2010–2019
Voi dunque siate perfetti, alla fine
Ottobre 2017


16:49

Voi dunque siate perfetti, alla fine

Se persevereremo, il nostro raffinamento sarà finito e completato, in qualche momento dell’eternità.

Le Scritture sono state compilate per benedirci e incoraggiarci, e certamente lo fanno. Ringraziamo il cielo per ogni capitolo e ogni versetto che ci sono stati dati. Ma avete notato che, ogni tanto, spunta un passo che ci ricorda che non siamo proprio all’altezza della situazione? Per esempio, il Sermone sul Monte inizia con delle beatitudini rassicuranti e gentili, ma, nei versetti che seguono, ci viene detto — tra le altre cose — che non dobbiamo limitarci a non uccidere, ma che addirittura non dobbiamo neanche arrabbiarci. Ci viene detto che non dobbiamo limitarci a non commettere adulterio, ma che non dobbiamo neanche avere pensieri impuri. A coloro che la chiedono, dobbiamo lasciare la tunica e poi dar loro anche il mantello. Dobbiamo amare i nostri nemici, benedire coloro che ci maledicono e fare del bene a chi ci odia.

Se questo è il vostro studio mattutino delle Scritture e dopo aver letto anche solo fin qui siete piuttosto sicuri che non riceverete dei buoni voti nella vostra pagella evangelica, allora l’ultimo comandamento della lista vi darà il colpo di grazia: “Voi dunque siate perfetti, com’è perfetto il Padre vostro celeste”. Quest’ultimo imperativo ci farà venire voglia di tornare a letto e di nasconderci sotto le coperte. Obiettivi celesti del genere sembrano oltre la nostra portata. Eppure, di sicuro il Signore non ci darebbe mai un comandamento sapendo che non riusciremmo a rispettarlo. Vediamo dove ci porta questo dilemma.

Nella Chiesa sento dire a molti in difficoltà con questo argomento cose del genere: “Non sono abbastanza bravo”; “Non ci riuscirò mai”; “Non ne sarò mai all’altezza”. Lo sento dire agli adolescenti. Lo sento dire ai missionari. Lo sento dire ai nuovi convertiti. Lo sento dire ai membri di vecchia data. Un’arguta sorella della Chiesa, la sorella Darla Isackson, ha commentato che Satana è in qualche modo riuscito a far considerare le alleanze e i comandamenti delle maledizioni e delle condanne. Per qualcuno, egli ha trasformato gli ideali e l’ispirazione del Vangelo in autocommiserazione e in una fonte di disagio.

Quello che dico adesso non rinnega né sminuisce in alcun modo qualsivoglia comandamento Dio ci abbia mai dato. Credo nella Sua perfezione e so che siamo Suoi figli e Sue figlie spirituali con il potenziale divino di diventare come Lui. So anche che, quali figli di Dio, non dobbiamo sminuire o denigrare noi stessi, come se autoflaggellarci ci renderà in qualche modo la persona che Dio vuole che diventiamo. No! Con la volontà di pentirci e il desiderio di maggiore rettitudine sempre nel cuore, voglio sperare che potremo perseguire un miglioramento personale in un modo che non comprenda l’avere l’ulcera o l’anoressia, il sentirsi depressi o il demolire la propria autostima. Non è quello che il Signore vuole per i bambini della Primaria né per chiunque altro canti sinceramente: “Vorrò imitar Gesù”.

Per contestualizzare la questione, vorrei ricordare a tutti noi che viviamo in un mondo decaduto e che per ora siamo un popolo decaduto. Viviamo nel mondo teleste, che si scrive con la t non la c. Come ha insegnato il presidente Russell M. Nelson, qui sulla terra la perfezione è ancora “in corso”.

