Capitolo 22
Ricompensa eterna
La mattina del 17 maggio 1933, John e Leah Widtsoe si svegliarono guardando per la prima volta la Terra Santa. Dal finestrino del treno vedevano una pianura arida disseminata di rocce, interrotta da campi coltivati e frutteti. John, che per anni aveva studiato la scienza della coltivazione nei deserti, era affascinato dal panorama. “Assolutamente interessante”, scrisse nel suo diario.
Dopo essere tornati a Londra nell’autunno del 1931, i Widtsoe avevano ripreso le proprie responsabilità nella Missione Europea. In quel momento erano in viaggio per Haifa, una città posta sulla costa orientale del Mar Mediterraneo, per mettere a parte un uomo di nome Badwagan Piranian e sua moglie Bertha, affinché dirigessero la Missione siro-palestinese della Chiesa.1 La missione, che avrebbe presto supervisionato quattro rami nella regione, era una delle più piccole della Chiesa. Badwagan era armeno, come la maggior parte dei santi in Medio Oriente, e Bertha era svizzera. Si erano entrambi uniti alla Chiesa nell’ultimo decennio.2
Inizialmente, Leah non aveva programmato di andare in Palestina con John. La crisi economica si era diffusa in tutto il mondo e aveva devastato le comunità che si stavano ancora riprendendo dalla guerra mondiale. Le finanze dei Widtsoe erano modeste e un viaggio intercontinentale non sarebbe costato poco. John però insistette che Leah lo accompagnasse.
Le disse: “Nella vita abbiamo fatto tutto insieme, e questo viaggio non deve fare eccezione. In qualche modo usciremo dal ‘buco finanziario’”3.
Dopo essere arrivati ad Haifa, i Widtsoe incontrarono i Piranian e la loro figlia sedicenne, Ausdrig. John rimase colpito dal nuovo presidente. Badwagan parlava fluentemente armeno e tedesco, e conosceva anche un po’ di turco, di russo e di inglese. John riferì: “Il fratello Piranian è un uomo intelligente, industrioso e sincero”4.
Leah rimase egualmente colpita da Bertha. Aveva una solida testimonianza del Vangelo ed era ansiosa di imparare come aiutare le donne della missione a partecipare più pienamente alla Società di Soccorso e alla YLMIA. Leah riteneva che quelle organizzazioni fossero essenziali per l’edificazione della Chiesa nell’area. Pensava: “Se queste donne possono essere rese attive e felici tramite la Società di Soccorso o il programma delle Api o delle Spigolatrici, diventeranno proclamatrici della verità molto più capaci”.
A volte a Leah sembrava di dover smuovere montagne quando doveva persuadere le mogli dei presidenti di missione a lasciare che le donne locali gestissero le proprie organizzazioni. Ma lavorando insieme a Leah, il desiderio di Bertha di fare la cosa giusta e di essere una brava dirigente spiccò subito. Quando John e Leah furono pronti per partire da Haifa, Leah sapeva che Bertha avrebbe fatto un ottimo lavoro.5
Da Haifa, Leah e John andarono prima a Tel Aviv e poi a Gerusalemme. Avevano programmato di fare un tour a piedi al Muro Occidentale, l’unico rimasto del tempio antico di Gerusalemme. Dopo essere arrivati al loro alloggio, però, John ricevette una pila di lettere e iniziò a leggere silenziosamente due telegrammi. Il loro contenuto era molto angosciante, ma Leah era di buon umore, quindi lui decise di mettere da parte la posta e di lasciare l’albergo.
Il tour li portò lungo antiche strade tortuose e attraverso bazar colorati e affollati. Al Muro Occidentale, osservarono donne e uomini ebrei che pregavano e si dolevano per la distruzione del tempio avvenuta secoli prima. Guardando bene, Leah notò che alcuni visitatori inserivano tra le pietre del muro delle preghiere scritte su pezzetti di carta.
Quella sera guardarono tramontare il sole dal Monte degli Ulivi, non lontano dal giardino in cui il Salvatore aveva sofferto per i peccati di tutta l’umanità. John era ancora preoccupato per i telegrammi e non si stava godendo l’esperienza, mentre Leah era elettrizzata per il fatto di essere nella città santa.
