«La carità è paziente»
«E’ nostro compito permettere agli insegnamenti di Cristo, ribaditi dallo Spirito Santo, di guidarci verso il Suo modo di vedere e di essere».
Una delle grandi fortune della mia fanciullezza fu il fatto che mia madre dedicava molto tempo a leggere per me e per il mio fratello minore Howard. Ella era convinta dell’importanza dei buoni libri e li usava per istruirci e divertirci. Tutto questo serviva ad allargare i limitati orizzonti della nostra giovane esistenza verso cose che erano molto al di là della nostra esperienza quotidiana. Questa lettura era iniziata quando non avevo ancora l’età di andare a scuola; Howard, che era nato afflitto da gravi menomazioni fisiche e non poteva correre con me, aveva bisogno di particolari attenzioni. La mia fortuna fu che anch’io ricevetti particolari attenzioni.
I libri erano di varia natura e crescevano per difficoltà, a mano a mano che crescevamo noi. Ricordo le filastrocche, le poesie, i racconti popolari russi, le avventure di Thunder Cave; e soprattutto le Scritture. Insieme leggevamo parabole e storie come quella della donna al pozzo, ma anche i concetti astratti.
Un giorno mia madre lesse: «La carità è paziente, è benigna; la carità non invidia; la carità non si vanta, non si gonfia… Soffre ogni cosa, crede ogni cosa, spera ogni cosa, sopporta ogni cosa.
La carità non verrà mai meno» (1 Corinzi 13:4, 7–8; vedi anche Moroni 7:45–46).
Howard interruppe la lettura, come faceva spesso, con una domanda: «Cos’è veramente la carità?» Egli voleva conoscere il significato di ciò che avevamo appena udito; io ero ancora affascinata dal suono di quelle parole e volevo quindi continuare la lettura, ma potevo vedere che la mamma era contenta della sua curiosità. Ci insegnò allora, e in seguito, che le domande intelligenti possono essere importanti se cerchiamo veramente di comprendere e che, qualche volta, le risposte valide, veramente valide, possono richiedere una vita intera di ricerche. Poi depose il Nuovo Testamento e lesse nel Libro di Mormon:
«Ma la carità è l’amore puro di Cristo, e sussisterà in eterno; e per chiunque ne avrà in sé all’ultimo giorno, tutto andrà bene» (Moroni 7:47).
C’era in quell’unico versetto l’essenza concentrata di una molto pìù grande e completa definizione di una verità profonda, e tuttavia accessibile. Ciò che udii quel giorno era chiaramente al di là della mia comprensione di bambina, ma lo spirito dell’amore era presente, ed era tanto reale quanto ogni altro aspetto della mia giovane vita.
Le Scritture ci danno degli esempi di altre persone, le cui domande insegnarono loro nuovi modi di pensare all’amore. Come leggiamo nel ventiduesimo capitolo di Matteo, a Cristo fu chiesto da un Fariseo, che voleva farLo cadere in una trappola, qual era il più grande comandamento. Cristo rispose: «Ama il Signore Iddio tuo con tutto il tuo cuore e con tutta l’anima tua e con tutta la mente tua…
Il secondo, simile ad esso, è: Ama il tuo prossimo come te stesso» (Matteo 22:37, 39).
Secondo il vangelo di Luca, il dottore della legge che aveva posto la domanda volle saperne di più. Forse temeva di sprecare il suo amore. Pertanto chiese: «E chi è il mio prossimo?» (Luca 10:29). E Cristo, per rispondere, narrò la parabola del buon Samaritano. Il Samaritano vide ciò che altri avevano veduto lungo il cammino senza vederlo veramente. Egli fece ciò che poteva fare e che nessun altro voleva fare, rivestendosi così di grande dignità e mettendoci tutti in soggezione, poiché noi non pensavamo neppure che il Samaritano potesse far parte del nostro prossimo (vedi Luca 10:30–37). Noi non tenteremmo Cristo chiedendoGli chi dobbiamo amare o servire ma, a volte, penso che ci chiediamo se lo sappiamo realmente.
Trovo interessante il fatto che Gesù scelse un Samaritano come esempio di amore sincero da proporre ai Farisei. Essi erano noti per la loro osservanza della lettera della legge, sì che il Suo insegnamento deve aver indotto almeno alcuni di loro a vedere in maniera diversa e con un nuovo spirito la libertà di amare che Cristo offriva loro. E’ nostro compito permettere agli insegnamenti di Cristo, ribaditi dallo Spirito Santo, di guidarci verso il Suo modo di vedere e di essere.
