese successivo, mantenni salda la mia fede al punto da stupire anche me stessa. Anche se mi sentivo frustrata, ero convinta che se avessi continuato a impegnarmi di più, a pedalare più velocemente e a parlare nel mio scarso cinese con tutti quelli che avrei incontrato, Dio mi avrebbe miracolosamente guarita. Credevo nelle storie di Gesù che aveva guarito i malati e fatto risorgere i morti e credevo con tutto il cuore che Egli avrebbe fatto lo stesso per me, una missionaria debole ma entusiasta. Poi, una domenica, mentre io e la mia compagna stavamo andando in bici verso la casa di riunione della Chiesa per incontrare un simpatizzante, il dolore e le convulsioni nel mio corpo diventarono insopportabili. Quando arrivai alla casa di riunione, chiesi agli anziani di darmi una benedizione, cosa che mi aiutò. Col passare dei giorni, le benedizioni del sacerdozio diventarono più frequenti, così come le preghiere per la guarigione.
Una mattina mi alzai, nel caldo torrido di Taiwan, e mi resi conto che non ero nemmeno in grado di muovermi per uscire dal letto. Fu il giorno più buio della mia missione. In quel momento, capii che non sarei potuta restare una missionaria molto a lungo. Il presidente di missione venne a farmi visita e ci consultammo. Parlammo di tutte le possibilità e, dopo molte preghiere e molte lacrime, lo Spirito confermò che avevo bisogno di tornare a casa e di concentrarmi sulla mia guarigione.
Il rientro a casa anticipato
Invece di essere accolta a casa con i palloncini e i cartelli con scritto “Bentornata”, fui trasportata sulla sedia a rotelle dall’aereo ai miei genitori spaventati, che mi portarono immediatamente al pronto soccorso. Iniziarono alcuni mesi di esami, ma i medici non riuscivano a capire cosa non andava in me. Inoltre, persone benintenzionate attorno a me mi chiedevano cose come: “Quando uscirai? Starai a casa? Forse dovevi sposarti. Forse in fondo, hai sbagliato ad andare”.
Provavo vergogna e mi sentivo confusa. Ero degna dell’amore di Dio? Perché stava succedendo tutto questo se io avevo servito così diligentemente? Non ero un brava missionaria? Dio mi stava ascoltando? I miei coetanei avrebbero accettato il mio servizio missionario “imperfetto”?
Nei successivi sei mesi, ebbi difficoltà con la mia testimonianza e per questo mi sentivo in colpa. Mi chiedevo se fossi decaduta dalla grazia e se il Padre Celeste mi amasse veramente. Sebbene iniziassi gradualmente a stare un po’ meglio, non mi sentivo come prima della missione. Inoltre, mi accorgevo che stavo ancora evitando di andare avanti con la mia vita.
Poi, una sera, io e un mio caro amico stavamo parlando. Anche lui aveva sperimentato il dolore e la tristezza di tornare a casa prima dalla missione per ragioni di salute e stava lavorando per ritornare sul campo di missione. Mi ricordo che quella sera fu la prima volta in sei mesi che mi sentii veramente in pace. La voce dello Spirito mi sussurrò: “Devi tornare”. Ero così sollevata di sapere finalmente in che direzione andare. Il giorno seguente andai dal vescovo. Poi scrissi una lettera fervente al Dipartimento Missionario chiedendo di poter tornare sul campo di missione. La mia richiesta fu accolta e un mese dopo indossavo di nuovo la targhetta con il mio nome.
Sei mesi dopo, tuttavia, gli stessi problemi di salute ricominciarono. Mi ricordo che ero in un letto d’ospedale e deliravo dopo ore di analisi e iniezioni. Non potevo credere che stesse succedendo. Questa volta sapevo che la mia missione era finita. Mentre lacrime di delusione e rammarico mi scendevano sul viso, ascoltai le parole che mi disse il mio saggio presidente di missione: “Sorella Romanello, hai amato il Signore due volte di più, perché sei tornata”. Ricevetti tanto conforto dalle sue parole. Questa volta, quando salii sull’aereo per tornare a casa, promisi al Padre Celeste che sarei rimasta fedele anche se non avessi ricevuto risposte.
Trovare la guarigione nell’Espiazione di Cristo
Sono passati poco più di due anni da quando sono tornata. I problemi ancora persistono e la mia forza fisica e la mia energia non sono tornate come quelle che avevo prima della missione. I medici non hanno mai scoperto cosa non va in me. Non è stato facile per me essere una missionaria ritornata che non ha servito per tutta la durata della missione. Tuttavia, amo ancora ognuno dei miei dolci convertiti. Mi ci è voluto del tempo per sentirmi accettata e sapere che il mio servizio missionario ridotto aveva lo stesso valore che le missioni di diciotto o di ventiquattro mesi hanno per altri missionari.
Il Signore mi ha dato molte opportunità di parlare con altri che hanno vissuto il trauma di ritornare inaspettatamente a casa. Io so che il Padre Celeste mi ha portata a loro perché condividessi la mia testimonianza e li aiutassi a capire che il ritorno a casa anticipato per problemi di salute non è una mancanza da tenere segreta, ma un’esperienza di cui parlare.
La prima volta che tornai a casa, sperimentai quello che si prova nel trascurare la fede, mentre la seconda volta scoprii che cosa significa rimanere fedeli. Mi attenni ai principi di base: studiare le Scritture, frequentare l’Istituto, partecipare alle attività della Chiesa e svolgere i miei incarichi. Pregai molte volte per sapere perché era andata così. Smisi di darmi la colpa e di incolpare il Padre Celeste. Se guardo la mia vita da quando sono tornata a casa e gli incontri con i miei fratelli e le mie sorelle cinesi che vivono nella mia città natale, continuo ad essere fermamente convinta che c’è stato un fine eterno dietro a tutto.
Amo le parole contenute in Mosia 5:15: “Vorrei dunque che foste costanti e fermi, abbondando sempre in buone opere, affinché Cristo, il Signore Iddio Onnipotente, possa suggellarvi come suoi; affinché possiate essere portati in cielo, affinché possiate avere la salvezza eterna e la vita eterna, tramite la saggezza, il potere, la giustizia e la misericordia di Colui che creò tutte le cose in cielo e in terra, che è Dio sopra tutti”.
Credo che se continuerò a vivere la mia vita dedicandomi al Signore, sarò per sempre benedetta. In questo modo, so di essere stata guarita tramite l’Espiazione di Gesù Cristo, poiché nonostante il mio corpo non poté essere guarito al cento percento fisicamente, il mio cuore non è mai stato più sano o pronto a servire nella causa del Maestro di come lo è ora.