Più tardi, dopo essere tornati nella loro camera, John disse finalmente a Leah che cosa lo turbava. I telegrammi che aveva ricevuto erano del presidente Heber J. Grant, che aveva scritto per informarli della morte della madre di Leah occorsa il 27 maggio, giorno in cui avevano lasciato Haifa. John aveva aspettato a dirlo a Leah perché era molto felice quando erano arrivati a Gerusalemme e non voleva rovinare il suo buon umore.6
La notizia sconvolse Leah. Sapeva che Susa non stava bene, ma non aveva idea che la malattia fosse tanto grave. Improvvisamente la sua mente si incupì e fu avvolta da sentimenti scontrosi. Perché doveva essere così lontano mentre sua madre moriva? Non vedeva l’ora di ritrovarsi con lei per raccontarle tutte le esperienze avute in missione. Ora tutto era cambiato. La sua gioia se ne era andata.7
Sopraffatta dal dolore, faticò ad affrontare la notte e il giorno successivo. L’unico conforto era pensare che sua madre, che aveva dedicato tanto tempo al lavoro di tempio, si stava gioiosamente ricongiungendo con i suoi cari defunti. Ricordò una poesia spensierata che aveva scritto Susa qualche tempo prima:
Quando questa vita lascerò
e su questa terra più non vagherò
Non piangete, non sospirate, non singhiozzate e non fate cordoglio
mi dedicherò a qualcosa di molto meglio.
Il 5 giugno, Leah inviò una lettera al presidente Grant per ringraziarlo della gentilezza che aveva sempre dimostrato a Susa. “La vita di mia madre è stata lunga e ricca di conseguimenti”, scrisse. “Prego che ciascuno di noi figli possa amare e vivere per la verità come ha fatto lei”8.
Nel corso di quell’anno, in Sudafrica, William Daniels stava svolgendo fedelmente i suoi compiti come presidente del Ramo dell’Amore di Città del Capo. Anche se non poteva celebrare le ordinanze del sacerdozio, poteva presiedere alle riunioni del lunedì sera, dirigere gli affari del ramo, dare consigli ai Santi di cui si occupava e partecipare alle conferenze per i dirigenti della missione insieme agli altri presidenti di ramo del Sudafrica.
Un giorno, William si ammalò gravemente. Era certo di guarire velocemente, quindi non chiese subito una benedizione ai missionari. Tuttavia la sua situazione peggiorò e i medici cominciarono a preoccuparsi. Aveva quasi settant’anni e il suo cuore era debole.
Dopo sei settimane finalmente William contattò la casa della missione per chiedere una benedizione. Il presidente Dalton non c’era, quindi fu un altro missionario a benedirlo. Dopo la benedizione, William si sentì meglio per un po’, ma poi la malattia si ripresentò. Quella volta il presidente Dalton poté andare a impartirgli una benedizione.
Preoccupato per la vita di William, il presidente Dalton portò sua moglie, Geneve, e i loro figli perché confortassero il loro amico. Quando vide in che condizioni versava William, il presidente Dalton si mise a piangere. La famiglia si inginocchiò intorno al letto, e il giovane George Dalton, di cinque anni, disse la preghiera. Poi il presidente Dalton unse il capo di William e gli impartì una benedizione. Promise a William che sarebbe tornato a rendere il culto con i santi di Città del Capo.
Alcune settimane dopo, il presidente Dalton tornò in città e vide che William stava abbastanza bene da viaggiare. Insieme si recarono alla Scuola Domenicale del Ramo di Mowbray, dove i santi invitarono William a parlare. Con un po’ di aiuto, egli salì sul podio e rese testimonianza del potere guaritore della fede. Dopo la riunione, tutti i presenti in sala, giovani e vecchi, gli strinsero la mano. Presto egli fu in grado di tornare a occuparsi dei suoi doveri nel Ramo dell’Amore.
William gioiva per i missionari e per le benedizioni di guarigione che aveva ricevuto da loro. Una volta disse al ramo: “Mi sento più benedetto di un re con tutta la sua ricchezza. Ringrazio il Signore per il privilegio di avere queste brave persone nella mia casa e per la fede che ho negli anziani, affinché mi impartissero un’unzione”9.