Credo che Gesù non avesse in programma che il proprio sermone su questo argomento fosse recepito come un martello verbale con cui colpirci per i nostri limiti qui sulla terra. No, credo che Egli volesse che fosse un tributo a chi e a cosa Dio, il Padre Eterno, è e a ciò che possiamo ottenere nell’eternità con Lui. In ogni caso, sono grato di sapere che, nonostante le mie imperfezioni, almeno Dio è perfetto; che almeno Lui è, per esempio, capace di amare i Suoi nemici, poiché troppo spesso, a causa dell’“uomo — e della donna — naturale” che c’è in noi, a volte, quei nemici siamo voi ed io. Quanto sono grato che almeno Dio possa benedire coloro che Lo perseguitano perché, senza volerlo o averne l’intenzione, a volte tutti noi Lo perseguitiamo. Sono grato che Dio sia misericordioso e che si adoperi alla pace perché io ho bisogno di misericordia e il mondo ha bisogno di pace. Ovviamente, tutto quello che diciamo delle virtù del Padre lo diciamo anche del Suo Figliuolo Unigenito, il quale visse e morì nella stessa perfezione.

Mi affretto a dire che concentrarsi sui conseguimenti del Padre e del Figlio invece che sui nostri fallimenti non ci giustifica in alcun modo ad avere una vita indisciplinata o ad abbassare i nostri standard. No, sin dall’inizio il Vangelo è esistito “per il perfezionamento dei santi, […] finché tutti [arriviamo] allo stato d’uomini fatti, all’altezza della statura perfetta di Cristo”. Sto semplicemente suggerendo che almeno uno degli scopi di un versetto o di un comandamento può essere di ricordarci quanto è davvero gloriosa la statura della pienezza di Cristo, ispirando in noi un amore e un’ammirazione più grandi nei Suoi confronti e un desiderio maggiore di essere come Lui.

“Sì, venite a Cristo, e siate resi perfetti in lui”, supplica Moroni. “Amate Dio con tutta la vostra forza, mente e facoltà, allora […] mediante la sua grazia [potete] essere perfetti in Cristo”. La nostra unica speranza per raggiungere la vera perfezione risiede nel riceverla come un dono dal cielo — non possiamo “guadagnarla”. Pertanto, la grazia di Cristo non ci offre solo la salvezza dal dolore, dal peccato e dalla morte, ma anche la salvezza dalla nostra continua autocritica.

Permettetemi di usare una delle parabole del Salvatore per dirlo in maniera leggermente diversa. Un servitore era in debito con il suo re per un totale di diecimila talenti. Ascoltando la supplica con cui il servitore chiedeva pazienza e misericordia, “il signore di quel servitore, mosso a compassione, […] gli rimise il debito”. Ma poi lo stesso servitore non volle perdonare un suo conservo che gli doveva cento denari. Avendolo saputo, il re si rammaricò con il servitore che aveva perdonato: “Non dovevi anche tu aver pietà del tuo conservo, com’ebbi anch’io pietà di te?”.

Ci sono alcune divergenze di opinione tra gli studiosi riguardo ai valori monetari menzionati nella parabola — e perdonatemi il riferimento al sistema monetario statunitense — ma, per semplificare la matematica, se il debito minore non condonato di cento denari fosse, diciamo, di cento dollari ai nostri giorni, allora il debito di diecimila talenti rimesso tanto apertamente potrebbe essere stato di circa un miliardo di dollari o forse più!

Come debito personale, quella è una cifra astronomica; completamente al di là della nostra comprensione. (Nessuno può spendere così tanto facendo compere!) Beh, dati gli scopi di questa parabola, essa è volutamente al di là della nostra comprensione; è volutamente al di là della nostra capacità di arrivarci, per non parlare della nostra capacità di ripagare. Questo perché la storia del Nuovo Testamento non è la storia di due servitori che litigano. È una storia che parla di noi, la famiglia umana decaduta; tutti debitori, trasgressori e prigionieri mortali. Ciascuno di noi è debitore, e il verdetto prevedeva la prigione per ciascuno di noi. E lì saremmo tutti rimasti se non fosse stato per la grazia di un Re, che ci libera perché ci ama ed è “[mosso] a compassione verso di noi”.

