Storia della Chiesa
Capitolo 10: Dammi la forza


“Dammi la forza”, capitolo 10 di Santi – La storia della Chiesa di Gesù Cristo negli ultimi giorni, volume 3, Risolutezza, nobiltà e indipendenza, 1893–1955 (2021)

Capitolo 10: “Dammi la forza”

Capitolo 10

Dammi la forza

persona che partecipa a una gara di salto in alto

Nell’autunno del 1911, Alma Richards ritornò alla Brigham Young University con l’obiettivo di partecipare alle Olimpiadi del 1912 a Stoccolma, in Svezia. Alma aveva ventun anni ed era un atleta di salto in alto di Parowan, una cittadina nello Utah meridionale. L’anno precedente, prima di andare alla BYU, non sapeva quasi nulla delle Olimpiadi. Poi, il suo allenatore gli aveva detto che aveva qualche possibilità di competere alle Olimpiadi.

“Se ti allenerai con costanza per un anno e mezzo”, disse, “riuscirai a entrare nella squadra”.1

All’inizio Alma pensava che l’allenatore stesse scherzando. Era per sua natura atletico, ma era più alto e più pesante della maggior parte dei saltatori in alto. Inoltre, non aveva molta esperienza né si era allenato granché in quello sport. Invece di saltare con una sforbiciata o di piegare il corpo orizzontalmente al di sopra dell’asticella, come facevano quasi tutti i saltatori, si lanciava goffamente in aria raggomitolandosi come una palla mentre era in volo.

Tuttavia, mise alla prova le parole del suo allenatore. Si allenò con costanza e iniziò a eccellere nelle gare di atletica locali. Presto divenne un campione in tutto lo Utah.2

Gli eventi sportivi stavano diventando popolari tra i giovani di tutto il mondo e molte scuole superiori e università dello Utah patrocinavano squadre di atletica sia maschili che femminili. Eppure, per molti anni, le associazioni di mutuo miglioramento non avevano contemplato gli sport tra le loro attività. L’Associazione di Mutuo Miglioramento dei Giovani Uomini [Young Men’s MIA], infatti, concentrava di solito le sue riunioni sullo studio di argomenti religiosi o accademici tratti da un manuale, con disappunto di molti giovani uomini.3

I gruppi protestanti di Salt Lake City, nel frattempo, avevano iniziato a usare una famosa palestra gestita dalla Young Men’s Christian Association [associazione cristiana dei giovani uomini], la YMCA, per attirare i giovani santi degli ultimi giorni nelle loro scuole domenicali. Preoccupati, i dirigenti della Chiesa decisero di offrire opportunità simili. Iniziarono a tenere gare sportive durante le conferenze annuali congiunte delle MIA e incoraggiarono i dirigenti di palo e di rione affinché permettessero ai giovani di usare le sale culturali delle case di riunione come “palestre per allenamenti leggeri”. Nel 1910, l’anno in cui Alma entrò alla BYU, la Chiesa aprì il Deseret Gymnasium, una struttura a tre piani ubicata un isolato a est della Piazza del Tempio.4

Dato che la partecipazione nell’Associazione di Mutuo Miglioramento delle Giovani Donne era comunque maggiore rispetto a quella nell’associazione dei Giovani Uomini, i dirigenti della Chiesa capirono che il programma in corso non stava attirando i ragazzi. Questa presa di coscienza capitò nel bel mezzo degli sforzi tesi a definire e chiarire i doveri delle organizzazioni ausiliarie della Chiesa e dei quorum del sacerdozio. Nel 1906, un “comitato di correlazione” appena istituito, formato da rappresentanti delle organizzazioni ausiliarie della Chiesa, decise che le riunioni del Sacerdozio di Aaronne dovevano includere l’istruzione dottrinale per i giovani uomini. Le riunioni della YMMIA, d’altro canto, avrebbero sviluppato la mente e il corpo dei ragazzi. Questo significava avviare molti giovani uomini all’atletica e alle attività all’aperto.5

Eugene Roberts, l’allenatore di Alma e direttore dell’educazione fisica alla BYU, era un sostenitore rispettato delle attività sportive nella Chiesa. Come molte altre persone dei suoi giorni, credeva che la tecnologia e la vita cittadina fossero progredite troppo velocemente nel diciannovesimo secolo, allontanando i giovani uomini dall’influenza raffinatrice dell’attività fisica e della natura. Idealizzando la vita dei pionieri santi degli ultimi giorni, egli incoraggiava i giovani uomini a emularne l’etica del lavoro e il fervore religioso.