Dopo la ripresa della salute, William scrisse la sua testimonianza per il giornale della missione, il Cumorah’s Southern Messenger. Mentre rifletteva sulla sua esperienza nella Chiesa, raccontò la sua conversione, il viaggio a Salt Lake City che gli aveva cambiato la vita e la sua recente esperienza con il potere del sacerdozio.
“La mia testimonianza è che so che Joseph Smith è stato un profeta di Dio negli ultimi giorni e che il vangelo restaurato non contiene null’altro se non gli insegnamenti di Cristo stesso”, testimoniò.
“So che Dio vive, che ascolta le nostre preghiere e risponde. Gesù è il Redentore risorto ed è in verità il Figlio del nostro Padre in cielo vero e vivente”.10
Non molto tempo dopo la morte della suocera, John Widtsoe ricevette una lettera dal presidente Grant. Essa diceva: “Parlando del vostro ritorno, vorrei che mi scriveste con assoluta franchezza. Non esitate a dirmi se preferireste tornare a casa per stare con le persone a voi care. Avete svolto una missione di prim’ordine”.
John non sapeva cosa rispondere. In fondo, lui e Leah avevano già servito per sei anni — il doppio di altri recenti presidenti della Missione europea. John sapeva anche che la loro famiglia nello Utah aveva nostalgia e bisogno di loro, in particolare ora che Susa non c’era più.11
D’altro canto, lui e Leah si sentivano a casa in Europa e amavano il servizio missionario. A Leah l’opera sarebbe certamente mancata. Il suo contributo alla Chiesa in Europa era visibile dappertutto. Aveva rafforzato le organizzazioni femminili locali, incoraggiato una più fedele osservanza della Parola di Saggezza e reso le lezioni della Società di Soccorso pertinenti per il pubblico europeo. Aveva appena completato la sua edizione europea del manuale del programma delle Api, che semplificava e adattava il programma delle Api per andare incontro alle necessità delle giovani donne di tutto il continente.12
La missione stava anche affrontando nuove sfide. Con la diffusa recessione economica in tutto il mondo, in Europa le entrate della decima erano crollate e alcuni rami avevano perso le loro sale di riunione perché non potevano pagare l’affitto. La Grande Depressione aveva ridotto drasticamente il numero di missionari che potevano permettersi di servire, e molte famiglie avevano bisogno dell’aiuto dei figli a casa per sostentarsi. Nel 1932 solo 399 uomini furono in grado di accettare la chiamata in missione, in confronto al picco di 1.300 missionari all’anno del decennio precedente. Con una tale diminuzione della forza missionaria, non sarebbe stato meglio per la Chiesa se John e Leah, che avevano già tanta esperienza pratica in Europa, avessero continuato a dirigere la Missione europea?
John disse al presidente Grant che lui e Leah erano felici di lasciare la questione nelle mani del profeta. “Ho sempre considerato le vie del Signore migliori delle mie”, scrisse.13
Il 18 luglio John ricevette un telegramma che dichiarava che l’apostolo Joseph F. Merrill era stato chiamato a sostituirlo quale presidente della Missione europea. Anche se sarebbe stato difficile partire, John e Leah si sentirono bene riguardo alla decisione. Già a settembre erano impegnati a prepararsi per la partenza, con Leah che gestiva gli affari della casa della missione a Londra, mentre John era in viaggio per il continente europeo per verificarne le condizioni un’ultima volta.14
L’ultima tappa di John fu una visita all’ufficio della missione a Berlino, in Germania. Quell’anno Adolf Hitler era stato nominato cancelliere della Germania e il partito nazista stava stringendo la sua morsa sulla nazione. La Prima Presidenza, preoccupata per questi eventi, aveva chiesto a John di fare rapporto sullo stato della nazione e sul fatto che i missionari in Germania fossero al sicuro.
Lo stesso John stava osservando da vicino l’ascesa di Hitler al potere e il suo effetto sulla Germania. Tanti tedeschi erano ancora irritati per aver perso la guerra quindici anni prima, e profondamente risentiti per le dure sanzioni imposte loro dai vincitori. “I nervi politici dei tedeschi sono scoperti”, fu l’informazione che John diede alla Prima Presidenza. “Spero, quando la pustola sarà pronta a scoppiare, che il veleno possa essere rimosso invece che diffuso in tutta la struttura sociale”15.
