“Tutti tuttologi col web”
Una recente canzone molto conosciuta dice: “Tutti tuttologi col web”. Queste poche e semplici parole rispecchiano la condizione dell’uomo moderno che, a motivo della mole infinita di informazioni disponibili su Internet, ritiene di essere competente su qualsiasi argomento.
La facilità di accesso a dati e informazioni prima inaccessibili ai più ha portato l’uomo a credere di essere esperto di qualunque campo e materia rinvenibili su Internet; questo convincimento è tale che l’uomo di oggi è convinto di essere esperto anche nel campo medico al punto da poter addirittura fare a meno del medico, nonostante i fatti dimostrino che chi fa autodiagnosi sbaglia 81 volte su 100.
Uno studio del Pew Research Center dimostra che 1 utilizzatore di Internet su 3 usa Internet per una diagnosi delle proprie affezioni mediche. Solo la metà di queste persone poi chiede conferma a un medico. I dati dimostrano che l’81% di coloro che utilizzano Internet per una diagnosi medica sbaglia l’autovalutazione.
Questa sensazione che tutti si ritengano esperti di tutto sembra trovare riscontro nella vita di tutti i giorni e in tante conversazioni sui social media. Pensate ai recenti e accesi dibattiti sui vaccini, alle diatribe in corso sui programmi dei vari candidati politici, alle soluzioni categoriche offerte per la risoluzione dei conflitti che causano migrazioni di massa e a tutti gli altri argomenti che riempiono le pagine di Internet. Spesso chi partecipa a queste conversazioni lo fa dando l’impressione di ritenersi un esperto su ciascuno degli argomenti trattati. Ne è una dimostrazione la scelta dei verbi e dei tempi utilizzati nei vari post. Laddove sarebbe d’uopo utilizzare verbi e locuzioni come: “A mio parere”, “Ritengo”, “Penso”, “Mi sembra”, “Secondo me”, vengono invece preferiti: “Devono”, “Bisogna”, “Hanno sbagliato”, “Dovevano fare così”, “Non dovevano fare questo”.
Questo atteggiamento non si limita alle questioni secolari, ma essendo diventato un modo di essere proprio dell’uomo di oggi, purtroppo sta intaccando anche la sfera spirituale. A volte anche alcuni membri della Chiesa devoti e fedeli usano lo stesso atteggiamento e lo stesso linguaggio nei confronti della Chiesa, dei suoi dirigenti e di coloro che servono in vari incarichi. A motivo delle infinite possibilità offerte da Internet, ritengono di aver acquisito una saggezza superiore a quella garantita dalla verità rivelata.
Il profeta Giacobbe, nel Libro di Mormon, dichiara: “Oh, l’astuto piano del maligno! Oh, vanità e fragilità e stoltezza degli uomini! Quando sono dotti si credono saggi, e non danno ascolto ai consigli di Dio, poiché li trascurano, credendo di conoscere da sé, pertanto la loro saggezza è stoltezza, e non giova loro. E periranno.” (2 Nefi 9:28)
Giacobbe, un profeta di Dio, insegna che la conoscenza diventa un pericolo quando chi si crede saggio smette di dare ascolto ai consigli di Dio e li trascura perché pensa di sapere già ciò che gli serve sapere.
Nessuno di noi entrerebbe apertamente in ribellione con Dio. Ma a volte qualcuno trascura i consigli di Dio quando giungono tramite i Suoi servitori.
Così come il Signore insegna che “in quanto l’avete fatto ad uno di questi miei minimi fratelli, l’avete fatto a me” (Matteo 25:40), allo stesso modo ci insegna che si aspetta da noi la stessa obbedienza ai Suoi servitori che siamo disposti a dare a Lui: “Ciò che io il Signore ho detto, l’ho detto, e non mi scuso; e sebbene i cieli e la terra passino, la mia parola non passerà, ma sarà tutta adempiuta; che sia dalla mia propria voce o dalla voce dei miei servitori è lo stesso.” (Dottrina e Alleanze 1:38)
Questa tendenza a rigettare il consiglio del Signore si manifesta, come per gli altri dibattiti citati sopra, con le stesse parole di critica e di dura fermezza. Le parole si ripetono: “Non si fa così”, “Questo dirigente, o questo rappresentante, della Chiesa ha sbagliato”, “Avrebbero dovuto fare così”, “Hanno sbagliato a fare questo o quello”, “Perché questo dirigente, o rappresentante, della Chiesa non ha fatto così invece?”, “Perché la Chiesa continua a…?”, “Perché la Chiesa non permette che…?”, “Perché la Chiesa impedisce a…?” e tante altre affermazioni simili.