“Nessuno può leggere delle loro difficoltà fisiche e delle loro prove religiose senza essere colto da profonda ammirazione”, scrisse in un numero del 1911 della rivista Improvement Era. “Il ragazzo pallido e cresciuto in città, che non si è mai accampato nel deserto né ha visto la natura selvaggia né si è mai trascinato su per le colline né ha mai vissuto di stenti, non può davvero comprendere le difficoltà di suo padre”.6

Eugene e i dirigenti della YMMIA esortarono la Chiesa a adottare un programma improntato sul movimento dei Boy Scout da poco costituito, il quale insegnava ai giovani uomini a sviluppare elevati principi morali e li rafforzava fisicamente e spiritualmente attraverso campeggi, escursioni e altre attività all’aperto. Lyman Martineau, un altro sostenitore dello scoutismo e membro del consiglio della YMMIA, incoraggiò i dirigenti dei giovani ad avviare i ragazzi alle attività fisiche ricreative. “Se organizzate e controllate correttamente”, dichiarò, “queste attività offrono uno svago sano e promuovono l’audacia, il coraggio, l’entusiasmo, la determinazione spirituale e morale e le abitudini moderate”.7

Alma Richards stesso ne era una dimostrazione. Il suo desiderio di eccellere nel suo sport lo portò a obbedire alla Parola di Saggezza in un periodo in cui nella Chiesa tale principio veniva incoraggiato, ma non strettamente richiesto. Nell’astenersi dagli alcolici e dal tabacco, egli confidava nella promessa del Signore secondo cui coloro che rispettano la Parola di Saggezza “correranno e non si stancheranno, e cammineranno e non si affaticheranno”8.

Nella primavera del 1912 Eugene disse ad Alma che era pronto per le selezioni olimpiche. “Sei uno dei quindici atleti migliori al mondo nel salto in alto”, disse, “e uno dei migliori sette negli Stati Uniti”. Per sostenere il costo del viaggio di Alma alle selezioni, Eugene convinse la BYU ad assegnare al giovane atleta una borsa di studio generosa. Voleva accompagnare Alma di persona, ma non aveva abbastanza denaro per il viaggio.

Già prima di lasciare lo Utah, Alma si sentiva ansioso e solo. Eugene venne a salutarlo al momento della partenza offrendo parole di incoraggiamento e sostegno. Prima che Alma salisse sul treno, Eugene gli porse una poesia ispiratrice perché gli trasmettesse forza e fede nei momenti difficili.9

Alcune settimane dopo, nello Utah arrivò la notizia: Alma era riuscito a entrare nella squadra olimpica. Era in viaggio verso la Svezia.10


A metà del 1912 più di quattromila coloni santi degli ultimi giorni del Messico settentrionale si ritrovarono nel mezzo di una rivoluzione. L’anno prima le forze ribelli avevano deposto il presidente di lunga data del Messico, Porfirio Díaz. Tuttavia, da allora era scoppiata un’altra rivolta contro i vincitori ribelli.11

Junius Romney, il trentaquattrenne presidente di palo del Messico settentrionale, dichiarò che i santi non avrebbero lasciato le loro case, nonostante il conflitto. Da quando si erano rifugiati in Messico durante le irruzioni anti poligamia degli anni ’80 del diciannovesimo secolo, i santi generalmente erano stati alla larga dalla politica messicana. Ora però molti ribelli li consideravano invasori stranieri e spesso facevano razzie nei loro prosperi ranch di bestiame.12

Sperando di indebolire i ribelli, gli Stati Uniti proibirono la vendita di armi e munizioni al Messico. Il senatore Reed Smoot, tuttavia, persuase il presidente degli Stati Uniti William Howard Taft a inviare altre armi ai santi del Messico settentrionale per aiutarli a proteggere i loro insediamenti. I capi dei ribelli, però, vennero presto a sapere del carico e pretesero che i santi consegnassero le loro armi da fuoco.

Sapendo che la Prima Presidenza voleva evitare che i santi subissero qualsiasi tipo di danno, Junius e gli altri dirigenti della Chiesa della regione negoziarono con i ribelli affinché i santi potessero tenere le armi per difendersi. I capi dei ribelli promisero anche di non infastidire gli insediamenti.13

Tuttavia, il 27 luglio, un generale ribelle di nome José Inés Salazar convocò Junius al suo quartier generale insieme a Henry Bowman, un dirigente della Chiesa e uomo d’affari del posto. Disse a Junius e a Henry che non poteva più evitare che le forze ribelli attaccassero i santi. Allarmato, Junius rammentò al generale che aveva dato rassicurazioni sia verbalmente sia per iscritto che i ribelli non avrebbero attaccato gli insediamenti.

“Queste sono solo parole”, disse il generale, “e il vento soffia via le parole”. Poi informò Junius e Henry che le colonie avrebbero dovuto consegnare le armi.