Quando arrivò a Berlino, John fu colpito da quanto fosse cambiata nei decenni da quando era stato uno studente lì. La città aveva l’aspetto di un campo militare, con i simboli di Hitler e del partito nazista ovunque, incluso l’ufficio della missione. “La bandiera nazista è appesa al muro”, John informò la Prima Presidenza, “spero non come accettazione di tutto ciò che il governo sta facendo in Germania, ma come prova del fatto che sosteniamo il governo legittimo della nazione in cui risiediamo”.
Parlando con i presidenti delle due missioni della Germania, John si sentì rassicurato che la Chiesa non fosse in immediato pericolo nel paese. La Gestapo — la polizia segreta nazista — aveva esaminato i registri dell’ufficio della missione a Berlino, come anche quelli di diversi rami, ma fino a quel momento sembrava soddisfatta, ritenendo che la Chiesa non stesse cercando di minare il governo.16
John tuttavia temeva che Hitler stesse guidando il popolo tedesco verso un’altra guerra. I santi locali si stavano già preparando per prendersi carico dei rami e vegliare sui membri della Chiesa, nel caso in cui fossero sorte delle difficoltà. John consigliò ai presidenti di missione di fare dei piani per trasferire i missionari fuori dalla Germania nel giro di due o tre ore, se necessario. Ritenne inoltre saggio che in futuro la Prima Presidenza limitasse il numero di missionari che andavano in Germania.
Dopo due giorni di riunioni, John lasciò l’ufficio di Berlino per tornare a Londra. Fece un percorso a lui familiare lungo Unter den Linden, una via nel cuore di Berlino che prende il nome dai tigli allineati sui marciapiedi. Mentre procedeva verso la stazione ferroviaria, comparve una grande compagnia di soldati che marciava con passo militare per andare a sostituire i compagni di guardia.
Tutto attorno a loro, migliaia di sostenitori di Hitler affollavano le strade esprimendo grande entusiasmo.17
Nella primavera del 1934, Len e Mary Hope, i santi afroamericani che si erano uniti alla Chiesa in Alabama, vivevano nella periferia di Cincinnati, nell’Ohio. La coppia aveva trasferito la famiglia in quell’area nell’estate del 1928 per trovare un nuovo lavoro, e Len si era procurato presto un lavoro stabile in una fabbrica. Avevano cinque figli e un altro in arrivo.18
Cincinnati era una città del nord che confinava con uno stato del Sud, e molte zone della città erano fortemente segregate come qualsiasi posto del Sud. Poiché erano neri, agli Hope non era consentito vivere in certi quartieri, alloggiare in determinati alberghi o mangiare in alcuni ristoranti. I teatri destinavano dei posti separati ai clienti neri. Alcune scuole, college e università della città avevano proibito o fortemente limitato le opportunità di istruzione agli studenti neri. Diverse confessioni religiose avevano congregazioni per i bianchi e congregazioni per i neri.19
Quando erano giunti in città, gli Hope avevano frequentato le riunioni con il Ramo di Cincinnati. Poiché non vi era una direttiva mondiale della Chiesa sulla segregazione razziale, i rioni e i rami a volte creavano delle loro procedure in base alle circostanze locali. All’inizio sembrava che il Ramo di Cincinnati potesse accogliere la famiglia. Poi un gruppo di membri disse al presidente di ramo Charles Anderson che avrebbero smesso di frequentare le riunioni se gli Hope avessero continuato ad andare.
A Charles piacevano Len e Mary e sapeva che sarebbe stato sbagliato chiedere loro di non frequentare la chiesa. Si era trasferito a Cincinnati da Salt Lake City, dove la piccola comunità di santi neri frequentava la chiesa insieme ai vicini bianchi. Sapeva anche che il razzismo era ben radicato nell’area di Cincinnati, e non credeva di poter cambiare il modo in cui si sentivano le persone..20
I confini del ramo erano stati da poco ridisegnati, portando molti santi del Sud sotto la responsabilità di Charles. Ma non erano solo i santi del Sud che obiettavano alla partecipazione in Chiesa degli Hope. Anche alcuni membri di lunga data che Charles conosceva da anni avevano espresso il timore che l’integrazione nel ramo avrebbe fornito ai critici locali della Chiesa un nuovo motivo per deridere i Santi.21.