Certo, capire cos’è la carità ed essere caritatevoli non è cosa facile. D’altra parte le nostre Scritture non hanno detto che lo sarebbe stato. Anche la frase «la carità è paziente» richiede una meditata interpretazione. Avere pazienza significa anche sopportare a causa del bene che vogliamo, in particolare a coloro che più ci sono cari.
Se volessimo evitare le sofferenze che derivano dalla disponibilità a sopportare, dovremmo anche evitare ciò che ci dà vita, speranza e gioia — rinunciare cioè alla capacità di amare profondamente. Per alleviare le sofferenze che ci affliggono, ad esempio muore una persona cara, oppure la vediamo lottare, traviarsi, fraintenderci o perfino tradirci, possiamo trovare conforto nel dimostrare carità verso gli altri. Accettiamo quindi di portare i fardelli gli uni degli altri, di piangere con coloro che piangono, quando accettiamo Cristo scendendo nelle acque del battesimo (vedi Mosia 18:8–9). Il Suo spirito e il Suo potere ci consoleranno se ci dedicheremo ad aiutare e ad amare coloro che hanno bisogno di noi.
Proprio perché non è sempre facile capire cos’è la carità, spesso corriamo il rischio di fraintenderne il significato. Non è carità né bontà sopportare maltrattamenti o offese che ci possono essere inflitti da altri. Il comandamento di Dio dice che amando il prossimo dobbiamo rispettare noi stessi, e suggerisce che non dobbiamo accettare la mancanza di rispetto degli altri. Non è carità lasciare che un’altra persona neghi la nostra divina natura e ci privi del libero arbitrio. Non è carità piegarsi provando disperazione e un senso di impotenza. Questo genere di sofferenza deve aver fine, ed è molto difficile fare questo da soli. Vi sono i dirigenti del sacerdozio e altri affettuosi servitori che ci danno aiuto e forza, quando essi conoscono le nostre necessità. Dobbiamo essere disposti a lasciare che gli altri ci aiutino.
Un notevole aspetto dell’effetto di una maggiore conoscenza dell’amore di Cristo, è come tale conoscenza dia dignità e stimoli l’individuo all’azione. Julia Mavimbela, una nostra sorella di Soweto, in Sud Africa, ha narrato come la sua conversione la portò dall’amarezza, causata dalla situazione in cui viveva, alla fede e alla forza necessarie per aiutare le sue vicine e altre persone. Ella insegnò loro a coltivare frutta e verdura per alleviare la fame e organizzò le donne in un movimento per la pace nel suo paese afflitto dalle lotte.
In Tailandia, sul finire degli anni ’70, sorella Srilaxana lavorava alla traduzione delle Scritture cinque giorni alla settimana, poi andava in giro per il paese a proprie spese ogni settimana per fare visita alle Società di Soccorso appena istituite. Queste seguaci di Cristo facevano ciò che era una loro aspirazione: servire i figli di Dio. Esse facevano ciò che la loro situazione personale permetteva, e i loro esempi ci invitano a fare lo stesso.
Il servizio caritatevole è la missione principale dell’organizzazione della Società di Soccorso della nostra chiesa. Ora siamo quasi tre milioni di donne sparse in tutto il mondo, e ci rallegriamo della nostra grande e diversificata sorellanza. Sappiamo che la nostra associazione, che l’anno prossimo celebrerà il suo 150mo anniversario, ha fatto molto bene. Abbiamo imparato che insieme possiamo fare molte cose, che sarebbe impossibile fare se lavorassimo da sole. Ma il nostro obiettivo principale come organizzazione è quello di aiutare ogni singola donna a crescere nella conoscenza del vangelo di Cristo e a manifestare la sua conoscenza mediante le scelte che ella compie nel servire gli altri in rettitudine.
All’ultima conferenza di ottobre, il vescovo Glenn L. Pace ci ha ammoniti a guardarci attorno, per fare individualmente ciò che possiamo per alleviare il dolore o la solitudine o l’ingiustizia nelle nostre comunità. Egli ci ha promesso che, se lo faremo, la compassione entrerà nel nostro cuore, e grazie allo Spirito Santo nella nostra anima avverrà un processo di santificazione, sì che potremo diventare più simili al nostro Salvatore (Conferenza generale di ottobre 1990).
Prego in tutta umiltà che la nostra fede in Gesù Cristo possa indurci a compiere tali azioni e che possiamo così conoscere, tramite il Santo Spirito, il significato di carità, in modo che possiamo metterla in pratica. Nel nome del nostro Signore e Salvatore, Gesù Cristo. Amen.