“Non vediamo per quale ragione dovremmo consegnare le armi”, disse Junius. Nell’area c’erano circa duemila ribelli con cinque o sei cannoni che potevano usare contro le colonie. Se avessero consegnato le armi, i santi sarebbero stati indifesi.14

Il generale fu irremovibile, così Junius gli spiegò che non aveva alcuna autorità per ordinare ai santi di consegnare le loro proprietà private. Nel sentire questo, il generale Salazar uscì dalla stanza per discutere la questione con uno dei suoi ufficiali, il colonnello Demetrio Ponce.

Una volta soli, Henry disse: “Fratello Romney, credo non sia saggio far arrabbiare il generale”. Vedeva che Junius era furioso e non voleva che il conflitto si inasprisse.

“Ormai ho deciso”, disse Junius. “Quando Salazar ritorna, gli dirò quello che penso di lui anche se fosse l’ultima cosa che faccio in vita mia!”.

Presto il generale Salazar tornò nella stanza insieme al colonnello Ponce. “Evidentemente il generale non è riuscito a spiegare ciò che desiderava trasmettere”, disse il colonnello, sfregandosi le mani. “Quello che il generale desidera che facciate è semplicemente suggerirlo loro e loro lo faranno!”.

“Non suggerirò nulla del genere”, disse Junius. Sapeva che i santi si sarebbero sentiti traditi se lui avesse chiesto loro di consegnare i loro unici strumenti di difesa.

“A meno che le vostre armi e munizioni non vengano consegnate qui a me entro le dieci di domattina”, li avvertì il generale Salazar, “marceremo contro di voi”.

“È il suo ultimatum?”, chiese Junius.

“É il mio ultimatum!”, disse il generale. “Verrò a prendermi le armi, ovunque debba andare per farlo”.

Junius era sconvolto all’idea che il generale fosse disposto ad attaccare gli insediamenti senza alcuna remora. “Invaderete le nostre case e prenderete le nostre armi con la forza?”, disse.

“Vi considereremo come nostri nemici”, disse il generale Salazar, “e vi dichiareremo guerra all’istante”.15


Quella sera, a Colonia Juárez, uno degli insediamenti di santi degli ultimi giorni più estesi del Messico settentrionale, la diciassettenne Camilla Eyring ascoltava suo padre descrivere il pericolo che incombeva sulla sua famiglia.

I ribelli si sarebbero impadroniti delle armi dei santi e li avrebbero lasciati indifesi, disse, così i dirigenti della Chiesa avevano deciso di evacuare le donne, i bambini e gli anziani dagli insediamenti. Avrebbero viaggiato per duecentoquaranta chilometri fino a El Paso, in Texas, appena a nord del confine con gli Stati Uniti. Gli uomini sarebbero rimasti per proteggere le case e il bestiame.16

Colonia Juárez era l’unica casa che Camilla avesse mai conosciuto. Tre generazioni della sua famiglia avevano vissuto nelle colonie del Messico dopo che i suoi nonni vi si erano trasferiti per sfuggire ai procedimenti giudiziari dovuti alla pratica del matrimonio plurimo. Da quel momento, Colonia Juárez era fiorita per diventare una comunità di decine di famiglie di santi degli ultimi giorni, con bellissimi frutteti di mele e raffinati edifici di mattoni.

Camilla era la maggiore di undici figli. Suo padre, marito di due mogli, gestiva un grande ranch di bestiame, dove lei a volte aiutava a fare il formaggio. Suo padre dava lavoro a persone originarie del Messico, alle cui famiglie lei aveva imparato a voler bene. Frequentava la scuola con gli amici presso il grande edificio della Juárez Academy, dove imparò sia l’inglese sia lo spagnolo. Nelle giornate calde indossava uno dei suoi vecchi vestiti e con i suoi amici andava a nuotare in una pozza formata dal fiume Piedras Verdes. Ora, mentre si preparava a lasciare la sua casa, non sapeva quando o se sarebbe ritornata.17

Ogni membro della famiglia prese con sé solo quello che poteva essere trasportato in un solo baule condiviso, nascondendo per forza di cose il resto dai ribelli. Camilla ripose i suoi saggi scolastici e altri ricordi in posti difficili da trovare in giro per la casa. Suo padre, nel frattempo, sollevò le assi del pavimento del portico anteriore e nascose cento bottiglie da un litro di more che Camilla e i suoi fratelli e sorelle avevano imbottigliato quel giorno insieme alla madre. L’argenteria, la biancheria di lino e i piatti preziosi furono riposti in soffitta.18

Il mattino successivo, il 28 luglio, la famiglia caricò il baule su un calesse e viaggiò per sedici chilometri fino alla stazione dei treni più vicina. Decine di altre famiglie aspettavano fuori dalla stazione con le braccia cariche di fagotti e valigie. Lì vicino, un gruppo di ribelli a cavallo era allineato in formazione con le pistole e le baionette spianate.