Addolorato, Charles andò dagli Hope e riferì le obiezioni sollevate dai membri del ramo. “Questa è stata la visita più difficile che abbia mai fatto in vita mia”, ammise. Promise di aiutare la famiglia a restare in contatto con la Chiesa. “Faremo tutto il possibile”, disse. “Ogni mese faremo un viaggio speciale per venire qui a portarvi il sacramento e a tenere una riunione della Chiesa in casa vostra”.
Affranti per la decisione di Charles, Len e Mary smisero di frequentare la Chiesa, eccetto le conferenze di distretto e altri eventi speciali. La prima domenica di ogni mese tenevano in casa loro una riunione di testimonianze con i missionari e altri membri che volevano rendere il culto insieme a loro. La famiglia era anche felice di ricevere delle visite informali dai santi locali.22 Gli Hope vivevano in una casa confortevole di quattro locali con un grande porticato e uno steccato bianco. Si trovava in un quartiere abitato prevalentemente da afroamericani, circa quindici chilometri a nord della casa di riunione del ramo, e un tram da Cincinnati portava i visitatori a circa un chilometro e mezzo di distanza.23
Alle loro riunioni domenicali mensili, gli Hope prendevano il sacramento e rendevano testimonianza, dal più vecchio al più giovane. A volte, le figlie degli Hope cantavano o suonavano il pianoforte. Dopo ogni riunione, gli Hope servivano un pranzo delizioso, come tacchino arrosto, pane di mais, insalata di patate e altri piatti fatti in casa.24
Tra i santi che facevano visita agli Hope c’erano Charles e i suoi consiglieri, Christian Bang e Alvin Gilliam. A volte partecipavano alle visite anche Christine Anderson e Rosa Bang che accompagnavano i loro mariti. Andavano anche l’archivista di ramo Vernon Cahall, sua moglie Edith, e i membri del ramo Robert Meier e Raymond Chapin, spesso accompagnati dalle loro famiglie.25 Le sorelle missionarie, che tenevano le lezioni della Primaria nelle case di diversi membri del ramo, lo facevano anche per i figli degli Hope. Elizabeth, la più figlia più grande dei Bang, a volte le aiutava. Occasionalmente, gli Hope si incontravano con i missionari o con i membri del ramo in altri posti, come lo zoo di Cincinnati.26
L’8 aprile 1934 Mary Hope diede alla luce un maschietto. In passato, gli Hope si erano sempre assicurati che i loro neonati fossero benedetti, e questa volta non sarebbe stata diversa. Due mesi dopo la nascita del piccolo Vernon, Charles Anderson e l’archivista di ramo andarono dagli Hope per un’altra riunione sacramentale. Poi, Charles impartì la benedizione al bambino.27
Quando rendeva testimonianza, spesso Len raccontava la sua conversione al vangelo restaurato. Sapeva che lui e Mary erano stati straordinariamente benedetti da quando erano arrivati a Cincinnati. Sebbene la Grande Depressione avesse privato del lavoro molti dei suoi vicini, lui non aveva perso un giorno di lavoro. Non guadagnava tanto, ma pagava sempre la decima per intero.
Esprimeva anche fede nel futuro. Una volta disse: “So che non posso avere il sacerdozio, ma sento che la giustizia di Dio un giorno mi sarà concessa, e mi sarà permesso di procedere verso la mia ricompensa eterna con i fedeli che lo detengono”.
Lui e Mary erano disposti ad attendere quel giorno. Il Signore conosceva i loro cuori.28
Intanto a Tilsit, in Germania, la quattordicenne Helga Meiszus non poteva non notare quante cose fossero cambiate nella sua città da quando i nazisti avevano preso il potere. Aveva paura di tornare a casa dalla chiesa di sera perché in giro per strada c’erano sempre tante persone. L’economia andava male e tante persone erano disoccupate e senza nulla da fare. Probabilmente non erano pericolose, ma Helga temeva sempre che potessero provare a farle del male.