Alcuni pensano che l’aver accumulato informazioni su Internet, la loro esperienza e i loro pensieri umani li rendano più qualificati del Signore, dei Suoi servitori e della Sua Chiesa nel dirigere l’opera di Dio sulla terra e nell’aiutare i figli di Dio a prepararsi per tornare a Lui.
La loro condizione sembra essere illustrata molto chiaramente nel Libro di Mormon, dove leggiamo: “L’orgoglio […] iniziò a entrare […] nel cuore di coloro che professavano di appartenere alla chiesa di Dio. E si elevarono in orgoglio […] Ora, questo era un gran male.” (Helaman 3:33–34) Subito dopo viene descritta la condizione di coloro la cui anima era ricolma di gioia: “Digiunavano e pregavano spesso, e divennero sempre più forti nell’umiltà, sempre più fermi nella fede in Cristo, fino a riempire la loro anima di gioia e di consolazione, sì, fino a purificare e santificare il loro cuore, santificazione che venne perché consegnarono il loro cuore a Dio.” (Helaman 3:35)
Il profeta Helaman chiarisce che questo stato di gioia era giunto loro perché avevano consegnato il loro cuore a Dio. Cosa significa consegnare il proprio cuore a Dio? Possiamo farci istruire dal Salvatore in merito a questo punto. “Ed ecco un tale, che gli s’accostò e gli disse: Maestro, che farò io di buono per aver la vita eterna?” (Matteo 19:16) Il Salvatore, appurato che questo giovane ricco era molto fedele nell’obbedienza a tutti i comandamenti, gli chiese di fare l’ultimo grande sacrificio: “Se vuoi esser perfetto, va’, vendi ciò che hai e dàllo ai poveri, ed avrai un tesoro nei cieli: poi, vieni e seguitami.” (Matteo 19:21)
Suppongo che qui il Salvatore stesse provando a insegnare al giovane pieno di ricchezze — e a chi è ricco di conoscenza — che alla fine non conta solo ciò che stiamo facendo o che abbiamo fatto, ma anche — e talvolta soprattutto — ciò che non siamo disposti a fare o a lasciar andare.
Purtroppo “il giovane, udita questa parola, se ne andò constristato, perché avea di gran beni.” (Matteo 19:22)
Purtroppo alcuni, quando ascoltano o vedono qualcosa che non è in linea con la loro visione delle cose, non esitano a criticarla pubblicamente, perché ritengono di avere gran conoscenza e non sono disposti a lasciar andare la loro supposta conoscenza. Se ne fanno addirittura un vanto, come se criticare fosse cosa di cui andar fieri, quasi li facesse sembrare più intelligenti.
Una voce di ammonimento fu lanciata da Marco a coloro che avrebbero avuto difficoltà a confidare appieno nella guida dei dirigenti della Chiesa: “Sorgeranno falsi cristi e falsi profeti, e faranno segni e prodigi per sedurre, se fosse possibile, anche gli eletti.” (Marco 13:22)
Oggi il falso profeta di alcuni è l’orgoglio, e i segni e i prodigi che vedono sono rappresentati dalla saggezza che ritengono di avere acquisito.
Le Scritture sono piene di esempi di uomini di questo tipo, e in contrasto anche del tipo di uomini che invece piacciono a Dio. Nel Libro di Mormon leggiamo cosa successe quando l’arco di Nefi si ruppe, lasciando l’intera famiglia senza cibo. I suoi fratelli, Laman e Lemuele, mormorarono contro Nefi e contro Dio. Nefi, al contrario, nonostante anche suo padre — che era il profeta — avesse mormorato contro Dio per questa afflizione, costruito un nuovo arco e una freccia, tornò dal padre/profeta e gli chiese dove voleva che andasse a cacciare. Fu la fede di Nefi e la sua decisione di seguire il profeta — anche quando umanamente avrebbe potuto trovare delle colpe in lui — a portare benedizioni a Nefi e alla sua famiglia. (Vedere 1 Nefi 16)
Nefi sapeva che nessuno è perfetto, neanche i dirigenti, sebbene siano pieni delle migliori intenzioni.