Quando arrivò il treno, i santi si ammassarono sulle carrozze. Una compagnia ferroviaria aveva inviato tutte le carrozze disponibili per contribuire all’evacuazione. Alcune carrozze erano carri merci senza finestrini o sudici vagoni per il bestiame. Camilla, sua madre, i suoi fratelli e le sue sorelle furono fatti salire su un vagone per i passeggeri di terza classe. Tenendo stretti i loro fagotti e la biancheria da letto, si stiparono insieme su panche dure. Era una calda giornata d’estate e le mosche ronzavano loro intorno. Camilla si sentiva come una sardina in lattina.19

Ben presto il treno lasciò la stazione e si diresse verso Colonia Dublán, il più grande insediamento di santi della zona, per caricare altri passeggeri. Una volta che i santi di Dublán furono saliti a bordo del treno, il numero dei passeggeri ammontava a circa mille. I bagagli erano ammassati in alte pile in tutti i vagoni.

Il treno viaggiò verso nordest per tutto il giorno e per tutta la notte. Parte dei binari era stata danneggiata durante la rivoluzione, costringendo il treno a procedere molto lentamente. Camilla era terrorizzata che i ribelli rapinassero il treno e derubassero i passeggeri.

Il treno arrivò in sicurezza a El Paso proprio mentre il sole stava sorgendo. Alla stazione dei treni, i residenti della città vennero incontro ai santi con auto e furgoncini e li trasportarono dall’altra parte della città, presso un deposito di legname vuoto riservato ai rifugiati. Camilla e la sua famiglia furono condotti in un grande spiazzo polveroso con diverse postazioni dove le famiglie potevano accamparsi. La famiglia di Camilla si ammucchiò in una postazione e appese delle coperte per avere un po’ di riservatezza. Un fetore nauseante aleggiava sul posto. C’erano ovunque nugoli di mosche.

Per tutto il giorno le persone continuarono ad arrivare dagli insediamenti al deposito e i giornalisti e i fotografi vennero per intervistarle e fare fotografie. Anche le persone della zona si recavano al piazzale venendo dalla città. Alcuni offrivano aiuto mentre altri sbirciavano nell’accampamento per dare un’occhiata ai santi.

Camilla si sentiva in imbarazzo. “Siamo come delle scimmie in una gabbia”, pensò.20


Gli occhi di Alma Richards erano doloranti mentre scrutava l’asticella. Era il terzo giorno delle Olimpiadi del 1912. Il sole sul nuovo stadio di mattoni marroni di Stoccolma era insopportabilmente brillante e irritava un’infezione agli occhi che affliggeva Alma da settimane. Quando non saltava, indossava un cappello vecchio e lasso per farsi ombra agli occhi. Ora però era di nuovo il suo turno e si diresse a lato della pista e lanciò il cappello sull’erba.21

L’attuale gara di salto in alto era iniziata con quasi sessanta atleti provenienti da decine di nazioni. Erano rimasti solo lui e un atleta tedesco di nome Hans Liesche. Hans era il miglior atleta di salto in alto che Alma avesse mai visto. Aveva gareggiato senza sforzo, superando ogni salto al primo tentativo. Alma, al contrario, aveva avuto problemi tutto il giorno a saltare l’asticella. Ora l’asticella era posta a un metro e novantatré centimetri, più alta di quanto chiunque avesse mai saltato durante una competizione olimpica. Nessuno, neppure i suoi compagni di squadra, si aspettava che Alma superasse l’asticella.22

Mentre si preparava a saltare, Alma aveva mille pensieri per la testa. Eccolo lì, a rappresentare la sua nazione alla più importante competizione atletica del mondo. Eppure si sentiva debole, come se avesse sulle spalle il peso del mondo. Pensò allo Utah, alla sua famiglia e alla sua città natale. Pensò alla BYU e ai Santi. Chinando il capo, in silenzio chiese a Dio di dargli la forza. “Se è giusto che io vinca”, pregò, “farò del mio meglio per dare il buon esempio tutti i giorni della mia vita”.23

Sollevando il capo, sentì svanire la debolezza. Buttò indietro le spalle, si avviò verso la linea di partenza e si raccolse in posizione. Poi si lanciò in avanti in un’esplosione di energia e balzò nell’aria, piegando le ginocchia sotto il mento. Il suo corpo sfrecciò in avanti e si librò di alcuni centimetri oltre l’asticella.