Poi arrivò Hitler e l’economia migliorò. Il lavoro non fu più scarso, e le strade tornarono a essere sicure. Più di ogni altra cosa, le persone cominciarono a essere di nuovo fiere di essere tedesche. Hitler era un oratore convincente, e le sue parole appassionate ispiravano in molti l’idea che la Germania potesse riemergere come una nazione potente che sarebbe durata per mille anni. Quando diceva continue menzogne, parlava di cospirazioni e incolpava gli Ebrei per i problemi della Germania, tanti gli credevano.
Come gli altri abitanti del paese, i santi degli ultimi giorni tedeschi avevano opinioni differenti su Hitler. Alcuni lo sostenevano, mentre altri guardavano con diffidenza la sua ascesa al potere e il suo odio verso gli Ebrei. La famiglia di Helga non era molto interessata alla politica e non si opponeva apertamente al Partito nazionalsocialista. I suoi genitori ritenevano tuttavia che Hitler fosse il leader sbagliato per la Germania. In particolare, a suo padre non piaceva dover usare “Heil Hitler” come saluto. Insisteva nel voler usare il tradizionale “buongiorno” o “buonasera”, anche se altri disapprovavano.
Nondimeno, Helga non aveva paura di dire “Heil Hitler” o di alzare il braccio secondo il saluto nazista. Se qualcuno avesse visto il suo rifiuto? Avrebbe potuto trovarsi nei guai. Aveva infatti così tanta paura di farsi notare che a volte cercava di non pensare affatto a Hitler, temendo che i nazisti potessero in qualche modo leggerle la mente e punirla.
Però le piacevano gli spettacoli del Partito nazionalsocialista. C’erano balli nazisti e truppe in uniforme che facevano delle parate lungo la strada. I nazisti volevano instillare il nazionalismo e la lealtà nei giovani del paese, quindi usavano spesso svaghi, musica coinvolgente e altre forme di propaganda per attrarli.29
Circa in quel periodo, Helga diventò un’Ape nell’ambito dell’Associazione di mutuo miglioramento delle Giovani Donne recentemente rinominata dalla Chiesa. Sotto la guida di una dirigente adulta, le componenti della classe fissavano degli obiettivi e ricevevano dei sigilli colorati da mettere nella loro edizione in lingua tedesca del manuale del programma delle Api. Helga teneva caro il suo manuale, e lo personalizzò colorando le illustrazioni in bianco e nero e usando una penna o una matita per segnare i suoi obiettivi raggiunti con una X.
Helga segnò decine di obiettivi man mano che procedeva nel suo manuale. Fu in grado di dire i successi di cinque grandi musicisti, di andare a letto presto e di svegliarsi presto, di portare testimonianza a tre riunioni di digiuno e testimonianza, e di individuare i modi principali in cui gli insegnamenti della Chiesa differivano da quelli di altri credi cristiani. Inoltre, si scelse un nome da Ape e un suo simbolo. Il nome che scelse era Edelmut, che significa “nobiltà” in tedesco. Come simbolo scelse la stella alpina, un fiorellino raro che cresce ad alta quota sulle Alpi.30
Un giorno, Helga tornò a casa emozionatissima. Dei rappresentanti del movimento giovanile del Partito nazionalsocialista dedicato alle ragazze — il Bund Deutscher Mädel, o Lega delle ragazze tedesche — stavano reclutando nel suo quartiere, e molte amiche di Helga stavano aderendo.
“Oh, Mutti”, disse Helga a sua madre. “Vorrei tanto far parte di quel gruppo”. La lega offriva ogni tipo di lezione e attività e pubblicava una sua rivista. Si parlava anche di gite con gli sci sovvenzionate dal governo. Le ragazze indossavano camicette bianche e gonne scure.
“Helgalein, tu sei un’Ape”, disse sua madre. “Non ti serve l’appartenenza a quel gruppo”.
Helga sapeva che sua mamma aveva ragione. Non aderire alla Lega delle ragazze tedesche l’avrebbe nuovamente resa diversa dalle sue amiche. Tuttavia, il programma delle Api la stava aiutando a raggiungere degli obiettivi giusti e a essere una santa degli ultimi giorni migliore. Né Hitler né la sua lega potevano farlo.31