Qui Gesù utilizza una misura imperscrutabile perché la Sua Espiazione è un dono imperscrutabile dato a un costo incomprensibile. Questo, a mio avviso, è almeno una parte del significato che si cela dietro al comandamento di Cristo di essere perfetti. Possiamo non essere ancora in grado di dimostrare la perfezione da diecimila talenti raggiunta dal Padre e dal Figlio, ma di sicuro non è troppo che ci chiedano di essere più simili a Loro nelle piccole cose, che parliamo e agiamo, amiamo e perdoniamo, ci pentiamo e miglioriamo fino a raggiungere almeno il livello di perfezione dei cento denari, il che è una cosa che siamo chiaramente capaci di fare.

Fratelli e sorelle, fatta eccezione per Gesù, non ci sono state vite impeccabili in questo viaggio terreno che stiamo facendo, quindi spero che nella vita ci sforzeremo di migliorare continuamente, senza però essere ossessionati dal comportamento che gli esperti definiscono “perfezionismo tossico”. Dovremmo evitare di aspettarci quest’ultima cosa in modo eccessivo da noi, dagli altri e, potrei aggiungere, da coloro che sono chiamati a servire nella Chiesa — il che, per i Santi degli Ultimi Giorni, vuol dire tutti, dato che tutti siamo chiamati a servire da qualche parte.

A tal proposito, Lev Tolstoj una volta scrisse la storia di un sacerdote che veniva criticato da uno dei fedeli della sua congregazione perché non viveva nel modo risoluto in cui avrebbe dovuto; chi lo criticava era giunto alla conclusione che anche i principi che il sacerdote peccatore insegnava erano quindi altrettanto errati.

In risposta a quelle critiche, il sacerdote dice: “Guardate la mia vita ora e paragonatela al modo in cui vivevo in passato. Vedrete che sto cercando di vivere secondo la verità che proclamo”. Incapace di vivere secondo gli ideali elevati da lui insegnati, il sacerdote ammette di aver fallito. Ma aggiunge affranto:

“Attaccatemi, [se volete,] anch’io lo faccio, ma [non] attaccate […] il sentiero che seguo. […] Se conosco la strada di casa [ma] la percorro da ubriaco, ciò la rende meno giusta semplicemente perché io barcollo da parte a parte? […]

Non gridate maliziosi: ‘Guardatelo! […] Eccolo che si trascina in un pantano!’. No, non compiacetevi, ma date il vostro aiuto [a chiunque stia provando a percorrere la via per tornare da Dio]”.

Fratelli e sorelle, ciascuno di noi aspira a una vita più cristiana di quella che spesso riusciamo a vivere. Se lo ammettiamo onestamente e stiamo provando a migliorare, non siamo ipocriti; siamo umani. Spero che ci rifiuteremo di permettere alle nostre follie mortali e ai limiti inevitabili — fosse anche della persona migliore che conosciamo — di renderci cinici riguardo alle verità del Vangelo, alla veridicità della Chiesa, alla nostra speranza per il futuro o alla possibilità di essere come Lui. Se persevereremo, il nostro raffinamento sarà finito e completato, in qualche momento dell’eternità; questo è il significato della parola perfezione nel Nuovo Testamento.

Attesto di questo grande destino reso possibile dall’Espiazione del Signore Gesù Cristo, il quale continuò Egli stesso “di grazia in grazia” fino a che nella Sua immortalità ricevette una pienezza perfetta di gloria celeste. Attesto che, in questa e in ogni ora, Egli, con le mani segnate dai chiodi, ci sta offrendo quella stessa grazia, tenendoci stretti a Lui e incoraggiandoci, rifiutandosi di lasciarci andare finché saremo al sicuro a casa tra le braccia dei nostri Genitori Celesti. Per tale momento di perfezione continuo a impegnarmi, sebbene goffamente. Per tale dono perfetto continuo a ringraziare, sebbene inadeguatamente. Lo faccio nel nome di Colui il quale incarna la perfezione, nel nome di Colui il quale non è mai stato goffo o inadeguato ma il quale ama tutti noi, nel nome del Signore Gesù Cristo. Amen.