A bordo pista, Hans Liesche improvvisamente apparve nervoso mentre si scaldava per saltare. Alma corse in cerchio per mantenere le gambe pronte. Se Hans avesse superato l’asticella, cosa che Alma era certo sarebbe accaduta, l’asticella sarebbe stata alzata ancora di più e Alma avrebbe dovuto saltare di nuovo.

Quando Hans si lanciò nel suo primo salto, cadde sull’asticella e la fece crollare a terra. Frustrato, tornò in pista e fece il secondo salto. Fece di nuovo cadere l’asticella.

Alma si rese conto che il suo avversario stava perdendo il sangue freddo. Proprio mentre Hans si preparava per il suo ultimo tentativo, una pistola esplose un colpo nelle vicinanze a segnalare l’inizio di una gara. Hans aspettò che i velocisti superassero il traguardo e poi si preparò a saltare. Prima che potesse farlo, però, una banda iniziò a suonare e lui si rifiutò di partire. Alla fine, dopo nove minuti, un ufficiale di gara lo incitò ad affrettarsi. Non potendo esimersi dal saltare, Hans si lanciò in avanti e si librò nell’aria.

Ancora una volta, non riuscì a superare l’asticella.24

Alma fu pervaso dalla gioia. La gara era finita. Aveva vinto la medaglia d’oro e stabilito il record olimpico. Hans gli si avvicinò e gli fece le sue sentite congratulazioni. Presto altri si unirono alla celebrazione. “Ora si sentirà parlare dello Utah”, disse un uomo.

James Sullivan, un ufficiale della quadra olimpica americana, rimase particolarmente colpito dall’imperturbabilità di Alma sotto pressione e dal suo stile di vita salutare. “Magari avessimo un centinaio di bravi ragazzi come te nella nostra squadra”, disse.25

In pochi giorni, i giornali di tutti gli Stati Uniti celebrarono la vittoria di Alma, attribuendo il suo successo in parte alla sua religione. “Chiamano il vincitore del salto in alto ‘il gigante mormone’, e lui si merita quel titolo”, scrisse un giornalista. “È un atleta che si è fatto da sé e la sua conquista della notorietà mondiale arriva dopo anni di impegno e di determinazione ereditata dagli uomini che hanno stabilito la religione mormone e hanno fatto fiorire il deserto”.26

Uno degli amici di Alma, intanto, lo prendeva in giro per aver pregato prima del salto della vittoria. “Vorrei che tu non ridessi”, rispose Alma con calma. “Ho pregato il Signore dicendo ‘dammi la forza di superare l’asticella’, e l’ho superata”.27


Il 15 agosto 1912, le sorelle Jovita e Lupe Monroy si occupavano dell’emporio di famiglia a San Marcos, Hidalgo, in Messico. La cittadina era situata nel cuore della campagna, lontana dalla violenza della rivoluzione delle zone settentrionali. Quel giorno due giovani uomini americani ben vestiti entrarono nell’emporio, ordinarono una bibita e con educazione chiesero alle sorelle se sapessero dove viveva il Señor Jesús Sánchez.

Le sorelle conoscevano bene l’uomo anziano e diedero ai visitatori le indicazioni per arrivare a casa sua. Dal momento che il Señor Sánchez non era cattolico, alcune persone in città erano diffidenti nei suoi confronti. Lui però era amico di Rafael, il fratello maggiore di Jovita e di Lupe.

In seguito, quando le sorelle ebbero l’occasione di parlare con il Señor Sánchez, gli chiesero chi fossero quei giovani uomini.

“Sono missionari”, rispose lui. Circa trent’anni prima, si era unito a La Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni. Tuttavia, la missione della Chiesa in Messico centrale non aveva messo radici, nonostante un inizio promettente, ed era stata chiusa meno di dieci anni dopo il suo battesimo. Da allora la missione era stata riaperta e adesso nella regione vivevano più di milleseicento santi messicani. I missionari stavano percorrendo le campagne alla ricerca di membri della Chiesa di vecchia data come lui.28

“Quando i missionari ritorneranno”, dissero le sorelle al Señor Sánchez, “portali a casa nostra così potremo fare loro delle domande”.