Ecco perché il suo insegnamento è ancora più importante; Nefi ci insegna che l’obbedienza è ispirata dalla fede, non motivata dalla ragione. La sua obbedienza non scaturiva dalla logicità di un ragionamento, non era il prodotto della convergenza del suo ragionamento e delle richieste del Signore o dei Suoi servi, ma era il frutto della fede nella verità che “i miei pensieri non sono i vostri pensieri, né le vostre vie sono le mie vie, dice l’Eterno.” (Isaia 55:8)
Il Signore benedice “i poveri in ispirito, perché di loro è il regno de’ cieli.” (Matteo 5:3)
Quando mormoriamo non è colui che accusiamo a essere abbassato, denigrato o scalfito, ma siamo noi stessi ad abbassare il nostro livello di discepoli, a denigrare la nostra reputazione e a scalfire la nostra fede.
Nel parlare di coloro che ragionavano su chi Egli fosse, il Signore “domandò ai suoi discepoli: Chi dice la gente che sia il Figliuol dell’uomo? Ed essi risposero: Gli uni dicono Giovanni Battista; altri, Elia; altri, Geremia o uno de’ profeti. Ed egli disse loro: E voi, chi dite ch’io sia? Simon Pietro, rispondendo, disse: Tu sei il Cristo, il Figliuol dell’Iddio vivente. E Gesù, replicando, gli disse: Tu sei beato, o Simone, figliuol di Giona, perché non la carne e il sangue t’hanno rivelato questo, ma il Padre mio che è ne’cieli.” (Matteo 16:13–17)
Parlando dei membri della Chiesa che mormorano, l’anziano Neal A. Maxwell ha detto: “Alcuni mormorano sperando di plasmare la Chiesa a loro piacimento per mezzo dei loro mormorii. Ma perché dovremmo desiderare appartenere a una chiesa che possiamo rifare a nostra immagine, quando è l’immagine del Signore che dobbiamo riflettere nel nostro aspetto? (Vedere Alma 5:19)” (Neal A. Maxwell, “Non mormorare”, Conferenza generale, ottobre 1989, La Stella, gennaio 1990, 76–78)
L’anziano Maxwell ha affermato che “coloro che hanno una profonda fede non mormorano. Sono ben disposti e esitano a lamentarsi.” (Neal A. Maxwell, “Non mormorare”, Conferenza generale, ottobre 1989, La Stella, gennaio 1990, 76–78; disponibile online soltanto in inglese)
Pubblichiamo una delle lettere inviate dalla Fondazione onlus Banco Farmaceutico, ricevuta da un fratello che ha prestato servizio nel giorno dedicato alla raccolta, a coloro che hanno donato il loro tempo a favore di questa grande iniziativa.
Cari amici,
Grazie per aver reso possibile la Giornata della raccolta del farmaco. Quest’anno avete partecipato in quasi 18.000, quasi 4.000 in più dello scorso anno e avete raccolto più di 376.000 confezioni di medicinali che aiuteranno oltre 535.000 bisognosi.
Ci siamo detti, poco giorni prima che la GRF iniziasse, che “il dolore, se condiviso, si dimezza; la gioia, se condivisa, si raddoppia”. Avete mostrato, concretamente, cosa questo significhi. Mettendo gratuitamente a disposizione il vostro tempo, avete indicato che la strada per uscire dalle difficoltà che il nostro Paese ancora vive consiste, anzitutto, in una nuova umanità che arricchisce il mondo in cui è immersa.
Siete un vero e proprio piccolo popolo, che non solo ha permesso a tante persone di potersi curare, ma senza il quale l’intera struttura del nostro Paese — dalla dimensione culturale, economica e politica, ai luoghi concreti del nostro vivere come i quartieri e le città — sarebbe più povera.
Donare il proprio tempo con gioia, come avete fatto, significa educare tangibilmente alla carità.
Grazie, perché avete fatto ricordare a tutti la ragione della nascita e dell’esistenza di Banco Farmaceutico.
La povertà si è stabilizzata su un livello inaccettabile, e la sfida continua ad essere smisurata. Possiamo continuare ad affrontarla, perché sappiamo di poter contare su di voi.
Grazie ancora di tutto!