Alcuni mesi dopo, il Señor Sánchez venne all’emporio e presentò Jovita e Lupe a due missionari, Walter Ernest Young e Seth Sirrine. Da cattoliche, le sorelle avevano molte domande sulle differenze tra il credo degli anziani e il loro. In particolare, volevano sapere perché i missionari non credessero nel battesimo dei neonati. Il Señor Sánchez lasciò che le sorelle prendessero in prestito la sua Bibbia per poter approfondire i principi insegnati dai missionari. In seguito, ogniqualvolta Jovita e Lupe avevano un momento libero, ne studiavano le pagine.29

Nel marzo del 1913, il Señor Sánchez si ammalò. Le sorelle Monroy aiutarono la sua famiglia a occuparsi di lui. Quando il suo stato peggiorò, Jovita e Lupe mandarono a chiamare i missionari per dargli una benedizione, ma loro stavano lavorando in un’altra città e non potevano di arrivare subito. Quando arrivarono, il Señor Sánchez era morto. Gli anziani tennero una cerimonia funebre per lui e tennero un discorso sulla risurrezione. Alla funzione parteciparono una dozzina di persone tra cui la madre vedova di Jovita e Lupe, Jesusita Mera de Monroy, che invitò i missionari a cena con la sua famiglia quella sera.

Jesusita non era contenta che le sue figlie avessero continuato a parlare con i missionari, specialmente dopo che Jovita e Lupe avevano smesso di andare a messa. La sera chiedeva a Dio di impedire ai missionari di andare a San Marcos in modo che non sviassero le sue figlie. A cena però trattò i missionari con gentilezza. Prima di mangiare, uno dei missionari chiese se potessero offrire una preghiera. Jesusita acconsentì e fu commossa dalla preghiera. Dopo cena, gli anziani cantarono l’inno “Padre mio”, che la commosse ancora di più.30

Due mesi dopo Lupe portò il suo fratello e la sua sorella maggiori, Rafael e Natalia, a una conferenza di santi vicino a Città del Messico, dove la Chiesa era più consolidata. Alla conferenza c’erano un centinaio di persone.

I tre fratelli ascoltarono discorsi sulla pace e sulla fratellanza, sullo Spirito Santo, sull’apostasia e sulla Restaurazione. Conobbero anche il presidente di missione, Rey L. Pratt, che era cresciuto negli insediamenti dei santi degli ultimi giorni nel Messico settentrionale. La conferenza colpì i fratelli Monroy. Prima di ritornare a San Marcos, Rafael fece un sogno in cui predicava tutto ciò che aveva imparato alla riunione.

Alcune settimane dopo la conferenza, il presidente Pratt e l’anziano Young fecero visita ai Monroy a San Marcos. Trascorsero una giornata con la famiglia, rilassandosi a casa loro e ascoltando le sorelle suonare. La sera, l’anziano Young parlò del battesimo e il presidente Pratt dei primi principi e delle prime ordinanze del Vangelo.

Il giorno successivo, l’11 giugno 1913, Jovita, Lupe e Rafael accettarono di essere battezzati. Per evitare di attirare l’attenzione dei vicini sospettosi, i fratelli portarono il presidente Pratt e l’anziano Young in un bosco isolato lungo un fiume vicino. Qui, nel fiume, trovarono una piscina naturale profonda abbastanza per celebrare l’ordinanza.

Dopo i battesimi, il presidente Pratt e l’anziano Young confermarono i fratelli presso la riva del fiume. Il presidente Pratt fece delle fotografie del gruppo insieme all’anziano Young, e tutti tornarono in città per la cena.

Fu un giorno felice.31

  1. Alma Richards, Dichiarazione, 14 ottobre 1954, Alma Richards Papers, BYU; Alma Richards, “Alma W. Richards, Olympic Champion”, Salt Lake Herald-Republican, 25 agosto 1912, pagine sportive, [1]; Eugene L. Roberts, “Something about Utah’s Great Athlete”, Salt Lake Evening Telegram, 13 luglio 1912, 16. Citazione inglese modificata per facilitarne la lettura. L’originale, tradotto, riporta: “Gli promisi che se si fosse allenato con costanza per un anno e mezzo sarebbe riuscito a entrare nella squadra”. Argomento: Sweden [Svezia]

  2. Alma Richards, Dichiarazione, 14 ottobre 1954, Alma Richards Papers, BYU; Alma Richards, “Alma W. Richards, Olympic Champion”, Salt Lake Herald-Republican, 25 agosto 1912, pagine sportive, [1]; Eugene L. Roberts, “Something about Utah’s Great Athlete”, Salt Lake Evening Telegram, 13 luglio 1912, 16; Gerlach, Alma Richards, 32–38.

  3. Szymanski, “Theory of the Evolution of Modern Sport”, 1–32; Young Men’s Mutual Improvement Association, Board Minutes, 30 gennaio 1907; 20 febbraio 1907; 20 marzo 1907; 17 e 24 aprile 1907; 1 maggio 1907.

  4. Mead, “Denominationalism”, 305; Young Men’s Mutual Improvement Association, Board Minutes, 18 dicembre 1907; 26 febbraio 1908; 10 e 30 marzo 1910; 7 e 21 settembre 1910; Kimball, Sports in Zion, 58–63, 66–68, 101. In seguito il Deseret Gymnasium fu spostato nell’isolato a nord della Piazza del Tempio.

  5. Young Men’s Mutual Improvement Association, Board Minutes, 30 gennaio 1907; 29 luglio 1907; 2 dicembre 1908. Argomenti: Organizzazioni dei Giovani Uomini; Organizzazioni delle Giovani Donne; Correlation [correlazione]

  6. Eugene L. Roberts, “The Boy Pioneers of Utah”, Improvement Era, ottobre 1911, 14:1084–1092; Lears, No Place of Grace, 66–83; Putney, Muscular Christianity, 1–10.

  7. Young Men’s Mutual Improvement Association, Board Minutes, 29 novembre 1911; Eugene L. Roberts, “The Boy Pioneers of Utah”, Improvement Era, ottobre 1911, 14:1090–1092; Lyman R. Martineau, “Athletics”, Improvement Era, settembre 1911, 14:1014–1016; Lyman R. Martineau, “M. I. A. Scouts”, Improvement Era, marzo 1912, 15:354–361; vedere anche Kimball, Sports in Zion, 125–145. Citazione inglese modificata per facilitarne la lettura con l’aggiunta dell’ultima “e”.

  8. Alexander, Mormonism in Transition, 273–276; “Alma Richards—His Record and Testimony”, Improvement Era, novembre 1942, 45:731; “‘Mormon Giant’ Writes to E. L. Roberts”, Provo (UT) Herald, 26 luglio 1912, 1; Dottrina e Alleanze 89:18–21; Kimball, Sports in Zion, 115–116. Argomento: Parola di Saggezza

  9. Alma Richards, Dichiarazione, 14 ottobre 1954, Alma Richards Papers, BYU; Eugene L. Roberts, “Something about Utah’s Great Athlete”, Salt Lake Evening Telegram, 13 luglio 1912, 16. Citazione inglese modificata per facilitarne la lettura; traducendo dall’originale, “Nella primavera del 1912 il signor Roberts mi disse che ero uno dei quindici atleti migliori” è stato cambiato in “Sei uno dei quindici atleti migliori”.

  10. “B.Y.U. Athlete Member of American Team”, Provo (UT) Herald, 12 giugno 1912, 1; “Beaver Boy on American Team”, Salt Lake Tribune, 11 giugno 1912, 9; “Utah Boy on Olympic Team”, Evening Standard (Ogden, UT), 11 giugno 1912, 6.

  11. Tullis, Mormons in Mexico, 87–91; Garner, Porfirio Díaz, 218–220; Gonzales, Mexican Revolution, 73–111.

  12. La Prima Presidenza a Reed Smoot, 27 febbraio 1912; la Prima Presidenza a Junius Romney, 13 marzo 1912, First Presidency Letterpress Copybooks, volume 49; Junius Romney alla Prima Presidenza, 6 febbraio 1912, First Presidency, Joseph F. Smith Stake Correspondence, CHL; Hardy e Seymour, “Importation of Arms and the 1912 Mormon ‘Exodus’ from Mexico”, 297, 299–300.

  13. Hardy e Seymour, “Importation of Arms and the 1912 Mormon ‘Exodus’ from Mexico”, 298–306; Romney, “Junius Romney and the 1912 Mormon Exodus”, 231–242; Stover, “Exodus of 1912”, 45–69; la Prima Presidenza a Junius Romney, 13 marzo 1912, First Presidency Letterpress Copybooks, volume 49.

  14. Romney, Affidavit, 28–29. Citazione inglese modificata per facilitarne la lettura; traducendo dall’originale, “Non vedevamo per quale ragione” è stato cambiato in “Non vediamo per quale ragione”.

  15. Romney, Affidavit, 28–31; Romney, Special Tributes, 12–14. Argomenti: Messico; Colonie in Messico

  16. Junius Romney a Joseph F. Smith, Telegram, 7 agosto 1912, First Presidency, Joseph F. Smith Stake Correspondence, CHL; Kimball, Oral History Interview, 22; Kimball, Autobiography, 10; Miner e Kimball, Camilla, 1, 28, 30; Mexico Northwestern Railway Company, Road to Wealth, [2].

  17. Miner e Kimball, Camilla, 1–3, 15–17, 21, 25, 28; Hatch, Colonia Juárez, 44–45, 159–160, 243–251; Romney, Mormon Colonies in Mexico, 93–94, 142–143.

  18. Kimball, Oral History Interview, 22; Kimball, Autobiography, 10; Miner e Kimball, Camilla, 6, 12–13, 28; Eyring, Autobiography, 23.

  19. Kimball, Autobiography, 10; Kimball, Oral History Interview, 22; Miner e Kimball, Camilla, 28–30; Brown, “1910 Mexican Revolution”, 28–29.

  20. Kimball, Autobiography, 10–11; Kimball, Oral History Interview, 22–23; Miner e Kimball, Camilla, 30–31; Kimball, Writings of Camilla Eyring Kimball, 38; “Collection of Stories and Events in the Life of Anson Bowen Call”, 13.

  21. “‘Mormon Giant’ Writes to E. L. Roberts”, Provo (UT) Herald, 26 luglio 1912, 1; Alma Richards, Dichiarazione, 14 ottobre 1954, Alma Richards Papers, BYU; “Memories of the Last Olympic Games”, Literary Digest, 3 luglio 1920, 66:98; “Horine Can’t Jump”, Salt Lake Evening Telegram, 19 agosto 1912, 10; Bergvall, Fifth Olympiad, 178–187, 392–393; Gerlach, Alma Richards, 56, 140.

  22. “‘Mormon Giant’ Writes to E. L. Roberts”, Provo (UT) Herald, 26 luglio 1912, 1; Alma Richards, Dichiarazione, 14 ottobre 1954, Alma Richards Papers, BYU; “Memories of the Last Olympic Games”, Literary Digest, 3 luglio 1920, 66:98; Sullivan, “What Happened at Stockholm”, 30; “Horine Can’t Jump”, Salt Lake Evening Telegram, 19 agosto 1912, 10; Paul Ray, “Utah’s Big Athlete Talks of Olympiad”, Salt Lake Tribune, 20 agosto 1912, 9; Bergvall, Fifth Olympiad, 392–394.

  23. Alma Richards, Dichiarazione, 14 ottobre 1954, Alma Richards Papers, BYU; “Memories of the Last Olympic Games”, Literary Digest, 3 luglio 1920, 66:98. Citazione inglese modificata per fornire maggior chiarezza; traducendo dall’originale, “era” e “avrei fatto” sono stati cambiati in “è” e “farò”.

  24. Alma Richards, Dichiarazione, 14 ottobre 1954, Alma Richards Papers, BYU; “Memories of the Last Olympic Games”, Literary Digest, 3 luglio 1920, 66:98; Sullivan, “What Happened at Stockholm”, 30; Bergvall, Fifth Olympiad, 394.

  25. Bergvall, Fifth Olympiad, 393; Alma Richards, Dichiarazione, 14 ottobre 1954, Alma Richards Papers, BYU; “‘Mormon Giant’ Writes to E. L. Roberts”, Provo (UT) Herald, 26 luglio 1912, 1; Paul Ray, “Utah’s Big Athlete Talks of Olympiad”, Salt Lake Tribune, 20 agosto 1912, 9.

  26. “Puny Lad Becomes World’s Best Jumper”, Pittsburgh Press, 12 luglio 1912, 23; “Puny Lad Becomes World’s Best Jumper”, Wichita (KS) Beacon, 12 luglio 1912, 4; “Something about the Unknown Who Won the Olympic High Jump”, Sacramento Star, 13 luglio 1912, 9.

  27. Paul Ray, “Utah’s Big Athlete Talks of Olympiad”, Salt Lake Tribune, 20 agosto 1912, 9; “‘Mormon Giant’ Writes to E. L. Roberts”, Provo (UT) Herald, 26 luglio 1912, 1; “Memories of the Last Olympic Games”, Literary Digest, 3 luglio 1920, 66:98.

  28. Monroy, History of the San Marcos Branch, 7–[7b]; Tullis, Martyrs in Mexico, 91; Tullis, “Reopening the Mexican Mission in 1901”, 441–453. Citazione tradotta in inglese modificata per facilitarne la lettura; “erano” è stato cambiato in “sono”.

  29. Monroy, History of the San Marcos Branch, 7–[7b]; Villalobos, Oral History Interview, 2; Tullis, Martyrs in Mexico, 20–21. Citazione tradotta in inglese modificata per facilitarne la lettura; “sarebbero ritornati” è stato cambiato in “ritorneranno”, “a casa loro” è stato cambiato in “a casa nostra” e “potessimo” in “potremo”.

  30. Monroy, History of the San Marcos Branch, 8–[9b]; Villalobos, Oral History Interview, 2–3; Tullis, Martyrs in Mexico, 22–25; Walter Young, Diary, 30 marzo 1913.

  31. Monroy, History of the San Marcos Branch, [9b]–[10b]; Villalobos, Oral History Interview, 3; Tullis, Martyrs in Mexico, 25–32; Walter Young, Diary, 24 maggio 1913 e 10–11 giugno 1913; Diary of W. Ernest Young, 98–99.